Falsificazioni

 

E se la filosofia rinunciasse al suo compito ineludibile di misurarsi con il problema della verità? E provasse invece a esplorare la potenza del falso? A decostruirne la matrice? Il falso è stato l’arma ideale per eliminare un nemico, o un popolo nemico o una razza nemica, dall’Affaire Dreyfus fino ai Protocolli dei Savi di Sion. Quando Dreyfus fu arrestato con l’accusa di tradimento, nella lingua europea entrarono due termini nuovi: pogrom e antisemitismo. È la prova che il falso genera parole, genera una lingua.

F for Fake, un film di Orson Welles del 1973, era dedicato, in particolare, ai falsari d’arte, ma aveva la specificità di essere diretto e interpretato, in prima persona, proprio da un principe del falso. Qualche decennio prima, infatti, nel 1938, la radio americana aveva trasmesso un programma destinato a segnare un’epoca, The War of the Worlds, una trasposizione radiofonica del romanzo di Herbert George Wells, operata dal quasi omonimo Welles, secondo un modello completamente nuovo, ovvero attraverso l’adesione mimetica della fiction al reality. L’esito tragicomico della trasmissione, scambiata per un vero radiogiornale da migliaia di ascoltatori, può ancora ai nostri tempi, e soprattutto al giorno d’oggi, farci riflettere sul potere dei media. Che cos’era “verità” nella trasmissione di Welles? E che cos’era la calunnia nell’Othello (1952), uno dei suoi capolavori, dove l’onesto Jago suggerisce connessioni tra frasi ed eventi, ricostruisce scenari improbabili per la trappola micidiale in cui precipitano la povera Desdemona e l’ingenuo Moro di Venezia? In un montaggio pirotecnico e frenetico, il falso occupa la scena, massacrando la verità, ritagliandosi nettamente e obliquamente il proprio ambito vitale nello spazio delle brucianti passioni umane.

Sceverare, scegliere, raccontare, distinguere il vero dal falso: sono tutti questi i compiti di chi esercita il mestiere di filosofo. In un breve testo del 1888, dal titolo Come il mondo vero finì per diventare favola, Nietzsche diagnostica in sei fulminanti proposizioni il nichilismo come esito della modernità, demolendo la nozione di verità che aveva retto tutte le impalcature della tradizione metafisica occidentale. Contenuta nell’opera Crepuscolo degli idoli, questa pagina è una summa non solo del pensiero nietzscheano, ma è soprattutto la storia dell’errore, da intendersi come il vizio dei filosofi che hanno sempre sdoppiato il mondo: un mondo “terreno”, falso, infido, senza importanza e un mondo “celeste”, il mondo delle essenze, l’unico da prendere sul serio e per “vero”.

E se la filosofia rinunciasse al suo compito ineludibile di misurarsi con il problema della verità? E provasse invece a esplorare la potenza del falso? A decostruirne la matrice? Il falso è stato l’arma ideale per eliminare un nemico, o un popolo nemico o una razza nemica, dall’Affaire Dreyfus fino ai Protocolli dei Savi di Sion. Quando Dreyfus fu arrestato con l’accusa di tradimento, nella lingua europea entrarono due termini nuovi: pogrom e antisemitismo. È la prova che il falso genera parole, genera una lingua.

Tutto ciò disloca la filosofia, ossia la lotta per la verità, in un territorio di frontiera, in un corpo a corpo con le innumerevoli fenomenologie dell’errore e del falso, con lo spaccio delle facili verità e della verità che semplifica, ma anche della verità che, per costituzione, è più fragile della menzogna e meno pervasiva. La menzogna interseca invece i suoi doppi, (manipolazione, copia, simulacro, falsa coscienza) che la rendono invasiva e dilagante, nelle forme della vita individuale e sociale. A differenza della verità che ama esporsi, la menzogna “ama nascondersi”: è un’arma che rientra nel fodero, come il silenzio di Jago.

La proliferazione dei messaggi, dei discorsi, delle opinioni, simili al vero, ma false, o delle azioni e dei segni né veri né falsi, non rende possibile una linea netta di demarcazione tra vero e falso. Si pensi al mentire come atto intenzionale, come specifica forma dell’agire politico e agli effetti devastanti che la menzogna può produrre in una democrazia. L’argomento è approfondito da Hannah Arendt e ripreso nel dibattito contemporaneo. Nel suo saggio del 1971, La menzogna in politicaRiflessioni sui Pentagon Papers, pubblicato sulla «New York Review of Books», la pensatrice tedesca spiega come la politica utilizzi la menzogna per aprirsi uno spazio di azione e di manipolazione dei fatti. L’occasione le è data quando il «New York Times» pubblicò, in quello stesso anno, alcuni documenti secretati del Dipartimento della Difesa americano, che contenevano i piani attuati dal governo nel corso della guerra in Vietnam: guerra che poteva essere evitata perché era impossibile da vincere. Migliaia di vite di giovani americani potevano essere salvate. Ma l’amministrazione americana preferì costruire una ragnatela di bugie protratte per decenni, manipolando i dati e nascondendo la verità. L’indagine arendtiana mostra come la menzogna, in quanto linfa che alimenta la politica, comporti gravi colpi inferti alla democrazia.

A.M. e L.C.


https://www.asterios.it/catalogo/ontologia-della-menzogna