La verità è come appare in Rashomon. Sembra quasi un luogo comune, un abusato sintagma linguistico per affermare che la verità è impossibile. Parliamo del celebre film di Akira Kurosawa Rashomon, del 1950, che racconta un fatto di sangue. Nel Giappone medievale, un samurai attraversa un bosco con la moglie avvolta da un ampio velo per recarsi a un tempio. La donna attrae sessualmente un fuorilegge, che li osserva passare. Questi violenta la donna e uccide il marito. Che cosa è accaduto veramente? Tre uomini si riparano da un furioso temporale sotto i resti di Rashomon (La Porta dei Demoni). Uno di loro è un taglialegna, un altro è un contadino, il terzo è un monaco e raccontano versioni diverse dell’accaduto. Versioni che contrastano tra di loro. Chi mente? Chi dice la verità? Che relazione c’è tra verità e menzogna? Per la logica classica, ciò che non è vero è falso, e ciò che non è falso è vero. Le cose stanno davvero così? Leggendo l’agile e incisivo volumetto Menzogna di Franca D’Agostini, docente di Filosofia della scienza al Politecnico di Torino, si ha l’impressione che le cose siano davvero molto ingarbugliate, perché si può usare l’arte della menzogna senza dire necessariamente bugie. Ultimo lavoro di un trittico, iniziato con Verità avvelenata (2010) e ulteriormente elaborato con Introduzione alla verità (2011), Menzogna si snoda lungo quattro capitoli (“Che cosa significa «vero»?”, “Che cos’è la menzogna?”, “Le buone menzogne non sono menzogne o non sono buone”, “Modi di mentire”), che mostrano con tutta evidenza come la verità sia fragile e la menzogna sleale e sempre in vantaggio, sempre pronta ad incunearsi nelle nostre difficoltà di vedere, capire, dire e far valere la verità, che rimane un concetto di natura metafisica. Diciamo che verità e menzogna si intrecciano e si saldano come poli di un’unica dimensione che esiste solo in funzione della loro contrapposizione. Fra le due, la verità ha il ruolo più scomodo e più difficile da ogni punto di vista rispetto alla menzogna, che invece è più agile e più dinamica, perché si mente in mille modi, si mente non solo parlando, ma anche tacendo, facendo, ma anche omettendo di fare.
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In un certo senso, tutta la storia della filosofia è il faticoso procedere degli sforzi umani per capire le forme della menzogna, come inganno degli esseri umani e delle loro intenzioni malevole, ma anche come inganno della realtà, vaga sfuggente ambigua; e dei linguaggi, altrettanto vaghi molteplici duplici (p. 21).
Nell’Introduzione l’Autrice chiarisce che la filosofia è una sorta di attività di emergenza quando si tratta di «difendere chi è vittima dall’inganno, e smascherare la stupida furbizia o la sventurata malattia degli ingannatori» (p. 22) o quando si tratta di rimuovere ostacoli al corretto esercizio della democrazia. Occorre chiedersi: perché la menzogna dilaga in maniera proteiforme con i suoi affini e correlati (falsità, errore, finzione, simulazione)? La risposta sembra scontata: la verità è una nozione logorata da fragilità, invisibilità e incompletezza e facilmente attaccabile. La verità è una, la menzogna è molteplice. La verità ha una proprietà invisibile, inafferrabile, non misurabile. Il requisito dell’invisibilità è condiviso dalla menzogna, ma per la prima è un danno, per quest’ultima è un vantaggio. Un enunciato vero non è mai completo. Raramente si dispone della completezza della verità, osserva l’Autrice, perché l’incompletezza degli enunciati di uso comune «garantisce il successo della menzogna senza menzogna». Come quando il comandante di una nave scrive ripetutamente sul diario di bordo che il suo secondo ufficiale è ubriaco e quest’ultimo, quando legge il diario, scrive, una sola volta: «oggi il comandante non è ubriaco», come a dire che tutti gli altri giorni lo è (p. 18). In questi varchi duttili e sottili ne esce perfino sfigurata la nozione di realtà. Esiste la realtà, esistono le cose? Oppure essa è il prodotto, come insegnava Nietzsche, di costruzioni o di ricostruzioni? Siamo nel cuore del nichilismo come esito della modernità con cui bisogna fare i conti. Ne è perfettamente consapevole l’Autrice quando afferma che nell’età contemporanea vige la super-pre-menzogna nichilista, le cui conseguenze sono devastanti perché svalutano di fatto la verità. Ogni accertamento della verità è impossibile e ogni pratica di essa è delegata a terzi: esperti, partiti, chiese, poteri mediatici. La super-menzogna nell’età del nichilismo si può declinare in cinque modi (1. l’indifferenza, 2. la delega del vero, 3. l’antintellettualismo, 4. il declino culturale della cultura, 5. l’infondatezza) che compongono una raffinata strategia manipolatoria capace di radicarsi in ogni ambito della vita individuale e sociale, fino a distruggere le conoscenze. «L’arte di tagliare, che è in definitiva l’arte di parlare, o di pensare, è l’unico strumento che abbiamo contro i distruttori della ragione fintamente razionali» (p. 112). Scopo dichiarato dell’autrice è far diventare il lettore epistemicamente più esigente, in modo che possa opporsi ai mentitori professionali proprio nell’epoca «di esplosione comunicativa ed informativa di Internet che è stata, ed è tuttora (non si sa per quanto) un ritorno in grande stile della verità dopo le disavventure novecentesche» (p. 120). In altri termini, con il trionfo di Internet crescono le conoscenze e con esse crescono le possibilità di confronti incrociati, smentite, smascheramenti, che possono rendere il processo di accertamento della verità assai più facile, perché si è fruitori e produttori di informazioni. Paradossalmente la Rete può provocare una progressiva estinzione della menzogna dinanzi alle maggiori opportunità di dire la verità. Ma questo è ancora tutto da dimostrare.
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