I chimici che nella prima metà degli anni Cinquanta sintetizzarono (Karl Ziegler) e produssero (Giulio Natta) il polipopilene isolattico, o Moplen, vinsero meno di dieci anni più tardi il premio Nobel.  Il programma Carosello nei primi anni Sessanta dedicò una serie pubblicitaria proprio al prodotto: non a un oggetto in particolare, proprio al materiale.

L’immortalità della plastica: un cancro per il Pianeta

Si intitolava “Quando la moglie non c’è”. Un marito restava a casa da solo ed era proprio il Moplen a risolvere ogni problema. In forma di carrozzine, di giocattoli, di piatti, di catini per il fare il bagno ai bambini. «Resistente, leggero, inconfondibile – recitava lo spot – è economico, non si rovina e non si consuma». Era un materiale miracoloso. Immortale.

Una sessantina di anni dopo negli oceani galleggiano diverse isole di plastica, di cui la più famosa, si trova nel Pacifico e ha un’estensione paragonabile a quella della Francia. Spiagge e fiumi, in particolare nell’Africa occidentale, sono intasati da cumuli di rifiuti. La plastica, come già intuiva Carosello, è indistruttibile. O, diremmo ogginon è biodegradabile.

Nondimeno si decompone e così continua a vivere anche nei nostri corpi: minuscoli frammenti di sostanza chimiche che conosciamo come microplastiche sono nell’acqua che beviamo e in quello che mangiamo. Scorrono nel nostro sangue e sono state ritrovate nel latte materno. E nei corpi delle altre specie, a partire dai pesci.

Solo il 9% della plastica viene riciclata a livello mondiale

Tale è il desiderio di credere ai miracoli, che ancora oggi proliferano narrazioni con un messaggio ingenuo e pericoloso: la plastica in sé non è un problema, dipenda da come la si usa e tutto sta nel comportamento delle persone, che non devono buttare i mozziconi di sigaretta per terra e devono ricordarsi di fare la raccolta differenziata.

Responsabilizzare gli individui è sempre una bella via di fuga, ma in questo caso i dati ci raccontano con chiarezza che non è così. Solo il 9% della plastica nel mondo viene riciclata. Farlo costa tantissimo ed è difficilissimo: perché “plastica” vuol dire poco, ce ne sono infiniti tipi diversi. Alcuni vengono dal gas altri dal petrolio. Alcuni si possono riciclare e altri no: bisognerebbe dividerli uno per uno e molti comunque resterebbero lì.

Solo nel 2021 prodotti 139 milioni di tonnellate di nuova plastica.

Da fonti fossili

Secondo l’ultimo report di Plastic Waste Makers Index uscito poche settimane fa, nel 2021 abbiamo prodotto 139 milioni di tonnellate di plastica (nuova, non riciclata), proveniente da fonti fossili. Molta di questa è plastica monouso, quella che alcuni Stati come California, Kenya, India e Tailandia avevano vietato già dal 2020 per cercare di fronteggiare il problema.

Eppure, globalmente la produzione rispetto a quell’anno è aumentata del 4,5%. Un chilogrammo di rifiuti in più per ogni essere umano sul Pianeta, soprattutto in forma di packaging e imballaggi. Per dare una prospettiva più ampia, ai tempi di Carosello si producevano circa 2 milioni di tonnellate di plastica all’anno. Oggi siamo a più di 400 milioni e secondo l’OCSE seguendo questa tendenza arriveremo a 1,2 miliardi nel 2060. Montagne di plastica che si accumuleranno, contribuendo non solo ad aumentare l’inquinamento del Pianeta, ma amplificando anche la crisi climatica.

Dall’estrazione delle risorse (gas, petrolio, carbone) al trasporto (camion, treni ma soprattutto oleodotti, con le relative fughe di gas e fenomeni di flaring e venting), dalla produzione realizzate con impianti che funzionano a temperature altissime, all’ampia quantità di plastica che non potendo essere riciclata viene bruciata, il percorso di vita di questo materiale miracoloso emette enormi quantità di CO2 e metano in ogni sua fase.

Dalla plastica il 3,4% delle emissioni globali di gas ad effetto serra

Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) nel 2019 la plastica è stata responsabile di 1,8 miliardi di tonnellate di emissioni di gas serra, il 3,4% del totale globale, più della percentuale di CO2 del settore dell’aviazione. Vista la crescita prevista per i prossimi decenni, queste emissioni raggiungeranno i 2,5 miliardi di tonnellate entro il 2050.

E se da una parte si corre verso la decarbonizzazione, fra efficientamento energetico delle case e il divieto di auto a diesel e benzina entro il 2035, le industrie del fossile come Eni, Exxon e Shell possono stare tranquille: la crescita della plastica coprirà buona parte delle perdite.

Il problema, appare chiaro, non solo non è individuale, ma non può essere affrontato con successo nemmeno dai singoli Stati. È un problema globale, cui servono risposte condivise, trattati internazionali che regolino la produzione e lo smaltimento.

Cosa dovrebbe contenere un trattato sulla plastica

In un articolo su Bloomberg vengono riportati i punti che secondo Judith Enck (presidente di Beyond Plastics) dovrebbe includere un trattato sulla plastica efficace:

  1. Vietare i prodotti di plastica monouso non necessari.
  2. Investire in infrastrutture di riutilizzo e di ricarica che riducano la nostra dipendenza dai prodotti monouso.
  3. Richiedere che la plastica venga ridotta del 50% nel prossimo decennio e che ciò che rimane possa essere riciclato in modo sicuro, il che significa eliminare le tossine dalla plastica.
  4. Far pagare agli inquinatori della plastica i danni che continuano a causare.
  5. Vietare le esportazioni di rifiuti, in modo che le nazioni siano tenute a gestire i propri rifiuti e a non scaricarli su altri Paesi.

I miracoli non esistono, e quando sembra essercene uno, è probabile che da qualche parte ci sia un prezzo invisibile da pagare. Una sorta di ritratto di Dorian Gray nascosto in soffitta. È andata così con l’amianto, va così con gli energivorissimi server che nutrono il mondo digitale, è così soprattutto per la plastica, il materiale miracoloso per antonomasia. La regola aurea è la stessa che vale in generale per la crisi climatica: viene pagata soprattutto da chi ne è meno responsabile, che sia ad Accra o a Bangkok.

Fonte: valori.it