Il diavolo in corpo: sesso e pornografia

 

Solo il sesso è naturale, non è un prodotto culturale perché appartiene alla specie umana, ma poiché il sesso lo si pratica con il corpo, tutta la storia della sessualità è la storia della manipolazione culturale del corpo.

Tutto il nostro presente sembra non avere alcuna necessità del passato, pare abbia rinunciato a qualsiasi comprensione o spiegazione della contemporaneità. Siamo davanti a un punto di rottura come era avvenuto alla fine del Settecento, quando la classe borghese sostituendosi all’aristocrazia aveva scoperto come l’esistenza di un corpo laico, potesse offrire nuove forme di potere e di controllo.

 

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Non c’è mai stato un corpo naturale o un momento nella storia in cui i corpi non siano stati modellati da pratiche e sistemi culturali. Anche quello biologico non garantisce alcuna certezza, un uomo si può sentire donna e viceversa, è Freud a sostenere come l’orientamento sessuale di ciascuno avvenga per rinuncia a una parte di sé e per rimozione del suo contrario. Il modo di muoversi e di gesticolare, l’incedere, l’allure o la prossemica, l’assunzione di cibo, gli aspetti legati alla riproduzione e molto altro sono state le forme identitarie di ogni gruppo sociale, in qualsiasi latitudine o longitudine del pianeta. Le religioni, i miti, l’antropologia, l’etnologia e le espressioni culturali più varie sono nate per comprendere e giustificare la disposizione dei corpi gli uni tra gli altri. Per millenni il pensiero magico, poi la religione, la filosofia, la medicina e la psicologia hanno messo in relazione mente e corpo attraverso un fantasma chiamato spirito, anima o inconscio. La tradizione e la sua trasmissione hanno ritmato le epoche e i tempi, ha tentato di disporre il corpo in Nord e Sud, Occidente e Oriente.

Solo il sesso è naturale, non è un prodotto culturale perché appartiene alla specie umana, ma poiché il sesso lo si pratica con il corpo, tutta la storia della sessualità è la storia della manipolazione culturale del corpo.

“La grande maggioranza delle persone, uomini e donne, viene integrata oggi attraverso meccanismi di seduzione anziché di controllo, di pubblicità anziché di indottrinamento, di creazioni di bisogni anziché prescrittivi. Per lo più siamo socialmente e culturalmente addestrati e conformati a cercare e raccogliere sensazioni anziché a produrre e guerreggiare”.[1]

Tutto il nostro presente sembra non avere alcuna necessità del passato, pare abbia rinunciato a qualsiasi comprensione o spiegazione della contemporaneità. Siamo davanti a un punto di rottura come era avvenuto alla fine del Settecento, quando la classe borghese sostituendosi all’aristocrazia aveva scoperto come l’esistenza di un corpo laico, potesse offrire nuove forme di potere e di controllo.

Durante l’Ottocento un dualismo schematico e antico era stato il modo di considerare il femminile. Eva, diabolica e tentatrice, femme fatale, dominata dalla passione e capace con il sesso di distruggere il maschio. Ma anche il suo opposto, la Vergine, la donna simile alla Madonna, purissimo angelo del focolare, custode della casa, amorevole nell’accudire marito e figli, accuratamente isolata tra le pareti domestiche, autenticata dal contratto matrimoniale. La società moderna, tra Eva e la Vergine, recupera e stempera una figura intermedia, la Maddalena, ibrido miscuglio delle Marie ricordate nei Vangeli (Maria di Magdala, Maria di Betania) è la peccatrice che, presso il fariseo Simone, bagna con le sue lacrime i piedi di Cristo e li asciuga con i suoi capelli, li bacia e li profuma con l’unguento; si tratta della donna che evade il contratto borghese, mostrando una femminilità seducente e al contempo insidiosa. Molte immagini letterarie tratte da poeti, scrittori e artisti si saldavano con le teorie positiviste dell’inferiorità psicologica e biologica della donna.


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Paolo Mantegazza in Fisiologia del piacere (1854) aveva contribuito a diffondere l’idea di una catena di stereotipi femminili, Karl Vogt provava in modo deterministico con le teorie evoluzionistiche di Darwin, Spencer e Comte come fosse simile al selvaggio o al bambino, piuttosto che all’uomo evoluto. Il sessuologo americano Francis Cooke, in Satana in società (1870) condanna ogni tipo di sessualità praticata al di fuori del matrimonio, ma in particolare la più devastante perversione, la masturbazione (e questo fin dal trattato L’onanisme del dottor Tissot (1760), pratica antisociale in quanto solitaria e degenerativa. La società patriarcale viveva come minaccia la sessualità della donna, non è più sotto il controllo dell’uomo, quando la donna cercava il piacere sessuale indipendentemente dalla procreazione, praticando la masturbazione, che apprende nelle scuole di perversione che sono i collegi femminili.[2]

I medici positivisti italiani Lombroso e Ferrero definiscono le caratteristiche peculiari del femminile rispetto a quelle dell’uomo: tutte qualità – secondo gli autori – che chiaramente ne indicano la completa inferiorità fisica, psichica e morale. Viene trovata la premessa fondativa nella natura stessa, passando in rassegna la femmina nel mondo zoologico. Poi, il loro sguardo si sposta ai primati e l’analisi giunge alla sua anatomia e biologia a: peso e statura, differenze anatomiche, pelo, scheletro, visceri, grasso, sangue, cranio, cervello. E ancora, la fisionomia, i caratteri degenerativi, le funzioni, le secrezioni urinarie, i mestrui, la forza muscolare, le malattie. Si prova ciò che si vuole sostenere pregiudizievolmente secondo i diversi aspetti corporei di volta in volta presi in esame, ovvero l’inferiorità fisica della donna. Ci viene spiegato: “La donna ha avuto sin dalle origini della vita umana una grande funzione protettiva della debolezza, la maternità; mentre l’uomo, gettato in mezzo alla lotta per l’esistenza, ha avuto invece una funzione distruttiva della debolezza, si è incaricato della selezione dei più deboli a favore dei più forti. (…) Ma la debolezza essendo fonte di massima impulsività, nella donna è quasi in uno stato d’equilibrio instabile, per cui uno stesso individuo in una stessa giornata può passare da un estremo all’altro facilmente, e reagire contro ciò che si presenta come nemico, crudelmente; e contro ciò che prende le forme della debolezza, pietosamente. Anche oggi la donna più pietosa, quando sono in giuoco rivalità specialmente se sessuali o materne, diventa crudele, in quelle forme attenuate che la civiltà comporta; e calunnia e cerca di umiliare la rivale, godendosi della disgrazia di lei”.[3]

La Prima guerra mondiale comportò alterazioni profonde nella vita sessuale. Fin dal 1914 era diffusa l’opinione tra filosofi, medici e scienziati che il conflitto avrebbe rinvigorito uomini indeboliti da decenni di pace e dal ritmo accelerato della modernità, la militante futurista Valentina de Saint Pont arrivava a dire che “la donna deve abbandonarsi all’istinto, stimolare gli uomini alla guerra, alla lotta violenta col gusto sadico della crudeltà per farsi stuprare dai vincitori e procreare così degli eroi”. [4] In Germania, i medici arruolati durante la Grande Guerra ebbero il compito di indagare la dimensione psicologica dei combattenti in trincea: era assai diffuso il timore di possibili disordini sessuali di carattere traumatico. Furono studiati gli effetti della privazione sessuale su milioni di soldati in relazione all’aggressività, all’abitudine alla morte, all’esperienza di uccidere, all’omosessualità e alla masturbazione. La preoccupazione più grande era rappresentata dalla possibilità che il combattimento spostasse le pulsioni sessuali lontano dalle donne alimentando il desiderio di ulteriori violenze o verso un cameratismo ambiguo. Vennero riproposte le soluzioni tradizionali, consegnando i corpi dei soldati a prostitute dietro le linee del fronte, o stampando appositamente immagini erotiche per le truppe. Il picco raggiunto dalla sifilide in tutta Europa dopo quattro anni di guerra può essere un indicatore di quanto accadde dietro le trincee. In trincea la fame di sesso era impellente, ma le difficili condizioni ambientali impedivano anche la masturbazione, sebbene sia stato calcolato dallo stato maggiore Austro-tedesco sul fronte italiano che almeno il 10% dei soldati abbia avuto rapporti con gli animali, preferibilmente cavalli o muli.[5]

Il puritano mondo americano inviò in Europa ben 25.000 donne, non erano soltanto infermiere o ausiliarie addette a piccole mansioni, avevano lo scopo di mantenere alto e saldo l’umore delle truppe. Alla fine del conflitto molte istituzioni si trovarono spiazzate, la differenza sessuale o di gender rappresentava una realtà con cui fare i conti, ritornare al vecchio detto tedesco Kucher, kinder, kircke (cucina, bambini, chiesa) non sarebbe stato semplice. Alla fine del conflitto nella fragile repubblica di Weimar i soldati traumatizzati, i nevrotici di guerra si sommavano ai tradizionali devianti come gli ebrei, gli omosessuali, i criminali e i folli.

Ci pensarono così le dittature e i governi reazionari dalla metà degli anni Venti in avanti a ristabilire ordine e ruoli, coniugando la famiglia sul modello della patria. Il fascismo alimentò l’equivalenza di madre e fattrice con la civiltà contadina e romana, il nazismo si spinse più in là, solo perché la donna doveva consegnare una stirpe nuova e pura in quanto depositaria del gene ariano. Al maschio era concesso di ardire e trovare sfogo nel sesso e nel meretricio, corrispondente a un’attività ritenuta paramilitare. Scompaiono dai giornali le inserzioni di medici specializzati nella cura dell’impotenza, rimangono invece le reclame riguardanti i preservativi, non come antifecondativi, ma come mezzo di protezione contro le malattie veneree.

La Seconda guerra mondiale, ben più della prima fu teatro di promiscuità sessuale, nel 1941 oltre cinque milioni di copie della rivista Life furono inviate ai soldati al fronte, vi campeggiava Rita Hayworth e sotto la didascalia “la dea dell’amore”. Vennero realizzate pubblicazioni come Star and Stripes, Reveille con ammiccanti pin-up e il fumetto erotico-eroico Jane, ma anche le attrici di Hollywood furono impiegate per sollevare il morale delle truppe: da Betty Grable a Jane Russell. A differenza del 1914-1918, la guerra non si svolse in trincea, così i frequenti contatti con le donne dei territori occupati alimentarono una prostituzione necessaria, non esisteva solo una fame di sesso, ma la fame vera e propria, e scambiare beni alimentari con il proprio corpo divenne un modo comune per sopravvivere. D’altra parte, il sesso diventò soprattutto nella Germania dopo il 1945 e in Italia dal 1943 una merce di scambio per sopravvivere. Bastava un invito a cena o un pacchetto di sigarette, tanto da coniare il termine di signorine: né spose, né ragazze, né prostitute.

I giapponesi non furono da meno, è stato calcolato che non meno di 300.000 ragazzine di 12-13 anni furono strappate dai villaggi del Sud Est asiatico per costruire i “villaggi dell’amore” per l’esercito del Sol levante. Nella maggior parte dei casi, rispetto al primo conflitto mondiale, il sesso assunse la forma dello stupro, destinato poi a ripetersi fino a oggi in tutti i conflitti del mondo contemporaneo nella forma più semplice e immediata della pulizia etnica.

Oltre l’80% delle truppe impiegate in Europa ha ammesso di avere avuto rapporti sessuali. Lo stato maggiore dell’esercito americano ha calcolato che dal 1943 al 1945 un militare intrattenne mediamente non meno di 25 rapporti sessuali con donne diverse, sebbene i preservativi fossero distribuiti e razionati a quattro al mese e il fenomeno delle “spose di guerra” non venne affatto sottovalutato, ma scoraggiato con la restrizione dei visti di ingresso.

Erano passati solo tre anni dalla fine del conflitto quando il biologo americano Kinsey uscì con Il comportamento sessuale dell’uomo e nel 1953 con Il comportamento sessuale della donna; i rapporti usando una notevole documentazione di oltre 10.000 casi, permise di costruire una scala che misurava il comportamento sessuale assegnando un indice da zero a sei, dove lo zero indicava la piena eterosessualità e sei la totale omosessualità, ma già con uno la prevalenza eterosessuale con incidenze omosessuali. Insomma, esisteva una fluidità, mai pensata prima: “Soltanto la mente umana inventa categorie e cerca di forzare i fatti in gabbie distinte. Il mondo vivente è un continuum in ogni suo aspetto. Prima apprenderemo questo a proposito del comportamento sessuale umano, prima arriveremo ad una profonda comprensione delle realtà del sesso”.[6]

 


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Ma furono soprattutto i dati contenuti nell’inchiesta a sconvolgere l’opinione pubblica: il 46% dei maschi aveva interagito sessualmente con entrambi i sessi, il 37% aveva avuto un’esperienza omosessuale, per le donne la percentuale era del 7%. Il 50% dei mariti aveva intrattenuto rapporti sessuali extraconiugali contro il 26% delle donne; il 92% dei maschi aveva praticato la masturbazione contro il 62% delle femmine. Si levarono duri attacchi a Kinsey dipinto come un perverso depravato, comunque il tabù sessuale della coppia perfetta era stato violato.

Tra il 1953 e il 1956 si era scoperto che era possibile modificare il ciclo riproduttivo della donna, e controllarlo. La sessualità non era più legata alla procreazione, era possibile liberare il piacere fine a stesso, cosa impedita alle generazioni presedenti, così il corpo femminile poteva liberarsi di una grande paura e nel 1960 la pillola del dottor Pincus entrò in commercio. Le donne potevano per la prima volta essere le sole a decidere quando concepire un figlio, separando la sessualità dall’amore e dalla famiglia, in altre parole potevano essere come era sempre stato possibile per i maschi.

In Italia solo nel 1968 viene abrogato l’articolo 550 del Codice civile che punisce come reato l’adulterio femminile, mentre per il 587, riguardante il delitto d’onore, occorrerà aspettare addirittura il 1981. Entra in crisi la famiglia, pilastro del sistema sociale che fino a quel momento aveva controllato le varie forme dell’educazione fino alle relazioni individuali. Caratterizzato da una forte tradizione cattolica, il divorzio viene legalizzato nel 1970. Nel referendum del 1974 gli abrogazionisti sono nettamente sconfitti. Lo stesso per l’aborto: autorizzato nel 1978, viene confermato da un referendum nel 1981. Ciò che latita è un’educazione del corpo e della sessualità, i genitori sono portati a riproporre gli stessi sistemi educativi avuti dai propri genitori, una specie di pedagogia del nascondere o meglio del silenzio.

Nell’ottobre del 1969 si tiene a Copenaghen il primo mercato del sesso, si tratta di short di 5-10 minuti, ma sono ancora le pubblicazioni e i giornaletti a tenere banco. Si tratta di una manifestazione pubblica con giornalisti e operatori del settore prevalentemente scandinavi, da pochi mesi la Danimarca aveva depenalizzato la pornografia. In Olanda e Svezia il fenomeno è tollerato e nello stesso anno la corte suprema americana sancisce che la fruizione della pornografia nella propria abitazione è protetta dal diritto alla privacy. Fa capolino la permissività (cade ogni divieto nel 1973 nella Repubblica Federale Tedesca e nel 1975 in Francia) e con essa la possibilità di incrementare un mercato visibile e manifesto in quartieri riservati ai piaceri del sesso, solitamente dove la prostituzione è già acclarata: Amsterdam, Copenaghen, Time Square a New York, Tenderloin a San Francisco, Pigalle a Parigi, Soho a Londra. Accanto ai live-show, i peep-shows, naturalmente i super8. Così nello spazio di pochi anni “la pornografia è passata dalla clandestinità alla disponibilità generalizzata, in sexy shops, edicole e sale cinematografiche spesso situati nel centro di metropoli, città e persino in piccoli centri abitati”.[7]

Allora dove nasce quella vibrazione indotta al nostro sguardo da immagini sempre più invitanti pronte a indurci al sesso visivo? La quasi totalità della proposta pubblicitaria allude – e lo fa sempre più in modo diretto ed esplicito, quasi estremo – alle possibilità esplorative della nostra sessualità. Certo, in prevalenza è l’immagine femminile ad essere accolta con interesse, a entrare attraverso la vista dentro i nostri futuri possibili consumi, quasi che il piacere e il fantasma dell’orgasmo fosse sempre garantito insieme all’oggetto da possedere. È quasi scomparso il vecchio meccanismo che tanto aveva fatto funzionare prodotti e brand, facendo leva un tempo sullo status symbol e sull’invidia, sostituito da qualche decennio da una sorta di economia libidica dove il consumo è solo consumo, come il sesso altro non è che sesso. Non serve più capire, cogliere o decrittarne il contenuto poiché il desiderio sessuale è esso stesso un prodotto, bene da consumare sempre e comunque. Comprare significa gratificare la nostra possibilità seduttiva allontanando l’antico conflitto tra piacere e colpa, un contagio estetico indirizzato consensualmente a una sensibilità “pornofila”. Le merci vengono vendute perché appaiono “sessuabili”, cioè dell’opinione comune, erotiche e allo stesso sesso rappresentano un mercato enorme e sempre più in espansione, una specie di libero scambio e di libero amore illusorio incarna le immagini, mentre le parole sono ridotte spesso a suono di contorno. [8]

La sensazione dominante è quella di essere vittime e carnefici di sé stessi, che il sesso, anzi il porno possa liberare fino a raggiungere una specie di conquista democratica, forse per far parte del popolo della libertà. Da un po’ di tempo è ampiamente diffusa l’idea che si possa misurare la libertà di un paese con la sua legislazione sulla pornografia, considerando la libertà di mostrare sesso equivalente alla libertà d’espressione. Si arriva a pensare un paese libero quello che permette di girare un film porno all’aperto, senza limitazioni o restrizioni. La presenza di una merce o meno, o la sua quantità disponibile è invece molto distante dall’idea di libertà, in particolare nel settore della comunicazione; è un grossolano principio invitare al lassez faire di antica memoria con lo scopo di conquistare etica, morale e diritto. I concetti di democrazia e di pluralismo usati a sproposito, segnalano come i poteri economici forti ci condizionino impunemente, e non solo in Italia il Berlusconismo degli ultimi vent’anni ha fatto proprio queste posizioni pseudo liberali.

Negli anni Novanta le capitali europee dell’industria del sesso sono diventate Budapest, Praga e città dell’ex impero sovietico, ciò non depone verso l’idea che l’assenza di censure sia liberatoria. Anzi, come già in Thailandia e nelle Filippine, le ragioni vanno ricercate nella grande offerta di giovani donne pronte a tutto, prevalentemente per ragioni economiche. La merce fresca e disponibile viene prima della libertà, come dire il liberismo economico (sette-ottocentesco) detta ancora legge sulle libertà collettive, potenziato quando non giustificato o spiegato dalla globalizzazione in atto. Nel 2023 la produzione e la distribuzione di pornografia riservata ai maggiorenni è diventata legale in molti Paesi. Ma in 47, continua a essere illegale prevedendo il carcere quale pena, accade in Europa in Bielorussia, Bulgaria, Islanda, Lituania, Norvegia e Ucraina.

Così come lo fanno gli inglesi o gli olandesi, i sedicenni o gli ottantenni, non ha nessuna rilevanza scientifica. In una società in parte scristianizzata la sessuologia va sostituendosi alla sua funzione millenaria, diventando una specie di religione laica. Raramente o quasi mai viene spiegato che “il piacere sessuale che gli esseri umani riferiscono quasi esclusivamente alle parti genitali, non proviene da queste: negli organi genitali non esistono recettori del piacere. Il piacere si genera a livello del sistema nervoso centrale, nella modalità in cui il lavoro del cervello inconscio viene trasmesso alle strutture cerebrali della percezione consapevole. (…) Le sensazioni sessuali hanno una loro specifica qualità nella soggettività che le distingue da tutte le altre sensorialità”, sostanzialmente perché nei genitali non ci sono recettori specifici, ma soltanto recettori tattili, termici e dolorifici, né vi sono specifiche vie nervose periferiche tanto che i recettori dei genitali utilizzano nelle loro afferenze con gli altri sensi. [9] In altre parole, il piacere sessuale è una costruzione mentale, un particolare flato emozionale.

Nel 2006, negli Stati Uniti, il porno aveva generato 2,84 miliardi di dollari, il 72% dei “porn users” era maschio (il restante 28% femmina); il 70% del traffico veniva generato in orario lavorativo (dalle 9 alle 17), le pagine con contenuto pornografico erano stimate in 372 milioni. Le stime di fatturato calcolate dall’Eurispes partono infatti da 224 milioni di euro nel 2002 e salgono fino a 301 milioni nel 2003, per poi scendere a quota 181 milioni di euro nel 2004. Nel 2004, l’anno in cui si registra una forte contrazione del volume d’affari, le voci del fatturato sono così suddivise: 171 milioni di euro per il porno pagato a connessione e 10 milioni di euro per il porno pagato con carta di credito. L’indagine traccia anche 9 profili di consumatori tipo e delinea la percentuale di appartenenza a ciascun universo statistico di riferimento. Nel nostro Paese la popolazione maschile tra i 15 e i 69 ammonta a circa 20 milioni 500 mila individui. Per opportunità statistica l’Eurispes ha suddiviso il dato tra maschi adolescenti (15-18 anni) e tra maschi adulti (18-69). I primi sono 900.000, i secondi 19.600.000. Per le donne la fascia d’età di riferimento presa in considerazione è quella dai 18 ai 50 anni, il che corrisponde a circa 13.230.000 soggetti femminili. I più numerosi, valutati in 3 milioni, sono i rapiti dello schermo: giovani e comunque non oltre i 40 anni, attaccati alle Tv all sex e alle preview gratuite dei siti Internet. Seguono gli habitué di coppia, 2 milioni acquistano nei sexy shop accompagnati da mogli o fidanzate o amanti: prediligono i DVD o i film in pay-per-view. In qualche modo speculari sono le donne in coppia, valutate in 1.100.000, comprano lingerie sexy e gadget. In 600.000 sono i giovani principianti, adolescenti incuriositi dal sesso e dalla voglia di rispondere agli impulsi corporei e disubbidire all’autorità dei genitori, sottraendosi in qualche modo al loro controllo, navigando in rete o comprando riviste e fumetti porno. In tutto il mondo, la domenica è il giorno più popolare per visitare Pornhub, mentre il venerdì tende ad avere il traffico più basso. Molto di questo ha a che fare con le ore in cui le persone preferiscono guardare il porno. Gli orari di punta della visualizzazione sono in genere dalle 22:00 all’1:00, ma nei fine settimana (poiché le persone tendono a rimanere alzate più tardi e a dormire più a lungo), l’orario di visualizzazione si sposta nelle ore mattutine.

La sociologa del sesso Jessie Ford, docente alla Columbia University ha affermato: “Le persone spesso pensano al sesso e al porno come un regno della vita guidato biologicamente, ma io sostengo che è molto più simile ad altri aspetti della vita sociale di quanto la gente possa pensare. Le persone trascorrono la maggior parte del tempo su Pornhub dopo il lavoro, a fine giornata, a tarda notte e talvolta nell’ora della siesta subito dopo pranzo. Le persone guardano meno venerdì, sabato e domenica perché probabilmente sono fuori a fare altre cose. Quindi mi piace pensare che il porno sia molto connesso ad altri aspetti e altri ritmi della nostra vita sociale”.

Negli ultimi decenni si è affermata l’idea secondo cui il corpo è un risultato individuale piuttosto che un processo biologico, così tutti si sentono nella necessità di essere pronti, responsabili e disponibili a trasformarlo per il semplice scopo di viverlo. A impadronirsi della coscienza degli individui sono ormai le aziende e i marchi dell’industria dello spettacolo e della moda che stimolano e addestrano al cambiamento, spalleggiate da quelle alimentari, farmaceutiche e cosmetiche, arrivando fino a insinuarsi nella relazione corporea primitiva, quella di madre-figlio, provocando involontariamente già nel bambino insicurezza e incertezza corporea. Il corpo è percepito come un oggetto mutevole da perfezionare continuamente, una specie di manufatto appetibile, in forma, in salute, agile e bello, comunque dinamico e in transito. Occorre esibirlo, curarlo, trapiantarlo, dipingerlo, acconciarlo, accessoriarlo, l’imperativo categorico per milioni di individui sta nel mito e nell’invenzione postmoderna di un proprio e unico corpo, quello che resta della crisi del soggetto. E come abbiamo avuto modo di vedere dice di sé con il sesso. Così la sessualità superata ogni vincolo morale, cioè relazionale, viene esposta e ostentata in una escalation infinita.

In questa iper-sessualizzazione i corpi rimbalzano tra gli oltre 400 milioni di siti porno presenti in internet. Per eccitarsi nella “normalità raggiunta” molti hanno bisogno di dolore o di coercizione. Autopunizione in cambio di supposta liberazione: dai tatuaggi ai piercing sui genitali, dalla depilazione delle parti intime a sostanze farmacologiche per accrescere la libido. Viagra e Cialis per il maschio, il chirurgo estetico o il botulino per la femmina. Siamo davanti alla oggettivazione visiva della sessualità e potrebbe essere lecito sostenere che la pornografia ha conquistato il cinema, la televisione, la moda, la stampa e la pubblicità. Ormai è tutto pornografia, perché il sesso ridotto a bene individuale, a merce di sé scarica sul corpo un’idea inautentica, un peso insostenibile e ineffabile.

Il principio della sostituzione organica o del rimodellamento appare parallela alla dismissione e mancata riparazione dei più comuni elettrodomestici. Se il frullatore o il cellulare si rompe non vale la pena portarlo in un centro di assistenza poiché il costo e pressoché identico all’acquisto di un nuovo prodotto. Buona parte dell’industria elettronica garantisce il rimpiazzo in caso di malfunzionamento e non la riparazione. Tale principio applicato agli oggetti d’uso quotidiano si estende minaccioso verso il nostro corpo: se per il sistema industriale significa abbattimento dei costi e riduzione del tempo di vita del prodotto, nel nostro caso rappresenta un investimento allo scopo di estendere e di far perdurare innaturalmente e in astratto, proprio il corpo. La sensazione immediata è che la disponibilità economica sia proporzionale alla potenzialità di intervenire sui corpi. Non più dettato dal tempo biologico si può allora ritornare indietro o andare avanti con le stesse funzioni di un lettore Dvd, con le stesse modalità con cui comunemente si vede un film porno, velocizzando o rallentando le immagini per trovare, in una catena di immagini troppo lunghe e senza trama, un istante di piacere.

L’industria della bellezza si muove in sintonia con la moda per realizzare una condizione estetica senza la quale sembra non esserci vita, o meglio vitalità, perché viene introiettata la convinzione di non poter reggere se non con ansia dell’attesa, l’ultima moda in fatto di abiti, oggetti da possedere e da mostrare agli altri. Si finisce così per sentire che “siamo noi, nei nostri corpi, abiti e atteggiamenti a essere antiquati. Ci sentiamo motivati a cambiare le cose, in modo da poterci sentire di nuovo in sintonia con il mondo”.[10]

 

[1] Z. Bauman, La società individualizzata, Il Mulino, Bologna, 2001.

[2] M. Foucault, Gli anormali, Feltrinelli, Milano, 2000.

[3] C. Lombroso, G. Ferrero, La donna delinquente, la prostituta e la donna normale, et al/ edizioni, Milano, 2009.

[4] Nipote di Lamartine fu l’autrice del Manifesto futurista della lussuria, 1913.

[5] M. Hirschfeld, The sexual history of the world war, University Press of Pacific, 2006.

[6] A. C. Kinsey, Il comportamento sessuale dell’uomo, Bompiani, Milano, 1967.

[7] P. Adamo, Il porno di massa, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004.

[8] C’è chi sostiene che nel 1999 l’industria del porno legale, cioè solo la vetta dell’iceberg, abbia superato l’industria Hollywoodiana.

[9] A. Imbasciati, La buona sessualità e le cosiddette disfunzioni sessuali in una prospettiva transgenerazionale, Rivista di psicologia critica, n.1, 2008.

[10] S. Orbach, Corpi, Codice edizioni, Torino, 2010.


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