Quando arriva mezzanotte

 

Da ottobre è mezzanotte per Karim Kattan, un giovane scrittore palestinese di Betlemme che si impegna, in inglese come in francese, di maneggiare sempre le parole con precisione. “Non avranno il mio silenzio”, giura in questa poesia inedita, “né il mio assenso, non mi finiranno”.

Quando arriva la mezzanotte
della notte,
nell’ora in cui alcuni qui dormono

ma tutti lì guardano, tutti lì sono preda del terrore e della morte seminata dalle mani,

dalle braccia, dalle grida, dalle vociferazioni, dagli aerei, dai fucili di un popolo di soldati che cantano:
finiscili, finiscili

Giuro a me stesso, a malincuore: non avranno il mio silenzio, né il mio assenso, non
mi finiranno

Mi riprometto, mentre condivido la notte, di trattare le parole con la precisione e la chiarezza
che le parole meritano, che
rispetterò la loro luce e la loro verità e

dimostrerò

che i propagandisti
(anche i simpatici propagandisti che sono presentabili, i manipolatori di ambiguità,
che scrivono parole parole molte parole che non significano nulla
che fanno domande che non significano nulla
che si presentano in TV, truccati in modo grazioso,
soffocando l’indignazione,

che in realtà sono i peggiori propagandisti che, dietro i loro sorrisi
la sera
sussurrano
Finiscili, per favore,
finiscili,
e lasciateci in pace)

Dimostrerò, quindi — questo è ciò che giuro a me stesso mentre condivido la notte —,
che i cattivi gestori delle parole, i bugiardi,
gli ipocriti con gli occhi lucidi
di lacrime

sono altrettanto colpevoli e

colpevoli sono anche coloro che tacciono
per paura, pigrizia, confusione
o semplicemente
per stanchezza.

Di notte mi dico
non avranno il mio silenzio, né la mia disperazione

(la mia disperazione la riserverò a coloro che amo e il mio silenzio a lei, l’intimo)

loro, invece, avranno la mia rabbia, chiara e precisa.

Rafforzo la mia anima e la rassicuro:
ascolta la condivisione della notte, guarda lo scintillio degno delle stelle,
non avranno né le sue lacrime né il suo silenzio né la sua debolezza
ma solo
la sua rabbia articolata
la sua denuncia che farà
arrossire i loro
volti di vergogna

almeno questo, un po’ di
vergogna, un po’ di
vergogna,
sarà qualcosa,

non è vero, anima mia,
solo per vederli
abbassare gli occhi per un momento, sopraffatti dalla vergogna,

sarà sufficiente?

Non avranno la tua ferita, anima mia, perché
dirò loro

vergogna sul tuo sangue e
vergogna sul tuo volto
e vergogna
sui tuoi discendenti che dovranno
sopportare, innocenti, il crimine che  tu commetti
o permetti che venga commesso.

La mia rabbia,
articolata,
chiara,
anima mia, te lo prometto,

risplenderà e confonderà i Farisei
e i sofisti,

porterà intere generazioni faccia a faccia
cancellate dalla carta geografica,
mutilate, la terra devastata per decenni, ogni
nome unico,
ogni martire, uno per uno, li perseguiterà con
il sangue sulle loro mani e il sangue nei loro occhi,
non saranno in grado di girare la testa dall’altra parte
abbassare gli occhi
i volti dei martiri, abbassare lo sguardo
gli occhi
all’evidenza della carneficina.

Anima mia, sussurrai alla condivisione della notte,,
la mia rabbia articolata
li porterà a confrontarsi con l’esatto conteggio della distruzione,
(qui, tanti morti, qui, tanti archivi bruciati, là, tanti bambini con le braccia strappate, là, tutte le università devastate, tutti i poeti morti,
tutti morti, i poeti e i panettieri e e e e e e quante madri quanti giornalisti, quanti studenti universitari del primo anno o quante persone che sono solo, semplicemente, persone,

quale sarà il numero, e quale categoria di esseri umani, che provocherà un risveglio, qualcosa,

e conservo degli elenchi, per non dimenticare, se mi viene chiesto, di dire,
sapevi che anche loro hanno fatto questo

e hanno fatto anche questo; non dimentichiamo le carestie, le epidemie, i bambini che chiedono l’elemosina,
soldati che si filmano,
perché tutto è lecito
il mio Paese il mio Paese
non fa più parte del mondo
indicibile ora, e
irrecuperabile d’ora in poi,

e dico questo ai miei amici perché ho paura
se smetto di dirglielo
dimenticheranno

e sto facendo un inventario per poter capire domani e tra dieci anni,
l’entità
dell’irrecuperabile, la profondità
di questa notte).

E ti prometto, anima mia, che attraverso la mia rabbia articolata
comprenderemo
la complicità di ogni soldato e di ogni soldatessa uno per uno, uno per uno
la complicità di ogni mercante che prega “finiscili”, di ogni nonna che giura “finiscili”,
di ogni padre gentile che, mentre rimbocca le coperte a suo figlio, dice: “Piano, non svegliare mio figlio, ma finiscili”,
ogni studente che, mentre sta per concludere la sua tesi di laurea, sospira: “Peccato, peccato, ma finiscili”,
ogni scrittore che, con i tremori nella voce, chino sul suo articolo, implora: “abbiamo provato di tutto, sono pieno
pieno
di
empatia, così pieno che morirei – ma dobbiamo finire,
dobbiamo, così

finirli,

ma
educatamente
per favore,
gentilmente,
ogni medico che dice: “Triste, ma facciamola finita”,
o quello di Parigi, di New York, che se ne lava le mani e dice
“Piango la notte,
che questo viene fatto
ma cosa posso fare?
Cosa posso fare?”
e quello
che si lamenta e mi dice

“Tesoro mio, tesoro mio
non posso farci niente.”

*

E nell’oscurità rafforzo la mia anima e mi dico che se riuscirò a
a dire la frase giusta, esatta

— se alla fine di questa notte la troverò, questa frase giusta, esatta —

sarà come una lanterna per illuminare
il crimine, i criminali
e coloro che li vedono.

Ma l’oscurità mi avvolge, la mia rabbia confusa non diventa mai chiara;
la luce è scarsa, appena un guizzo per illuminare
solo i contorni dell’orrore
la sua forma misteriosa, i suoi fantasmi, la sua notte,

il suo enigma.

Nessuna luce, solo l’enigma e la notte e i fantasmi
che mi inghiottono e
la mia anima, non riesco a uscire dal mio silenzio
o a dire a coloro che già sanno:

vedete, siete complici e responsabili
e tremate perché
lo schizzo sulla vostra anima
sarà indelebile
(lo è già, è troppo tardi, troppo tardi,
anche per voi,
è troppo tardi)
quando avrà distrutto tutto e sarà in piedi
in piedi su un campo di rovine
il suo stivale sui cadaveri mutilati
la sua bandiera conficcata in un pezzo di terra dove le carcasse sono già marcite,
e il suo volto sarà bagnato dai raggi gloriosi di un sole nascente
solo per lei
e chiamerà sua madre per dirle, stanca ma trionfante:
“Mamma, hanno finito!
e sua madre le dirà:
“grazie figlio
per aver finito, grazie
spero che vada tutto bene figlio mio che non sei
troppo
scosso
figlio mio” trema
perché ti ucciderà in cambio un giorno.

Ma non posso, la notte e l’enigma e i fantasmi si chiudono su di me e solo a me stesso
che dico:

vedi il tuo silenzio la tua debolezza
la sua resa
vedere il corpo oscuro dell’orrore
che non può né vedere né dire,

vedere come la lingua ti abbandona e

vedere il suo silenzio
e la sua distruzione

vedere la rovina vedere
l’irrecuperabile
ogni giorno
l’irrecuperabile
e

vedere la sua debolezza

sentirli parlare
a loro agio,
giustificare, tutti a proprio agio,
incoraggiare, a loro agio,
eludere,
a loro
agio,

e vedere il suo silenzio il suo silenzio
vedere come dispiega le sue ali nella stanza vuota
nel buio
e ti soffoca e loro
parlano
a loro agio
nella loro luce, perché anche loro hanno preso la luce,
perché loro sono la luce e tu l’oscurità
loro che sono luminosi, loro che dicono:

mamma, hanno quasi finito, bravo figlio mio, sono
orgoglioso
di te,
riposi tranquillamente
ora,
riposati
riposare,

questa è la luce.

E io ti dico, anima mia, guarda il mondo e vedi
l’irrecuperabile,
la sua vergogna, il suo silenzio e la sua disperazione,
l’irrecuperabile sulla sua testa e sulla loro,

vedi come la loro luce prende tutto, tutto,
ha il diritto di prendere e distruggere tutto, vedi il
contorno della loro luce.

E a mezzanotte la mia anima soffoca, la notte mi avvolge, l’enigma mi penetra,
le parole fuggono da me

e l’oscurità mi dice:
guarda,
e i fantasmi mi dicono:
guarda
e l’enigma mi dice
guarda,
guarda come ti hanno finito.

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Karim Kattan ha inviato questa poesia al quotidiano francese AOC, nostro fratello maggiore.