Raccontare la nascita

“Il cosmo si muove si espande tutto è moto tutto pulsa… Era diverso da tutto ciò il tuo corpo?” Agnese Seranis

Racconti di nascita” è stato il titolo di una rubrica della rivista “Lapis” (1987-1997). Si intendeva dare voce a esperienze di gravidanze e parto, che non sono identificabili con la maternità. Oggi, a seguito della grave vicenda della madre che ha perso il figlio per essersi addormentata dopo il parto, nell’ospedale Pertini di Roma, quei racconti si può dire che hanno fatto irruzione sui social, denunciando non solo le carenze ospedaliere, ma la vasta gamma di pregiudizi – “violenza ostetricia” —, ideologie sessiste, imposizioni arbitrarie, di cui sono fatto oggetto le donne, nel momento del parto, e di cui la solitudine in cui sono lasciate è solo un aspetto.

Qualche riflessione sulle ambiguità che accompagnano il parto e la maternità

Il racconto di gravidanze, parti, rapporti materni e filiali, ha accompagnato la storia del femminismo, sia pure percorrendo strade traverse, sentieri in ombra rispetto alle vie maestre del pensiero teorico. Nel corso dei dieci anni di pubblicazione, la rivista Lapis (anni Novanta) ha accolto, in una rubrica omonima, “racconti di nascita” strappati all’oblio a cui sembra destinata fatalmente un’esperienza in cui convergono, alternati o confusi, vita e morte, pienezza e svuotamento, potenza e miseria, dolore fisico e gioia, riappropriazione e perdita di sé. Si può pensare che sia questo paradosso, oltre alla invasività crescente delle biotecnologie, a rendere così faticosamente dicibile il parto, come soglia che recide un cordone di carne tra due esseri per riannodarlo subito dopo in un seguito di cure, affetti, responsabilità, che sembrano non finire mai: madre, non per la durata di una gravidanza, ma per sempre, come l’infanzia, del resto, che ci si lascia alle spalle, ma che allunga la sua ombra per l’intero corso della vita.

Eppure, se si scorrono i “racconti di nascita” di Lapis, e scritture analoghe di donne – penso al libro di Agnese Seranis, Io, la strada e la luce di luna (edizioni del Leone, 1989) – l’idea di grandezza, potenza, sacralità del corpo femminile che genera, è tutt’altro che assente, accostata quasi sempre a sentimenti che la smentiscono, per riafferrarla subito dopo. Seranis, fisica e originale esploratrice di un immaginario femminile popolato delle figure e delle suggestioni che l’uomo ha attribuito al corpo diverso dal suo, scrive: “C’erano poi dei momenti in cui sentivi di appartenere alla Natura e trovavi un totale appagamento sapevi perché esistevi: perché la Vita continuasse. E eri invasa da un sentimento di forza di potenza immensa. Il cosmo si muove si espande tutto è moto tutto pulsa… Era diverso da tutto ciò il tuo corpo?… E la percezione a volte di essere divorata da dentro da un estraneo che si era introdotto nel tuo corpo e che senza pietà avrebbe fatto scempio di te. Questo essere così inerme in apparenza ha come alleato la Natura o meglio la Vita che giocherà tutto per tutto perché nulla la fermi decisa a lasciarti come un tronco vuoto se ciò fosse necessario al nuovo germe. Eppure a te è lasciato, tu possiedi un potere immenso perché tu puoi decidere di fermarlo quel processo fosse anche uccidendo te”.

Privilegio o condanna, accrescimento o perdita, la maternità resta l’epicentro della condizione umana, il “luogo” intorno a cui si può pensare che abbia preso forma il dominio maschile e la differenziazione violenta tra i sessi, l’ostacolo maggiore a ripensare i nessi tra corpo, individuo e legame sociale, fuori dai dualismi che conosciamo: femminile-maschile, natura-cultura, ecc.

Confrontando i racconti di Lapis con scritti di donne più giovani, quello che sorprende è la straordinaria capacità di dire l’“orrore” del parto, l’inganno con cui ancora si contrabbanda il destino storico della donna con l’“istinto materno”, la misoginia di un’antica consegna al dolore che non a caso vede concordi “cattolici, ginecologi, femministe, medici alternativi, sul fatto che il parto deve rimanere intatto nella sua modalità suppliziale” (Laura Kreyder, Lapis).

Fonte: omune.info

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