Sull’onda dell’emergenza bellica nel cuore dell’Europa, anche l’Italia ha optato per la corsa al riarmo. In piena crisi ucraina, il 16 marzo scorso, la Camera dei Deputati ha approvato un ordine del giorno che impegna il nostro Paese ad allinearsi alle indicazioni della Nato, aumentando le spese militari. Un incremento degli investimenti nella difesa che sarà molto consistente. Nel giro dei prossimi sei anni, arriveremo a stanziare il 2% del nostro Prodotto interno lordo, contro l’attuale 1,5%.

L’obiettivo di spesa al 2% gira per le sale della Nato dal 2006, e negli ultimi quindici anni è stato ribadito in molteplici occasioni. Per quanto riguarda l’Italia, in particolare, nel 2014 il governo Renzi si impegnò ad allinearsi all’obiettivo dell’organizzazione atlantica entro il 2024. Ma, all’epoca, la promessa non fu ratificata dal Parlamento.

L’Occidente da almeno un decennio aumenta le spese militari

Le cose sono cambiate, e, con la guerra alle porte dell’Europa, deputati e senatori italiani oggi si rimettono agli impegni con la Nato per giustificare una decisione drastica. Nel 2028, si prevede che i fondi destinati agli armamenti ammonteranno a 38 miliardi. Secondo l’osservatorio sulle spese militari Mil€x, nel 2022 la spesa sarà di circa 26 miliardi: parliamo perciò di una crescita di 12 miliardi di euro all’anno. Il che equivale, a regime, a 104 milioni al giorno.

 

La decisione italiana, d’altra parte, segue una strada già intrapresa sia dal nostro Paese che dall’Europa negli ultimi dieci anni. Nel 2014, la spesa militare italiana corrispondeva solo all’1,1% del Pil. E ha continuato a crescere persino durante la pandemia, passando dai 21 miliardi del 2019 ai 25 del 2021. Nell’anno passato, gli Stati europei membri della Nato hanno destinato a eserciti e tecnologie belliche 230 miliardi di euro: un totale quattro volte superiore rispetto a quello della Russia.

La maggior parte dei fondi è destinata a nuovi armamenti

Se prendiamo in considerazione anche Stati Uniti, Canada e Turchia, la Nato, complessivamente, ha investito in difesa più di mille miliardi di dollari, la metà di quanto speso complessivamente nel resto del mondo.

Una grossa fetta dei nuovi fondi sarà destinata al cosiddetto procurement militare, ovvero nuove armi. Secondo uno studio di Milex, circa un miliardo e duecento milioni destinati a Stato Maggiore e Segretariato generale della Difesa verranno investiti in nuovi sistemi d’armamento. Nel 2022, all’insegna della sicurezza nazionale, le spese militari totali dell’Italia a tale scopo supereranno gli otto miliardi di euro: un record mai raggiunto prima.

industria militare europea
Il quadrimotore militare Airbus A400M © Daniel Eledut/Unsplash

Quali nazioni hanno già stanziato il 2% del Pil per la difesa

Nel 2021, dei 30 membri aderenti all’organizzazione, la Nato afferma che soltanto otto hanno speso più del 2% del loro Pil nella difesa: Stati Uniti (3,57%), Grecia (3,59%), Polonia (2,34%), Regno Unito (2,25%), Croazia (2,16%), Estonia (2,16%), Lettonia (2,16%) e Lituania (2,03%). Quello che Trump amava chiamare il “2% club”. Con la decisione del Parlamento, oggi ci siamo, quindi, allineati anche noi alle indicazioni della Nato, che, tuttavia, non sono vincolanti.

Tale soglia del 2% viene definita dalla Nato stessa come un indicatore della volontà politica e dell’impegno di ciascun membro a contribuire alla credibilità dell’alleanza. Da non confondere con la quota associativa che i membri pagano per fare parte dell’alleanza, che equivale allo 0,3% della spesa pubblica dei singoli Paesi. Sotto il grande ombrello della Nato, l’Italia, finora, non è stato dunque l’unico membro a non entrare nel club del 2%: oltre due terzi dei Paesi firmatari, a oggi, si sono tenuti al di sotto della soglia.

«L’aumento della spesa militare non ha alcuna giustificazione tecnica»

I danesi con un referendum decideranno se allinearsi alle politiche difensive dell’Unione europea. E nei prossimi due anni assisteranno a un aumento della loro spesa militare di 800 milioni. L’obiettivo della prima ministra Mette Frederiksen è di raggiungere la soglia del 2% entro il 2033. Una decisione che, secondo il Guardian, porterà le casse dello Stato scandinavo a registrare persino un deficit, dal 2025 in avanti.

Tutto questo per raggiungere un obiettivo che, come ha commentato Francesco Vignarca,  analista e fondatore di Milex, «non ha alcuna giustificazione tecnica, nessuno ha mai detto che serve il 2% del Pil per fare determinate cose. Semplicemente, quando è stata stabilita questa quota tutti i Paesi, a parte Stati Uniti, Regno Unito e Grecia (con un enorme debito sulle spalle) erano sotto la soglia. Peraltro si tratta di un parametro insensato per essere usato come preventivo: in primo luogo perché il Pil guarda anche alla ricchezza prodotta dai privati, ma soprattutto perché non lo puoi prevedere. Non appiamo quale sarà il Pil del 2022, figuriamoci quello del 2023. È solo un parametro usato in maniera fittizia e strumentale per spingere verso un aumento delle spese militari».

Aumentano le spese militari ma nel Def si tagliano i fondi a scuola e istruzione…

E mentre il parlamento impegna il governo ad aumentare fino al 2% del Pil la spesa militare, nel documento di economia e finanza (Def) varato a inizio aprile spariscono gli investimenti promessi. Le spese di emergenza dovute al Covid sono state solo una parentesi e non investimenti strategici per rafforzare la scuola e l’istruzione.

Nel 2025 la spesa per queste ultime scenderà al 3,5% del Pil. Un calo drastico rispetto al 4% del 2020 e meno anche del 3,6% del Pil del 2015. Senza contare che negli altri Paesi europei nel 2019 la media era il 4,7% del Pil dell’Unione. Con alcuni Paesi (Svezia, Danimarca, Belgio) che sforavano il 6%. Per avere un’idea: la differenza tra 3,5 e 4,7% in Italia sono circa 20 miliardi.

Fonte: valori.it