Brutalismo suprematista libertario

Immagine di copertina: graffiti dalle parti di una stazione ferroviaria calabrese.

La devastazione ecologica rende inabitabili aree sempre più vaste del pianeta, e rende impossibile la coltivazione in intere zone. È comprensibile, scrive Franco Berardi Bifo, che le popolazioni del sud del mondo (espressione che significa: le zone che hanno subito gli effetti della colonizzazione e soffrono particolarmente degli effetti del cambio climatico) vogliano spostarsi verso il nord del mondo (che significa l’area che ha goduto dei vantaggi dello sfruttamento coloniale e che ha subito di meno, per il momento, le conseguenze del cambio climatico). La grande migrazione dal sud e dall’est verso il nord e l’ovest del mondo è il processo che più di ogni altro contribuisce all’ondata ultra-reazionaria. Basti guardare la mappa dei paesi che condannano il colonialismo israeliano e dei paesi che lo spalleggiano, per capire la geografia dello scontro epocale che si va delineando. Ma non bisogna credere che la brutalità appartenga soltanto al mondo bianco occidentale: la Russia di Putin non è occidentale, e l’India di Modi non è bianca. Facendo della competizione il principio universale della relazione inter-umana, il neoliberismo ha ridicolizzato l’empatia per la sofferenza dell’altro, ha eroso i fondamenti della solidarietà.

Il vertice dell’ultra-destra bianca occidentale che si è svolto a Madrid il 19 maggio è stato il momento culminante di un processo che sfugge alle categorie della politica moderna. Si continua a interpretarlo con le categorie di cui disponiamo, democrazia, liberalismo, socialismo, fascismo e così via… Ma credo che queste categorie interpretative politiche non colgano l’essenziale di questo processo, che non ha molto di nuovo sul piano enunciativo, programmatico, ma è invece radicalmente nuovo sul piano antropologico e psico-cognitivo.

Le enunciazioni dei leader della destra mondiale non spiegano la forza dirompente del movimento che nessuno sembra in grado di fermare, con poche eccezioni come la Colombia, il Brasile e la Spagna socialista, bastioni di resistenza umana. Le dinamiche tradizionali della democrazia parlamentare e della lotta sociale appaiono travalicate, come se un ciclone di inaudita potenza spazzasse via le difese che la società ha costruito dopo la seconda guerra mondiale.

Nel vertice di Madrid si riunivano formazioni riconducibili al suprematismo bianco occidentale, e non i movimenti che guidano paesi come l’India di Modi, esempio di suprematismo non bianco, e la Russia di Putin, esempio di suprematismo non occidentale. Nella seconda metà del 2024 è possibile che le destre suprematiste conquistino la presidenza statunitense e modifichino la maggioranza del parlamento europeo, alleandosi con il centro. Ma anche se la destra non prevalesse in Europa e i Democratici vincessero le elezioni americane, questo non cambierebbe molto, perché sulle questioni fondamentali – prima di tutto su riarmo, guerra e questione climatica – non vi è più distinzione tra destre estreme, e governi di centro. Anzi, nella situazione che si va delineando, la vittoria del lepenismo alle elezioni di giugno e la vittoria di Trump a novembre, avrebbero l’effetto di  incrinare la compattezza occidentale nella guerra contro la Russia.

Ma l’oggetto della mia riflessione non è l’esito delle elezioni del 2024. Quel che qui mi interessa è comprendere la dinamica antropologica e non meramente politica che ha trasformato le società dell’occidente e di gran parte del pianeta, dopo aver spazzato via il movimento organizzato del lavoro e disattivato una dopo l’altra le istituzioni internazionali dell’epoca liberal-democratica a cominciare dall’ONU.

Si può ridurre quel che sta accadendo a un ritorno del fascismo storico? Direi decisamente di no: il nazionalismo fascista continua a costituire il riferimento principale del linguaggio e della mentalità del ceto politico che cavalca l’onda reazionaria, perché si tratta di gente di scarsissima levatura intellettuale che non ha la capacità di trovare concetti e parole all’altezza della forza che la trasformazione antropologica ha messo loro a disposizione. Mi pare che non esista una coscienza della destra all’altezza della potenza della destra. La brutalità, del resto, è generalmente poco cosciente di sé.

Quel che sta emergendo è un fenomeno di portata gigantesca, che non si può spiegare con le categorie della politica perché affonda le sue radici nella mutazione tecno-antropologica che l’umanità ha subito negli ultimi quattro decenni, e perché costituisce lo sbocco dell’iper-liberismo che ha fatto della competizione (cioè della guerra sociale) il principio universale delle relazioni inter-umane.

Le spiegazioni politiche dell’onda brutalista libertaria colgono solo aspetti marginali del fenomeno: i liberal-democratici sostengono che l’ordine politico è scosso dal sovranismo autoritario. I marxisti, o molti di loro, interpretano quel che sta accadendo come un ritorno del fascismo storico seguito agli errori del movimento operaio organizzato. Ma né gli uni né gli altri spiegano la cosa più importante, la qualità antropologica e psichica che sta alla base dell’adesione di massa ai movimenti ultra-reazionari.

Quel che si tratta di capire non è il senso delle enunciazioni di Trump, Milei, Netanyahu o  Norendra Modi, ma le ragioni per cui una maggioranza crescente della popolazione planetaria abbraccia entusiasticamente la furia distruttiva di questi condottieri.

A differenza del nazi-fascismo storico che praticava un’economia statalista, l’onda suprematista fonde i luoghi comuni del razzismo e del conservatorismo culturale con un’accentuazione isterica del liberismo economico: libertà di essere brutali.

Basta questa novità per spiegare il successo travolgente della poltiglia intellettuale che dovunque suscita l’entusiasmo delle folle?

Dobbiamo pensare che le folle seguano Trump nonostante le sue menzogne plateali, nonostante il suo machismo di bassa lega? E che le folle israeliane sostengano il governo fascista nonostante lo sterminio dei bambini palestinesi, e che la maggioranza degli argentini votino per Milei nonostante la motosega con cui si prepara a distruggere lo stato sociale, e mettere alla fame milioni di lavoratori? O forse il ragionamento va capovolto? Avanzo l’ipotesi che ci troviamo di fronte a una vera e propria inversione del giudizio etico: che gli americani votino Trump proprio perché è uno stupratore e un bugiardo, che gli israeliani appoggino Netanyahu proprio perché pratica il genocidio, compensando un bisogno profondo e inconfessabile di risarcimento dei discendenti delle vittime di un passato genocidio. E che i giovani argentini seguano Milei perché credono che finalmente i migliori potranno eccellere e gli altri moriranno di fame come meritano.

La novità da comprendere è la qualità psichica, cognitiva, antropologica dell’Anthropos 2.0. L’inversione cinica del giudizio, l’entusiasmo per la violenza razzista implicano un pervertimento della percezione e della elaborazione psichica, ancora prima che morale: gore capitalism, come Sayak Valencia definisce la realtà messicana.

Facendo della competizione il principio universale della relazione inter-umana, il neoliberismo ha ridicolizzato l’empatia per la sofferenza dell’altro, ha eroso i fondamenti della solidarietà, e in questo modo ha distrutto la civiltà sociale.

Quando Milei afferma che la giustizia sociale è un’aberrazione non fa che legittimare il diritto del più forte, e galvanizza l’illusione di masse di giovani individui (per lo più maschi) convinti di essere dotati della forza necessaria per vincere contro tutti gli altri. Questa convinzione non si smonta facilmente, perché quando domani questi individui saranno, come già sono, miserabili solitari impoveriti, non faranno che accusare della loro sconfitta gli immigrati, o i comunisti, o Satana, a seconda della loro psicosi preferita.

Mentre la giustizia sociale è condannata come un’aberrante intrusione del socialismo statale nella libertà degli individui, la ferocia competitiva è naturalizzata: nella lotta per la vita chi non è all’altezza della ferocia merita di crepare. L’empatia non è compatibile con l’economia della sopravvivenza, anzi è auto-lesiva. Come dice Thomas Wade nel romanzo di Liu Cixin, Dark Forest: “Se perdiamo la nostra umanità perdiamo qualcosa, se perdiamo la nostra bestialità perdiamo tutto”. Il brutalismo diviene fondamento della vita sociale.

Mc Luhan scriveva nel 1964 che quando la comunicazione interumama passa dalla dimensione lenta della tecnica alfabetica alla dimensione veloce della tecnica elettronica il pensiero diviene inadatto alla critica e viene restaurato il pensiero mitologico. La mutazione tecno-comunicativa si sta rivelando più travolgente delle stesse previsioni di McLuhan.

Secondo il CEO di Netflix, Reed Hastings, il principale competitor delle info-aziende è il sonno. Sommando le ore di attività in multitasking di una persona del nostro tempo la giornata è di 31 ore, delle quali solo sei ore e mezzo sono dedicate al sonno.

In 24/7 Capitalism and the end of sleep Jonathan Crary scrive che il tempo mediamente dedicato al sonno è diminuito in un secolo da otto ore e mezzo a sei ore e mezzo. Quali effetti può avere la contrazione del sonno nell’autonomia mentale di ogni individuo?

Per tredici ore la mente è esposta a stimoli provenienti dall’infosfera. Un lettore di libri poteva esporre la sua mente alla ricezione di segni alfabetici per molte ore, ma l’intensità e la velocità degli impulsi elettronici è incomparabilmente superiore. Quali le conseguenze di questa trasformazione tecno-comunicativa? In sintesi: la mente sottoposta al bombardamento ininterrotto di impulsi elettronici, a prescindere dal loro contenuto, funziona in maniera completamente diversa da come funzionava la mente alfabetica, che disponeva della capacità di discriminare vero e falso nelle informazioni, e che possedeva la capacità di costruire un percorso individuale di elaborazione. Questa capacità infatti dipende dal tempo di elaborazione emotiva e razionale, che nel caso di un ragazzo che vive tredici ore al giorno nell’infosfera elettronica è ridotto a zero. La distinzione tra verità e falsità degli enunciati non è soltanto resa difficile, ma è irrilevante, come quando ci si trova in un ambiente di gaming. In un ambiente del genere non ha senso approvare o disapprovare la violenza degli uomini verdi che invadono il pianeta rosso. Farlo servirebbe solo a perdere la partita.

La configurazione connettiva della mente contemporanea è sempre più indifferente alla distinzione tra vero e falso, tra buono e cattivo. La scelta tra uno stimolo e l’altro non dipende da un giudizio critico ma dal grado di eccitazione, o stimolazione dopaminica. Per fare un esempio personale: la notte del 9 novembre 2016, quando si attendevano i risultati delle elezioni americane in cui Hillary Clinton affrontava Donald Trump, ricordo che mi svegliai alle quattro della mattina per accendere il mio computer e vedere come si era conclusa la contesa. Non che io avessi alcuna simpatia per Hillary, ma consideravo moralmente ripugnante l’idea che quell’energumeno potesse diventare presidente. Eppure mi resi conto che qualcosa in me desiderava che accadesse l’evento più forte, più imprevisto, più scandaloso, insomma, più dopamino-stimolante. E il mio sistema nervoso fu accontentato: l’orrore aveva prevalso, e lo spettatore che è in me ne fu soddisfatto, perché ogni spettatore desidera sempre che lo schermo gli mandi lo stimolo più forte. Credo che la mente connettiva si sia evoluta in una direzione incompatibile con il giudizio morale e la discriminazione critica.

Il marxismo ha generalmente sottovalutato la questione demografica, dopo che Marx criticò le tesi malthusiane a metà del secolo diciannovesimo. Marx aveva ragione contro Malthus, il quale prevedeva che l’aumento della popolazione avrebbe provocato sconquassi senza considerare l’evoluzione tecnica della produttività. Ma i marxisti non hanno avuto altrettanto ragione nel non considerare le conseguenze dell’accelerazione straordinaria resa possibile dalla medicina e dal progresso sociale. Il salto da due miliardi e mezzo di persone nel 1950 a otto miliardi settanta anni dopo ha comportato un’intensificazione senza precedenti dello sfruttamento delle risorse della terra, e ha condotto credo inevitabilmente alla devastazione dell’ambiente planetario. Il capitalismo liberale ha le sue colpe, ma credo che nessun sistema produttivo avrebbe potuto soddisfare le esigenze provocate dall’esplosione demografica senza effetti catastrofici sull’ecologia planetaria, e anche sulla percezione psichica dell’altro: in condizioni di sovrappopolazione l’inconscio collettivo, nella modalità contemporanea di inconscio connettivo, non è più in grado di percepire l’altro come amico, perché in verità ogni altro individuo è una minaccia alla sopravvivenza.

Negli anni ’60 l’etologo John Bumpass Calhoun parlò a questo proposito di fogna comportamentale (behavioral sink).

La devastazione ecologica rende inabitabili aree sempre più vaste del pianeta, e rende impossibile la coltivazione in intere zone. È comprensibile che le popolazioni del sud del mondo (espressione che significa: le zone che hanno subito gli effetti della colonizzazione e soffrono particolarmente degli effetti del cambio climatico) vogliano spostarsi verso il nord del mondo (che significa l’area che ha goduto dei vantaggi dello sfruttamento coloniale e che ha subito di meno, per il momento, le conseguenze del cambio climatico).

È anche comprensibile (per quanto immorale, ma il giudizio morale vale quanto il due di briscola in questa congiuntura) che gli abitanti del nord del mondo siano spaventati dall’idea che masse sempre più vaste si spostino dal sud al nord. Ecco spiegato perché la grande migrazione spinge e spingerà sempre di più le popolazioni del nord verso posizioni apertamente razziste. Ecco spiegato perché il genocidio è già oggi e diverrà probabilmente sempre di più una tecnica di controllo dei movimenti delle popolazioni. Ecco perché gli europei fanno tutto il possibile perché migliaia di persone muoiano affogate nel mare, o disperse nei deserti dell’Africa del nord.

Nel romanzo L’Isola dei fucili Amitav Gosh racconta il ciclo comunicazione cellulare-migrazione.

“Non siamo più nel ventesimo secolo. Per accedere alla rete non hai bisogno di un megacomputer. Ti basta un telefono, e adesso ce l’hanno tutti. E non importa se sei analfabeta. Puoi trovare quel che vuoi solo parlando, il tuo assistente virtuale si occuperà del resto. Ti stupiresti di come la gente impara in fretta e bene. È così che comincia il viaggio, non comprando un biglietto e procurandosi un passaporto. Comincia con un telefono e la tecnologia del riconoscimento vocale.

… Dove credi che imparino che gli serve una vita migliore? Merda, dove credi che si facciano un’idea di cosa è una vita migliore? Dai loro telefoni, naturalmente. È lì che vedono immagini di altri paesi; è lì che vedono pubblicità dove tutto sembra favoloso; vedono roba sui social, post dei vicini di casa che hanno già fatto il viaggio… dopo di che cosa credi che facciano? Che tornino a piantare riso? Hai mai provato a piantare riso? Tutto il giorno curvo fino a terra, sotto il sole, con i serpenti e gli insetti che ti brulicano intorno. Pensi che qualcuno voglia tornare in quei campi dopo aver visto le foto dei suoi amici che bevono caffellatte caramellato comodi in un bar di Berlino? E lo stesso telefono che gli mostra quelle immagini li può anche mettere in contatto con gli intermediari… metti che un tizio chieda asilo in Svezia. Avrà bisogno di una storia attendibile. Non una delle solite menate. Una storia come quelle che vogliono sentire lassù. Metti che il tizio morisse di fame perché i suoi campi erano alluvionati: o metti che l’intero villaggio si fosse ammalato per via dell’arsenico nel terreno; o metti che il tizio venisse malmenato dal padrone perché non riusciva a parlare i debiti. Niente di tutto ciò interessa agli svedesi. A loro piacciono la politica, la religione e il sesso. Devi avere una storia di persecuzione se vuoi che ti ascoltino. È così che aiuto i miei clienti, gli fornisco quel genere di storie…” (Amitav Gosh: L’isola dei fucili, Neri Pozza, 2019, pag. 74-76).

La grande migrazione dal sud e dall’est verso il nord e l’ovest del mondo è il processo che più di ogni altro contribuisce all’ondata ultra-reazionaria, mentre la contrapposizione tra nord imperialista e sud colonizzato assume contorni sempre più netti. Basti guardare la mappa dei paesi che condannano il colonialismo israeliano e dei paesi che lo spalleggiano, per capire la geografia dello scontro epocale che si va delineando. Ma non bisogna credere che la brutalità appartenga soltanto al mondo bianco occidentale: la Russia di Putin non è occidentale, e l’India di Modi non è bianca, ma l’una e l’altra condividono i caratteri essenziali del brutalismo e dell’indifferenza al genocidio.

La possibilità di una rivoluzione anti-colonialista aveva prospettive progressive entro il quadro dell’internazionalismo operaio, ma questo sembra scomparso dall’orizzonte della storia. E la fine dell’internazionalismo ha aperto le porte dell’apocalisse che ora stiamo vivendo.

Dobbiamo considerare il fatto che l’espansione demografica, che rifluisce nel nord del mondo, è destinata a continuare globalmente fino a quando la popolazione mondiale raggiungerà, si prevede, i dieci miliardi. È vero che alcuni demografi prevedono che a quel punto, a metà del secolo, la popolazione terrestre inizierà a scendere con una velocità simile alla velocità con cui è cresciuta nel secolo passato.

Secondo Dean Spears si può disegnare una campana che a sinistra sale vertiginosamente da due a dieci miliardi, per raggiungere un picco verso il 2040 e poi scendere altrettanto precipitosamente. A questo crollo della natalità contribuiscono almeno tre fattori che non intendo analizzare qui: il crollo della fertilità maschile, la reticenza femminile a generare le vittime dell’olocausto climatico e bellico, e la tendenziale scomparsa della sessualità per effetto dell’iper-semiotizzazione del desiderio. Ma è del tutto prevedibile che la brutalità politica e morale che si sta affermando dovunque, unita al crescente potere delle armi di distruzione di massa, e alla razionalità amorale dell’Intelligenza artificiale applicata agli armamenti, provochino il collasso finale della civiltà umana prima che la campana entri nella fase discendente.

Possiamo attenderci un riflusso della tendenza che sono andato qui analizzando? Per rispondere dobbiamo considerare che l’ascesa del brutalismo libertario ha raccolto e raccoglie un’energia che sembra nascere dalla dinamica profonda dell’evoluzione tecnologica, psichica e cognitiva del genere umano. Un’energia di questo genere non può essere arrestata da un’azione volontaria della quale, peraltro, sempre meno si vedono i soggetti politici sociali e culturali. Temo perciò che questa onda potrà fermarsi solo quando questa energia avrà prodotto tutti gli effetti di cui è capace, come il Terzo Reich si fermò solo quando ebbe distrutto tutto quel che poteva distruggere, compresa la Germania. Ma la forza distruttiva di cui dispone il Terzo Reich globale del nostro tempo è sufficiente a cancellare ogni traccia di vita umana dal pianeta.

Fonte: comune.info, 28-05-2024