Arte e cinema: una partita doppia

 

In ogni parte del mondo, osservando le reazioni del pubblico (analfabeta, contadino e operaio) e borghese nelle aree metropolitane, ci si era accorti che le immagini in movimento, ben più delle fisse, esercitavano una suggestione che poteva essere gestita attraverso la propaganda inducendo modelli di comportamenti ideologizzati. Inutile sarà osservare come le grandi dittature europee abbiano preso per mano l’industria del cinema in nome del popolo e dell’arte, uno stratagemma servito a giustificare e a nascondere il vero contenuto dell’operazione, ancora oggi – ben di più di un tempo – lo spettatore, purtroppo crede che il film… nasca nella sala cinematografica e mai si interroga sul sistema che lo ha prodotto.

Cinema è arte? Proviamo a rispondere a questa domanda che ha almeno un secolo e mezzo. Il XX secolo è il tempo dove è possibile, non prima. L’arte è millenaria, il cinema è appena nato. Per mezzo secolo l’arte diventa un attributo al cinema, non a tutto il cinema, quando dare una definizione di cinema era ancora difficile per il suo essere in continuo movimento-evoluzione tecnica (“il cinema è arte in movimento”, Dziga Vertov) che ne rendeva complicata una sua definizione. Ci fu una sovrimpressione tra i due termini: il cinema come arte o l’arte del cinema. Da cosa? Dall’immagine e dalla sua creazione come atto che vede l’imprescindibile azione dell’uomo. La prima implosione comporta un principio di differenziazione e di distanza: immagine sintetica quella della pittura, analogica quella del cinema, oggi digitale. Prodotta dallo sguardo che s’impressiona meccanicamente su una lastra (fotografia) o su una pellicola o su una catena di pixel o punti (cinema) mentre la mano dell’artista segue l’occhio e la mente che si raffigura sulla tela.

I luoghi: il paesaggio, la chiesa, la mostra e il museo. Ambienti, dove la luce diventa un contributo decisivo alla visione dell’opera e del lavoro dell’artista con una necessità: il vedere (contrapposto al guardare) nel riconoscere sia che si tratti della natura, del ritratto, della scultura nella sua sintetica immagine, fa intravvedere una dimensione o un senso simbolico quando l’estetica del guardare si apre all’empatia emotiva. Il cinematografo fa nascere le sue immagini dal buio. Non fu facile nei primi anni abituare lo spettatore a questa dimensione che aggiungeva un non so che d’inquietudine, di pericolo, di fantasmatico, ciò che in seguito sarà detto l’onirico.

Il passaggio. Gli artisti del Novecento (le avanguardie in particolare) sono intenti a distruggere i canoni che l’arte del passato aveva configurato accanto alle circostanze, alla moda (figlia nel secolo) alle forme, alle dimensioni della rappresentazione. Il cinema è inevitabilmente figlio della fotografia e della tecnica anche se avrà necessità fin da subito del teatro (Meliès) e poi della letteratura per i testi da rappresentare visivamente.

Potere e istituzioni. Dall’iconoclastia, in Occidente, l’arte per più di cinque secoli, ha cercato di sfuggire al potere della Chiesa, qualche secolo in meno dalle istituzioni del potere laico, ma il legame diventa più sottile quando alla fine dell’Ottocento con la nascita della società di massa, si vanno rivoluzionando legami e funzioni. Se pensiamo alla fotografia e il ruolo che ebbero le istituzioni (A. Gilardi, Storia sociale della fotografia, Feltrinelli, 1976) nel sostenere le industrie in grado di sviluppare pellicole e apparecchiature a fini del controllo sociale…In seguito al ruolo militare della fotografia e poi del cinema nella Grande guerra, o al manifesto artistico in chiave politica… Negli anni Venti i movimenti politici che si apprestano alla conquista del potere (comunisti, fascisti, nazisti) non possono a fare a meno dell’arma più forte per il controllo e la propaganda … in nome dell’arte.

Il cinema è industria o arte? Risposta semplice: è industria. Mentre in Europa dopo la Grande guerra, qualcuno è ancora disposto a discuterne, sono gli intellettuali, mai gli uomini di cinema, costretti a vedere come gli USA siano diventatati padroni del mercato mondiale avendo costruito, ben prima dello Star System, un sistema di fabbrica non lontano dal modello Ford con decina di migliaia di addetti, registi e attori sono ancora anonimi, ma hanno definito il campo dei generi (il comico, il western, il noir, l’avventura, il sentimentale) il montaggio parallelo e lo story board a fronte di un pubblico di massa che soltanto in un secondo momento diventerà parte del sistema, grazie a una struttura semi monopolistica (controllo produzione, attori e maestranze, circuito distributivo e sale cinematografiche). In ogni parte del mondo, osservando le reazioni del pubblico (analfabeta, contadino e operaio) e borghese nelle aree metropolitane, ci si era accorti che le immagini in movimento, ben più delle fisse, esercitavano una suggestione che poteva essere gestita attraverso la propaganda inducendo modelli di comportamenti ideologizzati. Inutile sarà osservare come le grandi dittature europee abbiano preso per mano l’industria del cinema in nome del popolo e dell’arte, uno stratagemma servito a giustificare e a nascondere il vero contenuto dell’operazione, ancora oggi – ben di più di un tempo – lo spettatore, purtroppo crede che il film… nasca nella sala cinematografica e mai si interroga sul sistema che lo ha prodotto.

Leggere Salvatore Gelsi in acro-polis.it

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L’arte come valore. Lungo il processo della formazione degli Stati Moderni che ha il suo compimento in epoca romantica, insieme alle tradizioni, l’arte ha sempre dato lustro (uomini illustri = artisti) e al contempo identità ai popoli. Non a caso dalle collezioni dei Signori dal XVII secolo nasce il museo, il luogo per eccellenza dove il pubblico visitatore ha davanti a sé la sua appartenenza identitaria nel nome della storia. Dalle istituzioni e dai poteri costituiti si è diffusa l’idea della libertà artistica, della creatività individuale ma nella maggioranza dei casi è prevalso il condizionamento e la sudditanza, gli stessi canoni o l’idea di canone come sistema di regole ne sono le testimonianze nel corso del tempo. Aggiungere questo “valore” alle pratiche industriali e ai nuovi mezzi analogici come fotografia e cinema, il cui fine è stato fabbricare il consenso è ciò che è avvenuto a dispetto del mercato dell’arte che si era già formato lungo la prima metà del Novecento.

I linguaggi. Lo scambio linguistico avviene con le avanguardie: Futurismo, Surrealismo, Espressionismo in particolar modo. Tentativi, prove, passaggi dall’uno all’altro, in prevalenza come ricerca del singolo artista. Un sistema a cui fare riferimento è il territorio molto esteso dell’estetica. Dove il campo si riferisce alle sensazioni, all’empatia, alla ricezione. Nella supposizione che il cinema abbia un suo linguaggio nato da un dispositivo (G. Deleuze, Che cos’è un dispositivo,) si sono applicate teorie dal mondo filosofico, linguistico, semiotico, psicoanalitico che hanno considerato e isolato il film come testo (analoga cosa è stata fatta per un quadro, una corrente, un pittore ecc.) e anche ingenuamente come autore (Bazin, che cos’è il cinema e la nouvelle vague) cosa non nuova poiché i primi approcci critici, provenendo dalla critica teatrale o letteraria, ne applicavano (forse involontariamente perché privi di strumenti specifici) tale categoria trattandoil film come un racconto o romanzo.

Contaminazioni. Dagli anni Cinquanta in poi la sovrimpressione tra linguaggi in chiave sperimentale ha dato forma alla video-art a installazioni o a produzioni, pensiamo alla factory di Andy Warhol, all’uso degli schermi televisivi ecc. Casi dove l’arte è diventata comunicazione, cioè espressione e linguaggio rinunciando a essere un’arte del fare, cosa che non può essere del cinema proprio perché è un prodotto non fisico ma immaginario.

Scambi. Il pittorico, il biografico, la citazione, l’arredo, lo stesso quadro (pensiamo a quadro-inquadratura, quasi una genesi di senso), il documentario divulgativo è quanto molte volte il cinema ha assunto in proprio dal mondo dell’arte. O la divulgazione stessa della Nexo-Sky Arte. Interscambi. Pensiamo ai film di registi famosi che si prestano a documentari su artisti, o altri che utilizzano (in più meno in modo esplicito) opere di artisti nell’iconologia dei loro sguardi collaboranti (Hitchcock con Dalì, Pasolini con Masaccio, Carrà e Morandi, Godard con il colore, Schifano nel cinema, Greenaway con il disegno e l’architettura ecc.

L’immagine digitale, il web 2.0, la realtà aumentata rappresentano tutti un punto di fusione a freddo tra l’uno e l’altro nella logica della inclusione verso un’area indifferenziata alla ricerca di nuovi sensi e prospettive. Si può parlare ancora di cinema come una volta? Forse di Audiovisivi, poi realizzati da chiunque. I milioni di video caricati su YouTube (500 video al minuto, occorrono 3.200 anni per vedere quanto è stato caricato fino al 2017) cosa sono? Cambia il senso della fotografia stessa con un cellulare che dispone di una camera in 4K, con programmi che possono modificare l’immagine a piacimento facendo diventare archeologia Photoshop (Già inquietante a partire dal significato letterale).


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