L’assassinio di Abele, per sempre sulla fronte di Caino

“Non in nome nostro”, hanno gridato studentesse e studenti ebrei a Berlino e New York qualche mese fa, prima di essere arrestati dalla polizia. Le manifestazioni contro le politiche del governo israeliano che si svolgono fuori da Israele vengono immediatamente liquidate dalla stampa come antisemite, ma quando sono promosse da ebrei, questa accusa non regge. “Questa potrebbe essere l’unica leva che ci rimane… – scrive Bifo – Qualunque sia l’esito di quel che accade a Gaza, questo nome non sarà mai cancellato dalla memoria del mondo… Questo marchio non rimarrà forse impresso per sempre, proprio come l’assassinio di Abele sulla fronte di Caino?…”

Il volto dell’Altro dice: “Non uccidere!”. Questa è l’espressione più forte dell’etica ebraica, secondo il pensatore Emmanuel Lévinas. Eppure, ciò che vediamo di più oggi sono i volti supplichevoli che chiedono: “Perché ci uccidete?”. I palestinesi nella Striscia di Gaza muoiono di fame, sete, mancanza di medicine, droni assassini, bombardamenti aerei, sfollamenti forzati, sfinimento, terrore psicologico e fisico… Seppelliscono decine di bambini ogni giorno, i genitori, i mariti, le mogli, spesso intere famiglie, e vediamo devastazione e rivolta, fame e supplica sui loro volti ogni giorno.

Immaginiamo per un attimo che due milioni di israeliani fossero sottoposti da uno stato straniero invasore a una reclusione equivalente. Se fossero stati assassinati più di quindicimila bambini ebrei, massacrate altrettante donne ebree, vergini, donne incinte, donne anziane, madri. Immaginiamo due milioni di ebrei israeliani circondati da ogni lato, morenti di fame, sete, malattie, mancanza di medicine, in città devastate, senza elettricità, senza telefono, costretti a spostarsi costantemente da un luogo all’altro, da una città all’altra, a piedi, alla ricerca di una possibile razione, in balia di bombardamenti casuali, sottoposti a umiliazioni, espropriazioni, alla distruzione delle loro minime condizioni di esistenza, con l’esplicita minaccia aleggiante nell’aria che invoca il loro sterminio totale. Il mondo occidentale non si solleverebbe all’unisono per denunciare un nuovo Olocausto, un genocidio, una barbarie senza precedenti, e usare tutti i mezzi di pressione, economici, mediatici, militari, atomici se necessario, per opporsi e cercare di evitare in tempo un simile massacro? L’Europa, sempre desiderosa di espiare la propria colpa, e gli Stati Uniti, sempre alleati incondizionati, non avrebbero forse inviato nella regione le loro flotte navali completamente equipaggiate? Mi direte che questo scenario immaginario si è già verificato durante la Seconda Guerra Mondiale e che nessuno si è fatto in tempo per contrastarlo. È vero! E questa macchia macchierà per sempre la storia europea e statunitense. All’epoca, secondo quanto ci viene detto, la maggior parte delle persone non sapeva nulla dei Campi. E i pochi che lo sapevano, dal papa al presidente Usa, non hanno fatto nulla. È vero.

Ma oggi, lo sappiamo tutti, lo vediamo in diretta e a colori in televisione e sui social media, eppure guardiamo in silenzio, come se non ci riguardasse. Ma lo sappiamo! Lo vediamo! Siamo testimoni! Perché restiamo in silenzio?

Il governo israeliano afferma di difendere Israele e di impedire che un nuovo Olocausto si ripeta: “Mai più!”. E afferma di farlo in nome degli ebrei di tutto il mondo. “Non in nome nostro”, hanno gridato studenti ebrei a Berlino e New York qualche mese fa, prima di essere arrestati dalla polizia. Lo Stato di Israele non ha ricevuto alcun mandato dalla diaspora ebraica per sterminare, in suo nome, la società palestinese ed espellerla dalla sua terra, tanto meno per decimarla. Le sciocchezze di Trump sulla Riviera mediorientale, così come quelle dei ministri del governo israeliano che propugnano una Nakba definitiva, dovranno comunque essere giudicate dalla storia, così come i loro autori.

Ogni ebreo, per quanto lontano dalla vita della comunità ebraica, per quanto libero da qualsiasi marchio legato alla vita ebraica nella sua dimensione culturale, religiosa o comunitaria, è comunque sopravvissuto, nella maggior parte dei casi, in un modo o nell’altro a una catastrofe collettiva esplicitamente diretta contro la discendenza ebraica.

Per questo mi prendo la libertà di rivolgermi a tutti gli ebrei che ancora provano un senso di repulsione per qualsiasi guerra genocida, soprattutto se commessa da ebrei. Mi rivolgo anche specificamente a tutti gli ebrei che hanno una certa influenza pubblica, scritta, orale, mediatica, accademica, istituzionale, scientifica, politica, artistica, religiosa ed economica (e non sono pochi, ma questo appello si estende ovviamente a tutti), perché so che nulla turba l’establishment israeliano più delle proteste provenienti dagli ebrei ribelli sparsi in tutto il mondo.

Le manifestazioni contro le politiche del governo israeliano che si svolgono fuori da Israele vengono immediatamente liquidate dalla stampa come antisemite e vengono persino utilizzate per rafforzare la fuorviante convinzione che “tutti sono contro di noi”. Ma quando sono organizzate da ebrei, questa accusa non regge: i loro protagonisti saranno, al massimo, bollati come traditori. Questa potrebbe essere l’unica leva che ci rimane. E se questa ondata prenderà slancio, l’alibi che Israele stia agendo in nome e in difesa di tutti gli ebrei crollerà! No, ciò che è in gioco, anche oggi, con l’attacco all’Iran, non è la sopravvivenza del popolo ebraico, che la politica israeliana sta compromettendo direttamente diffondendo la sua rabbia bellicosa e fomentando l’antisemitismo in tutto il mondo, ma la sopravvivenza del governo più brutale, fascista e corrotto nella storia di questo Paese. E, naturalmente, la sopravvivenza del popolo palestinese.

Gli ebrei credo che abbiamo il dovere etico di parlare pubblicamente e di incoraggiare la maggioranza silenziosa a trovare il coraggio di sfidare la tutela ideologica e politica che Israele esercita sulle istituzioni e sulle comunità ebraiche, riducendole al silenzio o costringendole ad adeguarsi automaticamente.

Gli ebrei si sono sentiti personalmente presi di mira dai massacri perpetrati da Hamas contro gli israeliani: tutti si sono sentiti vittime. Com’è possibile che non si sentano personalmente coinvolti quando gli autori di queste torture di massa sono israeliani? Tutto è antisemitismo, tutti sono contro di noi, ripetono, incapaci di vedere le scene della tragedia umana a Gaza perché i media locali si rifiutano di trasmetterle. La narrazione che usa la sofferenza storica del popolo ebraico per giustificare la brutalità di un governo che ha trasformato lo Stato ebraico in un impero teocratico espansionista, coloniale, suprematista e genocida è crollata. È ora di rompere lo specchio che ci riflette l’immagine delle più grandi vittime della storia e di vedere i volti di coloro che, dall’altra parte, implorano e ripetono semplicemente: “Non uccidere”.

Ogni giorno, l’evidenza diventa sempre più evidente: finché i diritti storici, politici e territoriali dei palestinesi non saranno riconosciuti, la legittimità di una patria nazionale ebraica sarà completamente compromessa. Gli israeliani avranno diritto alla pace e alla sicurezza solo se e quando i palestinesi godranno dello stesso diritto. E questo accadrà solo se e quando Israele (e il mondo) riconoscerà la propria responsabilità per la tragedia dei rifugiati palestinesi e mostrerà la volontà di offrire riparazioni storiche, tra cui la restituzione delle terre, il diritto al ritorno negoziato, il risarcimento materiale e immateriale per ogni tipo di perdita e danno, trauma e conseguenze, con un indennizzo adeguato.

Qualunque sia l’esito di quel che accade a Gaza, questo nome non sarà mai cancellato dalla memoria del mondo. Aleggia sulla storia di Israele – e di conseguenza su quella degli ebrei – come una macchia indelebile, una macchia indelebile – proprio come il ghetto di Varsavia sarà per sempre inseparabile dalla storia tedesca. Come potrebbe questo non turbarci? Questo marchio non rimarrà forse impresso per sempre, proprio come l’assassinio di Abele sulla fronte di Caino?

Ciò che un tempo era vergogna si è trasformato in rabbia. Eppure sentiamo che questi pochi gesti che intraprendiamo, queste parole che pronunciamo, questi dibattiti o azioni che proponiamo sono insufficienti. Per la nostra impotenza sulla scena del mondo.