I giochi di parole attorno al massacro di Gaza

 

La strage continua a Gaza, giorno dopo giorno, a telecamere accese e a pallottolieri operosi quanto immemori: sembra quasi che si autoalimenti, che la ferocia tragga nuova giustificazione e rinnovato vigore a proseguire nel suo dispiegarsi, imperterrita e beffarda e motivata, con la pretesa di un’autodifesa che ormai ha abbondantemente superato la soglia del ridicolo.

 

 

Dal sostantivo greco antico “γένος” (genere, origine, discendenza) e dal verbo latino “caedo” (uccidere, massacrare): “genocidio”. Nessun riferimento religioso, quindi, né regionale, né culturale, né storico: nessuna particolarità che possa indicare la riferibilità di tale termine a determinati e tristemente feroci accadimenti del passato. Nessuna targhetta che possa esservi appiccicata.

La strage continua a Gaza, giorno dopo giorno, a telecamere accese e a pallottolieri operosi quanto immemori: sembra quasi che si autoalimenti, che la ferocia tragga nuova giustificazione e rinnovato vigore a proseguire nel suo dispiegarsi, imperterrita e beffarda e motivata, con la pretesa di un’autodifesa che ormai ha abbondantemente superato la soglia del ridicolo. Che poi i massacri avvengano sotto i flash delle macchine fotografiche, con noncuranza, mentre disperati di ogni (ma proprio ogni) età, privi di qualsiasi alternativa, cercano di accaparrarsi un po’ di cibo, non solo per sé ma magari per i famigliari, lottando tra loro per giunta, è qualcosa di davvero “oltre”. Anche l’escalation dei coloni in Cisgiordania ne è alimentata. Processo contagioso, che avviene, salvo eccezioni simboliche, con la sostanziale compiacenza americana e dei paesi europei, con tardiva quanto, a questo punto, ipocrita esecrazione di facciata, priva di conseguenze economiche nella stragrande maggioranza dei casi. Ma lo sconcerto aumenta esponenzialmente quando ci si soffermi su ovvietà: sulla storia degli ebrei, martoriati, perseguitati, umiliati, emarginati, ed ora affetti dalla presunta ineluttabilità della tanto desiderata distruzione dell’odiato nemico.

Fa un certo effetto sentire interviste di israeliani comuni (ma poi chissà se lo sono davvero), che affermano cose del tipo: “Vogliono ammazzarci, ce ne dobbiamo liberare”, con fare più o meno compassato, quasi rassegnato. Ancora, è molto in voga la distrazione, nel frattempo tipica, che fa riferimento al dissenso interno in Israele, quasi che la sua sola esistenza bastasse a lavare le coscienze.

Quanto si è andati avanti con questa ripetizione (non voglio usare i termini religiosi che mi venivano in mente): “Non è genocidio!”, “Però, tecnicamente…”.  Quanti giornalisti si sono prodigati in quest’opera di menzogna? E sempre dalla stessa parte politica, ci mancherebbe. Lo fanno ancora, comunque, in modo diverso, con un sostanziale inquinamento mirante all’accreditamento personale, ad un salvacondotto che li preservi dalla verità, con relativa vidimazione di prona fedeltà. E s’infervorano pure, negando l’evidenza in un gioco che li ripaga.

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La neutralizzazione della Resistenza al nazifascismo

Alla fine, lo spartiacque tra destra e sinistra è così segnato. La destra, governativa e non, copre i massacri del governo Netanyahu, il più a destra nella storia di Israele, e lo fa contro la sua storia di vergognosi, strumentali quanto poco credibili ammiccamenti all’Islam, a Gheddafi, a Nasser e quant’altro. Non scopro nulla se dico che i contenuti antisemiti sono stati, indubitabilmente a mio giudizio, parte sostanziale del discorso neofascista post-repubblichino, col suo intrinseco portato razzista, che si riverbera nel presente attraverso le pulsioni peggiori, che ancora si estrinsecano con linguaggio greve, minaccioso e basico, quantomeno. Insomma, la tematica, ivi, è sempre stata quella dell’esclusione.

Ad esempio, il grande Gianni Flamini nel suo Il partito del golpe. 1968/1970 (volume secondo, Italo Bovolenta editore, 1982) ci ricordava che, durante la decima assemblea del Nouvel Ordre Européen (NOE), riunitasi il 5 e 6 aprile 1969 a Barcellona, si affermava che

…la favola dei sei milioni di ebrei gassati serve a mantenere il popolo tedesco sotto tutela e a far fallire ogni risveglio europeo …

La panzana degli ebrei visti come il cardine del «sistema» da abbattere attraversa la destra estrema di Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale e Lotta di Popolo negli anni Settanta, ma arriva sostanzialmente fino ai giorni nostri, tratto distintivo della conservazione.

Non serve comunque allontanarsi troppo nel tempo e nello spazio, in quanto esempi assurdi di negazionismo antisemita li ritroviamo in tempi recenti anche a Trieste, tra esponenti del Movimento Sociale Italiano, il partito dei reducisti e riciclati per eccellenza. La rivendicazione ingiustificatamente orgogliosa di un quantomeno fumoso passato attraversa il partito Fratelli d’Italia attraverso la trasfigurazione di figure ambigue se non chiaramente affette da sovversivismo, sanzionato anche legalmente. Ma tant’è! L’eccezione morale si avvale dell’oblio, dell’omissione selettiva e disonesta alla quale ci ha abituato la storia.

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Gianni Bosi, triestino, figlio di profughi istriani, è professore ordinario di Matematica applicata alle scienze economiche presso l’Università degli studi di Trieste. Autore di quasi un centinaio di pubblicazioni scientifiche di rilievo internazionale riguardanti le applicazioni della matematica alla teoria delle decisioni ed alle scienze sociali, è titolare di incarichi presso il Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica. Con Asterios ha pubblicato:

(Clicca sulla copertina per leggere la scheda)

 

 

 

 

 

 

 


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