Crisi climatica, il cambiamento parte dalle scuole

Senza una radicale sostituzione di tutta la classe dirigente presente e in arrivo – non solo in Italia, ma in tutto il mondo – non ci si schioderà dalla deriva che ci sta portando alla catastrofe. Ma chi può mai prendere il posto di un establishment bollito in tutte le sue versioni? Un candidato c’è. Sono le nuove generazioni sotto i cui piedi la Terra brucia, si dissecca, si dissesta, preparando loro, nel migliore dei casi, una vita d’inferno. È prima di tutto nelle scuole che bisogna invertire la rotta.

Riusciranno le oltre 150mila firme raccolte da Repubblica in calce alla “lettera-appello degli scienziati alla politica” perché prenda atto della gravità della crisi climatica a spostare in prima pagina, e tutti i giorni, dal ghetto redazionale di Greem&Blue, gli articoli sulle cause della scomparsa del Po, dello scioglimento dei ghiacci, degli incendi di metà delle foreste del pianeta, delle ondate di calore che si alternano ad alluvioni devastanti, ecc.?

E quand’anche quelle firme facessero l’effetto cercato, chi mai si occuperà di realizzarla, la conversione ecologica? La fantomatica agenda Draghi, fatta di guerre, armi, gas e Grandi opere? Cingolani, che pensa solo ai gassificatori e ad allungare la vita della Ferrari? Il ministro Giovannini, alfiere dello “sviluppo sostenibile” con Alta velocità e nuove autostrade (e ora anche con il ponte sullo Stretto)? Oppure “l’agenda Meloni”: Dio, patria e famiglia? Quella sì che ci metterà al sicuro dal disastro!

Basta pensarci per capire che senza una radicale sostituzione di tutta la classe dirigente presente e in arrivo – non solo in Italia, ma in tutto il mondo – non ci si schioderà dalla deriva che ci sta portando alla catastrofe. Ma chi può mai prendere il posto di un establishment bollito in tutte le sue versioni?

Un candidato c’è. Sono le nuove generazioni sotto i cui piedi la Terra brucia, si dissecca, si dissesta, preparando loro, nel migliore dei casi, una vita d’inferno. Che se ne siano accorte lo dimostrano, prima e soprattutto dopo la comparsa di Greta, il movimento Fridays for Future e gli altri movimenti fratelli. Ma per formarsi come nuova classe dirigente nei tempi stretti che rimangono, non basta manifestare, protestare, appellarsi alla “Scienza”. Occorre sperimentare e cominciare a praticare delle vere alternative. A partire da dove il movimento è nato con gli scioperi del venerdì.

Foto ipp clemente marmorino, milano 02 10 2021 – manifestazione corteo – global march for climate justice- fridays for future – organizzata dai centri sociali.

Le scuole sono punti nevralgici di ogni possibile ricomposizione di una comunità di umani, di territori e di altri esseri viventi alleati per salvaguardare i rapporti reciproci che li tengono in vita. Le scuole dovrebbero essere i luoghi deputati a trasmettere tra le generazioni saperi frutto di decenni, secoli e millenni di esperienze. Ma la generazione presente, quella adulta, sta dimostrando ben poca attenzione per quello che le succede intorno; ha imparato ben poco dalle generazioni precedenti (relegandolo nelle soffitte di un’Accademia fine a se stessa); e non ha quasi più niente da trasmettere alle nuove generazioni se non tecniche avulse dalla consapevolezza delle conseguenze della loro applicazione.

Per questo è nelle scuole, innanzitutto, che occorre invertire rotta: fare sì che siano le nuove generazioni – quelle che hanno capito o capiscono che ne va del futuro di tutti – a trasmettere alle generazioni precedenti questa loro consapevolezza. Promuovendo un cambio radicale dei programmi scolastici; delle pratiche didattiche; dei rapporti tra allievi e docenti; di quelli tra interno (alla scuola) ed esterno (innanzitutto le rispettive famiglie); di quelli tra vita quotidiana e istituzioni; e, soprattutto, del rapporto tra gli esseri umani e il resto del mondo: alla scoperta del fatto che siamo parte di questo mondo, ma anche che il resto del mondo fa parte di noi. E poi battersi, perché la scuola sia aperta a tutti, tutto il giorno, abbia pannelli solari, pompe di calore, coibentazione dei muri, orti didattici nelle pertinenze; perché sia di esempio per tutti.

E’ dalle scuole, che deve iniziare l’abbandono di quella cultura antropocentrica che ha dominato gli ultimi secoli in Europa e poi nel mondo e delle attività che ne sono conseguite: quelle che con l’avvento dell’antropocene stanno portando all’estinzione la specie umana e non solo.

Vignetta di @alterales tratta dal sito di Fridayforfuture Italia

Un compito da Davide contro Golia! Ma gli adepti di Fridays for Future e i loro compagni di mobilitazione devono avere il coraggio di farsi Davide contro il Golia di un sistema di dominio che fino ad ora ha irriso – o solo finto di prendere sul serio; il che è ancora peggio – la loro irrilevanza, la loro “minore età”, la loro “incompetenza”. Loro sì, invece, che sanno il da farsi …E’ già successo in un non lontano passato che un confronto del genere si verificasse, sconvolgendo per qualche tempo i saperi e i poteri costituiti. Ma quel compito non è riuscito ad arrivare a buon fine. Ora però il tempo stringe; e “non c’è alternativa”.

Le scuole possono diventare un punto di accumulo delle forze necessarie a invertire l’attuale deriva, per poi riverberarsi, anche attraverso un salutare shock nelle famiglie, sui quartieri, sul territorio, sulle aziende, sulle fabbriche, sulle istituzioni. Non si può pretendere che le classi dominanti, e i governi alle loro dipendenze, cambino completamente le loro stupide agende senza che i veri interessati a questo cambiamento dimostrino di essere capaci di farlo loro: per lo meno nel loro ambiente naturale, che è la scuola. Una scuola aperta, dove ci sia posto per tutte le persone di buona volontà ecologica.

Fonte: https://www.guidoviale.it/ 12 Agosto e comune-info 17 Agosto

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Pubblicare in Italia questo testo di Célestin Freinet sullo sfondo dei radicali cambiamenti sociali, culturali e tecnologici a quasi sessant’anni dalla prima edizione francese comporta porsi degli interrogativi altrettanto radicali sull’educazione, sull’insegnamento, sull’efficacia dell’azione didattica, in particolare nella scuola di base.
Che cosa ha valore per la scuola e per i docenti di oggi di quanto Freinet pensava e ha sperimentato nel suo tempo? Come le sue tecniche si traducono, con i mezzi – informatici e non – di cui noi disponiamo?
L’école moderne française è una sintesi sia del pensiero che delle pratiche pedagogiche freinetiane: l’ambiente, il materiale, le strutture organizzative… Certo, il proposito di Freinet di fare la “scuola popolare” va tradotto e riletto alla luce delle idee, delle conoscenze attuali sull’apprendimento, della politica culturale, delle Indicazioni ministeriali, ma il suo è certo un apporto vivo, motivato e motivante per proporre una scuola altrettanto democratica e motivante: un dialogo tra docenti, alunni, famiglie, istituzioni. Una sfida importante e urgente, pena lo scollamento della scuola dalla realtà, e il suo “addomesticamento” verso una visione aziendalistica e quantitativa della conoscenza e del sapere, ben lontana dalle convinzioni di Freinet, e dalle nostre.