Le elezioni europee, che si svolgeranno tra pochi giorni, non avranno entusiasmato né i cittadini né i media in generale. Al massimo il 50% dell’elettorato voterà. Solo un terzo dei giovani lo farà. Questa osservazione piuttosto cruda è una caratteristica dei cicli elettorali europei dai primi anni 2000. Tuttavia, ogni cinque anni, ci piace pensare che questa volta sarà diverso dalle elezioni precedenti. E ogni cinque anni, sembriamo fingere sorpresa per la bassa affluenza degli elettori europei.
Tra i sostenitori dell’Unione, i giorni successivi al voto vengono generalmente trascorsi a lamentarsi e ad attribuire la colpa per quella che sembra essere una smobilitazione di massa dell’elettorato. I media non vengono risparmiati e spesso fungono da capro espiatorio, stigmatizzati perché danno poco spazio alle notizie europee. È una sorta di rappresentazione teatrale in cui i protagonisti hanno riproposto le stesse scene così tante volte che probabilmente non se ne rendono nemmeno più conto, anche se lo scenario è cambiato. Come ci ha ricordato il Presidente, l’Unione Europea è mortale.
L’avanzata dell’esercito russo in Ucraina, l’arrivo al potere dei populisti in Europa occidentale, in Svezia, in Italia, nei Paesi Bassi… ma anche forse domani il suo clamoroso ritorno al potere negli Stati Uniti, il riscaldamento globale, particolarmente grave nel vecchio continente, i timori di nuove pandemie… Questi segni lampanti del ritorno della tragedia della storia hanno spazzato via in due o tre anni tutte le certezze su cui poggiavano tutti i dogmi economici liberali dell’Europa post-bellica e post-moderna: il libero commercio, la libera concorrenza e il divieto quasi assoluto di aiuti di Stato, la neutralità economica delle autorità pubbliche, il conseguente pareggio di bilancio, e così via, tutte le leggi di ferro su cui è stata fondata l’Unione Europea sono state brutalmente rese obsolete. Innanzitutto, dobbiamo ammettere di essere scettici sul fatto che lo stesso personale politico e amministrativo che era in comunione con questi vecchi dogmi fino a farne dei mantra assoluti, sia davvero nella posizione migliore per intraprendere la svolta di 180° che essi stessi riconoscono di dover fare… È infatti da un giorno all’altro che ci appelliamo alla manna del potere pubblico, dopo aver tentato di eliminarlo sistematicamente almeno dal Trattato di Maastricht.
Inoltre, come ci si potrebbe aspettare, alcune delle nostre élite politiche hanno cambiato la ‘sostanza’ dietro il sostantivo ‘potere pubblico’. Ad esempio, mentre il “potere pubblico” andava di pari passo con il “tesoro pubblico”, il “denaro pubblico” e la “tassazione”, le nostre élite finanziarie hanno escogitato un primo espediente per compensare la debolezza di bilancio congenita dell’Unione: prestiti congiunti negoziati caso per caso tra i 27 capi di Stato e di Governo. Ma la crisi finanziaria e poi la pandemia hanno dimostrato che questo metodo di governance non era serio e che questo modo di navigare a vista, con negoziati irregolari alla mercé della buona volontà dei Capi di Stato e di Governo, dai più illiberali ai più frugali protestanti, deve essere riformato il più rapidamente possibile. Nel mio recente libro, ricordo le interminabili trattative tra i 27 leader europei durante i negoziati sul piano di ripresa 2020, che hanno portato a tagli considerevoli e alla trasformazione di diverse decine di miliardi di sussidi in semplici prestiti (385 miliardi dello strumento da 730 miliardi).
A dire il vero, non sappiamo ancora come verranno rimborsati questi miliardi di sussidi. Ma non è tutto. I risultati ottenuti da questa governance fallimentare sono tutt’altro che all’altezza. Il piano di rilancio europeo da 750 miliardi di euro (“Next Generation EU”) impallidisce rispetto al piano di rilancio statunitense da 1.800 miliardi di euro (2020), combinato con l’Inflation Reduction Act del 2022 (IRA) di circa 800 miliardi di euro iniettati nell’economia statunitense dall’amministrazione Biden. Va notato di passaggio che i principali contribuenti dell’IRA saranno i principali laboratori farmaceutici (288 miliardi di dollari per il contenimento dei costi dei farmaci) e le grandi aziende, che contribuiranno con 300 miliardi di dollari attraverso la tassazione. Sono tutti attori le cui tasse non saranno aumentate in Europa.
Più o meno consapevoli del problema, alcuni dei nostri leader, agendo su un riflesso liberale pavloviano, si sono rivolti alla creazione di una “unione dei mercati dei capitali” per affrontare le sfide di domani. Hanno trovato la loro nuova martingala. Piuttosto che detrarre una somma proporzionata dai miliardi di risparmi europei distribuiti in modo ineguale per finanziare un “bilancio pubblico europeo”, la soluzione raccomandata è quella di introdurre titoli finanziari europei e un sistema finanziario europeo veramente integrato. A parte il fatto che il compito sembra titanico da un punto di vista istituzionale, testimonia una convinzione fondamentale sulla massima allocazione degli investimenti finanziari ai mezzi di produzione. Tra l’altro, i ricercatori della Banca Internazionale dei Regolamenti (la banca delle banche centrali) hanno dimostrato, al contrario, che i progetti più rischiosi non vengono finanziati dai mercati dei capitali, portando a una correlazione negativa tra la crescita dei mercati finanziari e la crescita reale dell’economia…
Se non c’è un bilancio europeo, non c’è una comunità politica, non c’è un ordine politico e quindi non c’è Europa.
Quello che sottolineo nel mio libro è che l’elefante nella stanza della costruzione europea — un elefante scolpito come chiave di volta di un ordine politico europeo autonomo — è un vero bilancio europeo. Senza un bilancio, non può esistere una comunità politica, né un ordine politico. In questo caso, niente Europa. Ma non solo il bilancio dell’Unione è stato embrionale fin dall’inizio dell’integrazione europea, ma si basa quasi esclusivamente su risorse nazionali e non su risorse specificamente europee. In breve, l’Unione non ha un vero e proprio bilancio. Fino ad oggi, questo era compatibile con lo Stato regolatore liberale degli anni 2000, e i nostri leader nazionali erano soddisfatti di questa situazione. Ora, gli esempi convincenti di Cina e Stati Uniti dimostrano che questo non sarà sufficiente. Il governo statunitense sostiene i suoi settori industriali strategici con centinaia di miliardi di dollari pubblici, mentre è ancora difficile quantificare le centinaia di miliardi di aiuti pubblici forniti dal governo cinese alle sue aziende esportatrici.
Per tenere il passo con i nostri concorrenti, dobbiamo essere in grado di raccogliere denaro pubblico a livello europeo per creare beni pubblici europei come una “difesa comune” e un vero e proprio “Piano Marshall europeo”. Tuttavia, l’aumento delle tasse nelle nostre democrazie occidentali richiede una decisione democratica e collettiva presa dai legittimi rappresentanti del popolo. Il Parlamento europeo non ha questa capacità giuridica all’interno dell’Unione. La tassazione è un’area che richiede l’unanimità dei Capi di Stato e di Governo e la ratifica di tutti i 27 Parlamenti nazionali. Il Parlamento europeo ha solo poteri consultivi su questo tema. Questa norma giuridica europea riflette il fatto che questo Parlamento non ha la legittimità politica necessaria per il metabolismo costituzionale, “quella capacità di mobilitare, in modo legittimo e obbligatorio, le risorse fiscali e umane a nome del sistema politico, al fine di fornire la linfa vitale di un sistema di governo”[1]. Da questo punto di vista, si può affermare che è l’unica assemblea parlamentare occidentale a non avere il controllo finale sulle entrate fiscali del suo ordine politico, anche se è la stessa ragion d’essere dei Parlamenti approvare le tasse nella tradizione costituzionale fin dalla Magna Carta del 1215. Le ragioni di questa illegittimità sono molteplici, ma si riassumono nei bassi tassi di affluenza alle urne in termini assoluti e rispetto a quelli delle elezioni parlamentari nazionali.
Di fronte a questa situazione, si possono avanzare due ipotesi: la prima è quella proposta dai cosiddetti Federalisti fin dagli anni Cinquanta. Il Parlamento europeo deve essere sostenuto politicamente a tutti i costi, in modo che possa gradualmente assumere tutti i poteri di un vero Parlamento a livello nazionale, in modo che possa affermarsi come fonte primaria di legittimità di una futura Europa federale parlamentare, assumendo alcune delle funzioni delle istituzioni nazionali, a partire dalle funzioni legislative e di bilancio dei Parlamenti nazionali. Critico questa posizione tradizionale, ritenendo che sia una strada falsa e impraticabile.
La seconda ipotesi, che difendo, è di tipo habermasiano: se consideriamo giustamente che il Parlamento europeo ha la sua ragion d’essere nel sistema istituzionale dell’Unione Europea, è per definizione la camera che rappresenta l’elemento europeo della cittadinanza dei cittadini europei. Ma accanto a questa camera, dobbiamo fare spazio a una seconda camera, che rappresenti la permanenza, la persistenza e/o la persistenza (a seconda dei casi) delle 27 cittadinanze nazionali idiosincratiche attraverso una camera composta dai Parlamenti nazionali, che sono le istituzioni legittime per rappresentare questa dimensione nazionale della cittadinanza.
È la creazione di una camera di questo tipo che deve essere rimessa all’ordine del giorno dell’Europa, come è stato fatto molte volte nella storia dell’integrazione europea, in modo da poter stabilire una governance europea in grado di mobilitare e metabolizzare le risorse delle società europee. In un momento in cui, più che mai, sono necessari investimenti massicci per recuperare il tempo perduto, per stabilire una ‘difesa comune’ e per ‘rivoluzionare’ il nostro sistema produttivo di fronte al riscaldamento globale, questa soluzione istituzionale è essenziale se l’Europa democratica deve assorbire questi sconvolgimenti. Senza questo tipo di riforma per democratizzare l’Unione, è probabile che scivoli verso la stagnazione economica e, infine, verso l’autocrazia dei suoi membri e/o della sua stessa struttura politica.
Nota
[1] Peter Linseth, « Epilogue : Executives, Legislatures and the semantics of EU Public Law : a pandemic-inflected perspective » in D. Fromage et Anna Herranz-Suralles, Executive-Legislative (Im)balance in the European Union, Hart, 2020.
Autore: Guillaume Sacriste è politologo e docente all’Università di Parigi 1-Sorbona.
Fonte: AOCmedia, 04-06-2024
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