Risiera di San Sabba e foiba di Basovizza

Il recentissimo articolo di Micol Meghnagi, Lorenzo Posocco e Valerio Angeletti [«Contested Memories in the Border Town of Trieste: A Comparative Analysis of the Risiera di San Sabba and The Foiba di Basovizza», Eastern European Holocaust Studies, 2024, 1-26], pubblicato, come si vede, su una titolata rivista internazionale, mette a confronto, con dovizia di argomentazioni e si potrebbe dire in maniera spericolata (ma sappiamo che così non è), l’unico campo di concentramento dotato di forno crematorio sul suolo italiano ed il monumento iconico che commemora il presunto massacro di massa operato dai partigiani Jugoslavi a danno di Italiani. La rappresentazione che ne risulta è quella, in entrambi i casi, del fascismo come un oggetto estraneo, nel momento in cui gli Italiani (senz’altra accezione) appaiono come vittime ed al contempo combattenti per la libertà. Ne risulta una sostanziale negazione del coinvolgimento italiano nell’Olocausto, storicamente non supportata. Gli autori concludono, correttamente a mio giudizio, che la mancanza di analisi critica ha portato alla giustapposizione della memoria dell’Olocausto e di quella delle Foibe, alimentando così la chiave d’interpretazione storica della destra di governo post-fascista e la sua, per così dire, istituzionalizzazione a livello statale, con conseguente percezione all’esterno.

Lo storico francese Ernest Renan (1823-1892) ha osservato che la mancanza di memoria e la manipolazione storica sono gli elementi fondanti della costruzione di una nazione. Ancora, Edward Alexander, nel suo libro «The Holocaust and the War of Ideas» del 1994, osserva che il “bilanciamento” tra quanto viene commemorato e quanto viene omesso rappresenta una dinamica costitutiva della configurazione del potere, e quindi del suo consolidamento.

Nel loro articolo, Meghnagi, Posocco e Angeletti osservano correttamente che la conseguenza inaspettata del ricordo e della celebrazione dell’Olocausto è quella del rafforzamento dell’identità nazionale, tanto più se basata su una tardiva presa di distanza.

La narrazione dominante e consolidata riguardante l’Olocausto è quella di attribuire tutte le colpe all’occupante tedesco, avvalorando, al contempo, nel caso in esame, il mito del “buon italiano” (si veda, ad esempio, Simon Levis Sullam [«The Italian executioners: revisiting the role of Italians in the Holocaust». Journal of Genocide Research, 19 (2017), Taylor Francis]).

“Voi triestini siete dei vigliacchi e dovreste vergognarvi: avete avuto l’unico campo di concentramento nazista in Italia, la Risiera di San Sabba”. Mi ricordo bene che così aveva detto la mia professoressa d’italiano delle medie inferiori di via Rismondo a Trieste (preside professor Giovanni Moscarda), della quale ricordo anche il cognome, che non riporterò qui. La professoressa in questione aveva avuto problemi con il Provveditorato, si era detto, invero, per una ricerca sui nomi delle vie triestine. L’anno era il 1973 o 1974. In effetti, in territorio italiano c’erano altri tre campi di concentramento: Borgo San Dalmazzo (Cuneo), Bolzano e Carpi Fossoli (Modena). Come è noto, però (si veda ad esempio [Sergio Kostoris, «Contro Joseph Oberhauser», Processo al nazismo per i crimini della risiera di Trieste. C.L.U.E.T. – Trieste – 1978, pagina 108]), a San Sabba era presente l’unico forno crematorio sistematicamente funzionante, come emerge in maniera inequivocabile dalla sentenza del 29 aprile 1976 presso la Corte d’Assise di Trieste, che conclude il processo contro Joseph Oberhauser, condannato all’ergastolo.

Nonostante i tentativi (post)fascisti, ovviamente quantomeno interessati, di attribuire la responsabilità dei massacri ivi commessi ai soli nazisti, rimane l’evidenza che la creazione e la funzionalità del campo non sarebbero state possibili senza la connivenza ed il fattivo supporto degli Italiani (si veda Roberto Curci [«Via San Nicolò 30. Traditori e traditi nella Trieste nazista». Bologna, Il Mulino, 2015]). Sono almeno 372 gli Italiani e gli Istriani impiegati in Risiera a vario titolo (come segretari, lavoratori, traduttori o altro). Tale cifra emerge dall’elenco dei dipendenti civili del Servizio IV delle SS «applicati in vari uffici di comando» (212 persone) e dall’elenco dei dipendenti civili del Servizio di Sicurezza delle SS (160 persone). Vale la pena osservare, con buona pace del mito dell’angelo istriano, che il secondo elenco comprende anche uomini e donne residenti in Istria e nel Fiumano (vedi ancora Roberto Curci [2015, nota 1, pagina 103]).

Una fitta rete di collaboratori italiani permette il perseguimento della soluzione finale in Italia e centinaia di Ebrei passarono attraverso la Risiera di San Sabba per esservi uccisi o per essere deportati nei campi di concentramento dell’Europa dell’Est.

Le “foibe”, cavità naturali tipiche delle aree carsiche, sono state “… largamente utilizzate durante la Seconda guerra mondiale e nel dopoguerra, per liberarsi dei corpi di coloro che erano caduti negli scontri tra nazifascisti e partigiani, e soprattutto per occultare le vittime delle ondate di violenza scatenate a due riprese – dapprima dopo l’8 settembre del 1943 e successivamente nella primavera del 1945 – da parte del movimento di liberazione sloveno e croato. … Nel complesso, un ordine di grandezza tra le 4000 e le 5000 vittime sembra attendibile.” («Treccani Storia», Istituto della Enciclopedia Italiana, 2010, Voce “foibe”, pagina 631)

La bellissima relazione della terza commissione permanente (Affari esteri, relatore Sarti) sottolinea in modo chiaro ed inequivocabile, la causa principale che ha portato alla definizione delle frontiere di Stato tra Italia e Jugoslavia: “Una guerra voluta e perduta dall’Italia, in particolare dalla classe dirigente fascista”. Mirabile esempio di sintesi obiettiva, la relazione ricorda l’ordinanza hitleriana del 10 settembre 1943, che creava la “zona d’operazione del litorale adriatico”.

Il comportamento dell’alleata Repubblica sociale di Salò, caratterizzato da un senso d’impotenza, non può non ritenersi pregno di un “estremo sussulto pangermanista”, mirante a “distruggere il mito e le strutture della Mitteleuropa”, per riaffermare la logica dell’egemonia, della colonizzazione e della rapina culturale.

Autore: Gianni Bosi, triestino, figlio di profughi istriani, è professore ordinario di Matematica applicata alle scienze economiche presso l’Università degli studi di Trieste. Autore di quasi un centinaio di pubblicazioni scientifiche di rilievo internazionale riguardanti le applicazioni della matematica alla teoria delle decisioni ed alle scienze sociali, è titolare di incarichi presso il Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica.  Con Salvatore Gelsi e Roberto Rossetti ha pubblicato con Asterios 〈2023〉, Febbre dal passato. Trieste 1972, romanzo poliziesco.

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