I tre totalitarismi che minacciano l’esistenza umana

Sperimentiamo lo spreco del nostro tempo storico e l’invalidità di tutti i predicati della nostra esistenza. Ciò che accadde, alla fine, fu l’inversione della logica della sicurezza e della pace e tutto svenduto nelle borse del profitto, nel prestigio e nella proiezione del potere, nella scintillante festa dell’alba del nuovo mondo dove tutto avrà un senso fatale e uniformità? In nome del nuovo ordine tutto ciò che conosciamo deve autodistruggersi? Forse perché la storia è stata abolita e sostituita dalla cronaca che riscatta tutte le intenzioni negando l’intenzione?
E nel movimento paludoso della cronaca, che ha sostituito la storia, dove carnefice e vittima vengono scagionati, vincitori e vinti sono equiparati, privilegiati ed esclusi sono omogeneizzati e, nell’illusione del nostro tempo, tutto diventa fuochi d’artificio di destrezza condensata. E in questa fantasmagoria della nuova era e nel brivido del nuovo, lasciamo che la guerra sia giustificata come la via diretta dell’equilibrio.
Com’è possibile che la mostruosa violenza della guerra ci trascini verso il basso, che la morte faccia gli straordinari, che le persecuzioni siano legalizzate e che tutto ciò sostenga l’ordine del nostro mondo? Due guerre ai nostri giorni, sul nostro pianeta, ci riportano al passato della pulsione degli istinti selvaggi, alla potenza estrema della barbarie e della decadenza. Come possiamo vivere la fine delle grandi narrazioni, concetti, ideologie, politica, pensiero e non vivere la fine delle guerre? Forse perché non esiste una fine e ciò che viene dichiarato fine non è altro che una corruzione della distorsione di una continuazione. Jean Baudrillard scriveva che “l’esame della fine ci permette di concepire una continuazione “.
Questo è il motivo per cui i costruttori del mondo non hanno mai parlato della fine della guerra. Poiché la guerra non diventa una corruzione di distorsione, rimane la stessa con gli stessi tempi di morte, gli stessi tassi geometrici di distruzione e lo stesso ingrato malinteso che diffonde miseria, dolore, povertà e dispiega dolore e ingiustizia.
Le due guerre del nostro pianeta sono un conflitto tra il totalitarismo tecnocratico “progressista”, il totalitarismo assolutista e la teocrazia con il suo carattere extraterrestre. Tutti e tre i totalitarismi desiderano mostrare la loro potenza e diventare modelli di superpotenza. Hanno diverse burocrazie consolidate, con distinto carattere sistemico funzionale e integrazione delle azioni, pur avendo livelli contrastanti di integrazione sociale.
I totalitarismi moderni richiedono imperativi riproduttivi disparati che mitologizzano proposte di vita reciprocamente incompatibili, con strutture eterogenee del loro biomondo e, naturalmente, livelli incompatibili di azioni comunicative. Le loro differenze sono molte, convergono solo nella inevitabilità (ametachárago) del loro autoritarismo. Cosa cercano? Dimenticare il realismo della pace e lasciarsi condurre a rivalità e rivendicazioni, scatenando guerre di prestigio e potere in tutto il pianeta. Le guerre oggi sono raggiungimenti drastici dei totalitarismi di disumanizzazione.
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Autore: Apostolos Apostolou è professore di Filosofia politica e sociale presso le Università di Panteion (Athene), di Padova, Roma, Milano, presso l’Università Federiciana Popolare di Roma, nonché presso la Scuola Nazionale della Pubblica Amministrazione e dell’Autogoverno.
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Una cosa è infatti lo scambio mercantile, l’astrazione della merce, dell’equivalente generale, tutto ciò che descrive il movimento del valore, e la forma storica del capitale. Altra cosa è la situazione attuale in cui il denaro è l’oggetto di una passione universale che va ben al di là del valore e dello scambio mercantile. Questo feticismo del denaro, davanti al quale tutte le attività si equivalgono, esprime il fatto che nessuna di queste attività ha più una finalità distinta. Il denaro diventa allora la ritrascrizione universale di un mondo vuoto di senso. Questo denaro feticcio, attorno al quale gira la speculazione mondiale, ben al di là della riproduzione del capitale, non ha niente a che vedere con la ricchezza o con la produzione della ricchezza – esprime la debolezza del senso, l’impossibilità di scambiare il mondo con il suo senso, e nello stesso tempo la necessità di trasfigurare questa impossibilità in un segno qualsiasi – il più qualsiasi di tutti, quello che esprimerà meglio l’insignificanza del mondo.
È necessario dunque che il mondo abbia un senso? Questo è il vero problema. Se potessimo accettare l’insignificanza del mondo, allora potremmo giocare con le forme, con le apparenze, e con i nostri impulsi, senza preoccuparci della loro destinazione finale. Se non ci fosse questa esigenza che il mondo abbia un senso, non ci sarebbe motivo di trovargli un equivalente generale nel denaro. Come dice Cioran, siamo dei falliti solo a partire dal momento in cui crediamo che la vita abbia un senso – e a partire da lì, lo siamo tutti, perché non ce l’ha. D’altra parte è perché questo denaro feticizzato esprime un’assenza pura e semplice che diventa speculativo, esponenziale, condannato esso stesso al crac e alla deregolamentazione brutale.
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