La primavera, quest’anno, è durata qualche settimana. Ce ne siamo accorti tutti. Le temperature di molte città europee ce lo segnalano con maggior precisione. Una delle conseguenze nefaste è la siccità che in Europa non ha paragoni negli ultimi 250 anni e che nei primi 4 mesi di quest’anno ha fatto registrare un deficit di pioggia del 70%. La consueta rassegna di notizie di Alberto Castagnola, persino più ricca del solito, segnala come sempre cicloni, alluvioni, incendi, un’ondata di freddo anomala che a Brasilia ha raggiunto la temperatura più bassa di sempre, e molti altri fenomeni estremi. Dati altrettanto allarmanti ci arrivano sulle materie prime e i prodotti chimici con conseguenze impressionanti su quel che respiriamo, mangiamo e beviamo e sulle alterazioni ormonali. Intanto, nell’Australia del Nord, negli ultimi 35 anni è raddoppiata la mortalità degli alberi a causa della mancanza di umidità.

I meteorologi si affannano a cercare confronti con il 2003, ma non possono nascondere il fatto che l’estate è iniziata con un mese di anticipo, riducendo la primavera di un tempo a poche settimane. Ma l’OMM ricorda che gli ultimi sette anni sono stati i più caldi di sempre ed è tutta l’Europa a far registrare da giorni temperature molto elevate. In Andalusia, Spagna, nella seconda metà di maggio registrati i 43,3 gradi e anche a Cordoba e Siviglia si sono superati i 41 gradi. In Francia nell’Occitania 36,7 gradi, e 35 a Strasburgo, nel nord del paese. In Germania negli stessi giorni 33 gradi a Mundingen e uno in meno a Stoccarda e a Monaco. In paesi come l’Iran, si segnalano i 48 gradi a Bander-e-Dayyer, mentre in Kuwait, Qatar, Oman ed Emirati Arabi  le temperature massime oscillano tra i 46 e i 47 gradi. Fanno anche impressione gli appena tre gradi sotto lo zero alla Capanna Margheritta, visto che  si trova a 4560 metri, in cima al Monte Rosa.

 Il 17 maggio la temperatura più alta è registrata ad Arafat, in Arabia Saudita, 48,6 gradi, mentre lo stesso giorno quella più bassa era in Antartide, -66,8 gradi C. Nella seconda metà di maggio, nel Rajasthan, nel nord ovest dell’India, le temperature hanno raggiunto i 48,1 gradi, mentre a Jacobstan, nel sud del Pakistan, sono stati invece registrati 50 gradi.

Non si è quindi interrotta la siccità che ha interessato l’Europa tra il 2018 e il 2020,  che non ha paragoni negli ultimi 250 anni e che nei primi 4 mesi di quest’anno ha fatto registrare un deficit di pioggia del 70%.

Siccità diffusa ancora a maggio. Lago Penuelas, Valparaiso, Cile, quasi prosciugato; idem il lago Sawa, in Iraq; 40% della popolazione in Somalia a rischio sicurezza alimentare; secondo le Nazioni Unite, 1,4 milioni di bambini soffriranno di malnutrizione acuta. Inoltre non si può dimenticare il fatto che più fa caldo, maggiore è il vapore nell’aria e maggiore è anche il rischio di bombe d’acqua, trombe d’aria e grandinate devastanti. Nei giorni scorsi, in India e in Bangladesh, inondazioni e frane causate da forti piogge hanno causato almeno 60 morti e centinaia di migliaia di sfollati e dato inizio alla staginoe dei monsoni.

In Iraq, una nuova tempesta di sabbia, l’ottava a partire dalla metà di aprile, registrata il 16 maggio, ha costretto le autorità a chiudere uffici pubblici, le scuole e gli aereoporti. Fenomeni in origine naturali, sono aggravati dal cambiamento climatico, ma anche dalle politiche inadeguate nella gestione dell’acqua e delle aree verdi. A Bassora l’innalzamento del livello del mare ha causato l’intrusione di acqua salata nei canali e nei torrenti 300 chilometri a monte dello Shat Al Arab. Il paese è attraversato da cinque fiumi e un tempo lontano era conosciuto come  la Mezzaluna Fertile. Infine, verso la fine  maggio, segnalata una ulteriore tempesta di sabbia che ha colpito l’Iraq ma anche il Kuwait e l’Arabia Saudita.

Numerosi gli incendi,  New Mexico e Colorado negli USA, e diversi nel Messico, in particolare uno gigantesco, chiamato Hermita Peak Fire, ha bruciato 170 case e 670 chilometri quadrati di vegetazione. In Russia, un incendio a Krasnojarsk, ha causato 5 vittime e distrutto 450 case; altri 5 morti nei roghi delle regioni vicine Kemerovo e Omsk.

Insieme, tante alluvioni: in Brasile, a Rio de Janeiro, e in Australia, insieme a grandi ondate del mare nel New South Wales. 450 morti nel KwaZulu in Sudafrica, mentre in Columbia un fiume  è straripato e ha allagato una miniera con decine di vittime. Più di recente, almeno 18 persone sono morte in varie province dell’Afghanistan a seguito di alluvioni e tempeste.

Non mancano i cicloni: nella foresta tropicale, nelle Filippine, un potente uragano ha causato 148 vittime e 17.000 sfollati. In Egitto, l’intero delta del Nilo è stato inondato, mentre le acque del mare hanno distrutto le aree coltivate. E’ allo studio un “Progetto dune”  per ostacolare le alte maree, su tutta la costa del Mediterraneo,  compresa la città di Alessandria. Sarà molto costoso e forse non risolutivo.

Alla fine di maggio, una ondata di freddo anomalo ha colpito il Brasile, mettendo a rischio migliaia di senza dimora. Nella capitale Brasilia  registrata la temperatura più bassa di sempre, 1,4 gradi.

Nella Grande barriera corallina australiana si sono verificati altri 1200 chilometri quadrati  di sbancamento causato dalle acque di un mare troppo caldo. E ciò malgrado la presenza della Nina, una corrente che in genere raffredda le acque. Dal 1998 ci sono stati 5 sbancamenti a causa dell’aumento delle temperatura dei mari.

Un dato di rilievo:  nel 2021 il pianeta ha perso molte delle sue foreste, scrive la rivista Scientific American. Le regioni tropicali hanno perso 11,1 milioni di ettari di foresta, di cui 3,75 milioni di foresta vergine. L’anno è stato particolarmente negativo per le foreste boreali, soprattutto in Russia.

Infine, per il forte sviluppo agricolo e per il cambiamento climatico, in alcune zone del mondo le popolazioni di insetti si sono ridotte del 50% e le specie del 27%, in particolare nelle coltivazioni lontane da aree allo stato naturale.

Un progetto scientifico comunitario, condotto tra il 2004 e il 2021, ha misurato una riduzione della popolazione di insetti nel Regno Unito del 58,5%. È ormai un fenomeno globale, ma gli studi sono rari. Nel 2017 una ricerca condotta in Germania aveva rilevato un calo del 76% rispetto alla situazione del 1990.

Materie prime e prodotti chimici: nuovi sfruttamenti in corso

Una delle risorse naturali più minacciate è il litio, i dati più recenti apparsi sull’Extra Terrestre del 5 maggio nell’articolo di F. Billotta. Scoperto all’inizio dell’800, fino a 30 anni fa veniva prevalentemente impiegato nella preparazione di lubrificanti, nell’industria del vetro e della ceramica e per formare leghe metalliche con alluminio, manganese e cadmio. Oggi la spinta all’utilizzazione è dovuta alla sua utilità per la produzione di batterie elettriche ricaricabili per auto, computer e  telefoni cellulari, ma anche per  l’accumulazione dell’elettricità prodotta da pannelli fotovoltaici e pale eoliche. Le batterie agli ioni di litio hanno il triplo di energia immagazzinata e il doppio di potenza rispetto a quelle tradizionali al nichel. Le riserve mondiali di litio ammonterebbero a 90 milioni di tonnellate e il 60% del totale si troverebbe in tre paesi, Bolivia, Cile e Argentina, ma queste cifre andrebbero verificate in relazione ai costi da sostenere nelle diverse zone di estrazione.

Tra il 2016 e il 2021 la produzione è quasi triplicata, passando da 35.000 tonnellate alle quasi centomila, ma si stima che la domanda potrebbe aumentare di almeno 40 volte quella attuale nei prossimi venti anni. Nei deserti di sale delle regioni andine il litio si trova disciolto nei depositi sotterranei di acqua salata, che deve essere pompata in superficie e lasciata evaporare nelle saline per alcuni mesi per aumentare la concentrazione di cloruro di litio. Poi in appositi impianti il litio viene separato dagli altri metalli,  e combinato con carbonato di sodio (soda) per ottenere il carbonato di litio. Questo è il prodotto finale, che essiccato e ridotto in polvere, viene acquistato dalle industrie che producono batterie. Questa forma di estrazione ha costi di produzione inferiori a quello prodotto partendo dalla roccia, ma l’impatto ambientale è devastante. Nelle aree confinanti si verificano gravi fenomeni di siccità, la risalita di acqua salata dal sottosuolo fa affluire acqua dolce dalle zone circostanti, e ciò porta al prosciugamento di fiumi, laghi e falde acquifere nei territori dove vivono molte comunità andine. Inoltre, le grandi quantità di soda e di altre sostanze chimiche che vengono impiegate producono un avvelenamento irreversibile dei suoli.

In Australia e in altri paesi il litio viene estratto dalle rocce, con un processo che richiede il raggiugimento di temperature molto elevate, e l’energia impiegata viene fornita da combustibili fossili con le relative perdite e gli inquinamenti ben noti. La Cina è il principale beneficiario del litio australiano, poichè oltre ad essere uno dei principali produttori è anche il primo importatore, anche perchè è il maggiore detentore mondiale degli impianti per la lavorazione del litio e quindi detiene il 60% della produzione mondiale di batterie.

Infine, a causa dell’elevato consumo di acqua (2000 litri per un chilo di litio), del consumo di combustibili fossili, dei gravi inquinamenti e  delle elevate quantità di gas serra che vengono emessi, cominciano a nascere dei dubbi sulle auto elettriche come alternativa rispettosa dell’ambiente. Le due pagine del testo qui presentato contengono anche altri due articoli di grande interesse, uno relativo a tutte le misure che i governi latinoamericani stanno cercando di adottare per conservare la loro attuale posizione dominante nel settore e l’altro sulle proprietà terapeutiche per la salute umana che il litio possiede.

Lo stesso supplemento del manifesto contiene altri testi di estremo interesse. Rupa Marya e Raj Patel descrivono una serie di effetti negativi per la salute umana derivanti dai danni arrecati all’ambiente, mentre Serena Tarabini intervista l’epidemiologa Shanna Swan, autrice di “Count Down”, su come il nostro stile di vita minaccia la fertilità, la riproduzione e il futuro dell’umanità, (Fazi Editore). Nel 2017 la scienziata aveva presentato i risultati di una ricerca durata molti anni. Negli ultimi 40 anni i livelli di sperma fra gli uomini dei paesi occidentali sono diminuiti di oltre il 50%. In pratica un uomo oggi ha solo la metà del numero di spermatozoi che aveva suo nonno. Il tasso mondiale di fertilità umana, dai 5 bambini attribuibili in media a una donna negli anni ’60, nel 2020 è sceso a 2,4, un calo spaventoso che non potrà continuare ancora a lungo senza che ciò ponga a rischio la sopravvivenza umana e che, per essere invertito, richiede cambiamenti sostanziali.

Tra le sostanze tossiche dannose la scienziata cita la plastica (che ovviamente non è la sola perisolosa), e in particolare gli ftalati, che servono a renderla morbida e flessibile e i bisfenoli, come il tipo A, che serve a rendere dura la plastica. Gli ftalati si possono reperire nel vinile, nei rivestimenti di muri e pavimenti, nelle tubature, nei dispositivi medici e nei giocattoli, come pure in prodotti per la cura personale come smalti per le unghie, profumi, saponi. Questo solo esempio fa comprendere la portata delle modalità di vita e di consumo fuori di ogni controllo che da decenni incidono sul tasso di fertilità maschile e femminile. È un campo che dovrebbe richiedere tutta la nostra attenzione senza alcun ritardo.

Alcuni anni fa l’Unione Europea ha consentito l’uso del glifosato in agricoltura, malgrado fosse ampiamente dimostrata la sua pericolosità per la salute umana ed animale. Ma più di recente, sono venuti alla luce altri gravi impatti di questo prodotto chimico. Il primo di questi è la capacità di provocare la morte di microbi benefici all’interno degli organismi, con lo squilibrio che ciò provoca nei sistemi digestivo e immunitario di esseri umani, animali e insetti. Inoltre uno studio canadese pubblicato nel 2022 ha evidenziato l’associazione di malattie neurologiche psichiatriche con l’alterazione della flora intestinale negli esseri umani a causa del glifosato, una alterazione che avrebbe impatti anche intergenerazionali, cioè che potrebbero essere passati da padre o madre  in figlio o nipote.

Un altro studio sottolinea che, oltre agli effetti già noti, di alterazione ormonale, la presenza di residui di glifosato e/o dei suoi metaboliti nelle donne in post menopausa è associata alla metilazione del DNA, un’alterazione molecolare che può causare il cancro e accelerare l’invecchiamento cellulare. Nel caso delle api, oltre agli impatti già noti di morte negli alveari per disseminazione di agrotossici, due studi pubblicati nel 2022 hanno scoperto che il glifosato produce alterazioni del sistema immunitario delle api, e la stessa cosa era già stata notata nei topi di laboratorio. In sostanza, il glifosato è l’agrotossico più utilizzato nella storia dell’umanità, poichè le poche imprese transnazionali che controllano più di due terzi del mercato globale sia delle sementi che degli agrotossici, ne hanno promosso l’uso nel giardinaggio, nei parchi, ai bordi di strade e autostrade. Inoltre l’uso intensivo ha generato resistenza in più di 250 piante infestanti, cosa che a sua volta ha portato le aziende ad aggiungere ai fertilizzanti sempre più sostanze chimiche ad alto rischio.

Infine, la situazione italiana in base al calcolo proposto dal Global Footprint Network, diretto da M. Wackernagel. Si prendono in considerazione le risorse che la Terra è in grado di rigenerare ogni anno, cioè la sua biocapacità. Se l’umanità usasse solo questo tipo di risorse, il pianeta sarebbe in equilibrio. Purtroppo non è così da almeno mezzo secolo, e aumentano i giorni dell’anno in cui vengono consumate risorse che intaccano il patrimonio naturale del pianeta, accumulando un debito ambientale che sarà pagato dalle future generazioni. L’indicatore elaborato indica in quale giorno dell’anno ogni paese supera la soglia delle risorse riproducibili e questi dati hanno avuto un andamento impressionante. Nel 1972 era il 10 dicembre, negli anni ’80 è passato da novembre a ottobre,e nel 2000 cadde il 22 settembre. Poi  il fenomeno cominciò ad accelerare fino ai primi di agosto: Nel 2020 si verificò un rallentamento dovuto alla pandemia, a sua volta frutto di squilibri ecologici. Nel 2021 sono ripresi i ritmi precedenti di sfruttamento del pianeta. Per l’Italia a partire dal 13 maggio  si è comincato a sfruttare risorse non rigenerabili, e quasi inesistenti sono le politiche delle quali il pianeta avrebbe urgente bisogno.

Attività economiche che incidono sul clima

La sabbia, usata nella produzione di cemento, asfalto, vetro e chip in silicio, è estratta da laghi e fiumi, spesso in modo illegale. Entro il 2060 potrebbe aumentare il suo consumo del 45% a livello globale. Ma questo incremento non è sostenibile, si dovrebbero avviare forme di riciclo e di sostituzione, ma chi prenderà l’iniziativa?

Analisi del sangue di 22 volontari olandesi in buona salute e si sono trovate tracce di plastica. Presenti molecole di stirene, cioè di polistirolo, di dimetil tereftalato che forma il pet, mentre non sono state rinvenute tracce di polipropilene.

Tra il 1980 e il 2018 le emissioni di ammoniaca del settore agricolo sono aumentate del 78%. La sostanza è un composto dell’azoto che si trova nei fertilizzanti (usati per grano, mais e riso) ma anche nell’allevamento di bestiame (bovini, polli, maiali, capre, ecc.)

Secondo l’OMS, il 99% della popolazione mondiale respira aria inquinata, particolato fine, PM dieci e biossido di azoto, uno dei sei più potenti gas serra

Molte informazioni false sulle pale eoliche ne ostacolano la diffusione, poichè gli enti locali si richiamano a queste informazioni non veritiere per negare le autorizzazioni, ostacolando così la rapida diffusione delle energie rinnovabili.

Secondo la NOAA, Usa, nel 2021 le emissioni di metano sono aumentate di 17parti per miliardo (ppb) rispetto al 2020. E’ l’incremento maggiore dal 1983, data di inizio delle rilevazioni.

Si chiama NAC, Natural Asset Cmpany, il più recente tentativo di quotare in Borsa gli ecosistemi, in particolare l’acqua.

Si calcola che i sussidi al settore dei combustibili fossili  di 52 paesi industriali o emergenti, siano in media annua pari a 555 miliardi di dollari dal 2017 al 2019, calati a 345 nel 2020 per la riduzione del prezzo del petrolio e il calo dei consumi durante la pandemia.  Il FMI ha però adottato un diverso metodo di calcolo, che include i sussidi  impliciti, (esoneri, misure di favore, ecc.) arrivando a 5900 miliardi di dollari nel 2020, cioè dieci volte tanto, poichè gli impliciti sono il 92% del totale. Da notare che i finanziamenti pubblici e privati all’economia verde sono soltanto un decimo dei sussidi. E poi la guerra in Ucraina sta peggiorando il fenomeno.

Inoltre le 60 maggiori banche hanno concesso 4600 miliardi di dollari alle imprese fossili.

Per l’Amazzonia, Bolsonaro sta cercando di far approvare 5 leggi, la prima di esse chiede che le popolazioni autoctone dimostrino di avere contratti su carta nei passati trenta anni e quindi caccerà dai terreni tradizionali almeno 70.000 indigeni, l’8% della popolazione indigena. Le altre leggi favoriscono le ricerche di oro e di altri minerali, e l’uso incontrollato di pesticidi, tutti fattori che promuovono la distruzione della foresta. E’ poi da notare che la deforestazione dell’Amazzonia brasiliana ha raggiunto livelli mai prima  registrati:  nel solo mese di aprile sono stati distrutti 1012 chilometri quadrati di foresta.

In Australia del nord negli ultimi 35 anni è raddoppiata la mortalità degli alberi, dovuta in gran parte alla perdita di umidità dovuta al riscaldamento del pianeta.

Molti metalli si perdono a causa del mancato riciclo. Un nuovo studio analizza il ciclo di vita di sessantuno elementi. L’oro è il metallo con il ciclo più lungo (quasi due secoli), ma in media i più longevi sono i metalli ferrosi, tra i quali il nichel, seguiti da quelli preziosi tra i quali l’argento, il platino, dai non ferrosi, tra i quali l’alluminio e il rame e poi dagli altri, tra i quali è compreso il litio. Alcuni metalli si perdono durante la fase di estrazione, spesso molto inquinante.

Infine, uno studio dell’OMS e dell’Organizzazione Mondiale del Lavoro (ILO), realizzato prima della pandemia e presentato nel 2021, sosteneva che ogni anno in tutto il mondo 745.000 persone muoiono a causa del troppo lavoro. Questa cifra è superiore a quella dei morti per incidenti sul lavoro o per l’uso di sostanze nocive sul lavoro. La situazione si è aggravata durante la pandemia, perchè le assenze causate dalla malattia hanno aumentato il carico di lavoro dele persone  rimaste operative.    

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