L’uomo del nord

The Northman, 2022, Regia di Robert Eggers

Nonostante la linearità del soggetto, Eggers concentra nella costruzione dell’immaginario del suo film una precisa intensità segnica rendendola inseparabile dalla matrice strutturale del suo racconto, alla ricerca di una vividezza simbolica inusuale ma veritiera. In The Northman, tutto è finzione e allo stesso tempo è realtà, l’accuratezza storica si immerge di substrati inconsci, visioni mitizzanti ed esperienze oniriche. Questo è, dopotutto, l’elemento forte del film: la leggendaria spada, il Valhalla, le streghe, gli antichi rituali sono incorporati in una storia intrisa di sangue, terra e adrenalina. Lo stesso Eggers lo descrive come segue: “Con l’aiuto del brillante romanziere e poeta islandese Sjón, abbiamo deciso di iniziare il film vichingo storicamente più accurato e radicato di tutti i tempi. Abbiamo lavorato con archeologi e storici, cercando di ricreare i dettagli del mondo naturale, cercando di catturare, senza giudicare, il mondo interiore dei Vichinghi: le loro credenze, la loro mitologia e la loro vita rituale. Ciò significa che il soprannaturale è realistico in questo film, perché è così che era la vita per loro”.

Foto di Aidan Monaghan / © 2022 Focus Features, LLC

La Rus’di Kiev, uno Stato vichingo

di Matteo Zola

La Rus’ di Kiev è il primo stato russo, fondato – secondo le antiche cronache – intorno alla metà del IX° secolo. Esso si estendeva su parte dell’attuale territorio ucraino, bielorusso e russo, e aveva come capitale Kiev. Dalla frantumazione di quello stato, avvenuta quattrocento anni più tardi a causa delle invasioni tataro-mongole, si formeranno nuovi principati dai quali, nel XV° secolo, emergerà quello di Mosca. La Rus’ di Kiev sarebbe quindi la “culla” della moderna Russia, e così l’hanno descritta i nazionalisti di ogni epoca omettendo però un dettaglio importante. Come tutti sanno i russi sono un popolo slavo, ma il termine “rus” non indicava gli slavi.

Rus’ era il termine con cui gli slavi che vivevano nelle pianure dell’attuale Russia, lungo il corso del Volga, del Dnepr e del Dnestr, chiamavano le popolazioni scandinave, quelle che noi chiamiamo vichinghi o normanni e che i bizantini chiamavano variaghi. Il termine “rus” tuttavia non appartiene alla lingua slava, è un termine che deriva dal balto-finnico. Già, poiché tra i vichinghi e gli slavi delle pianure c’erano le terre dei balto-finni, e gli slavi – non sapendo come chiamare quelle genti – mutuarono il nome dai loro vicini. Non a caso ancora oggi, in finlandese, la Svezia è chiamata “Ruotsi”.

Il primo ad accorgersene fu un linguista danese, Vilhelm Thomsen, nel 1876: “Rus è il nome assegnato alla Svezia da tutti i popoli del Baltico: in finlandese la Svezia è denominata Ruotsi, in estone Rôts, in livone Ruotsi, e Rôtsi presso i Voti [antico popolo baltico]. Non solo il nome deve corrispondere allo slavo Rus’ ma è altresì fuor di dubbio che tragga origine dalla denominazione finnica”. Francis Conte, slavista della Sorbona di Parigi, spiega l’etimologia del termine “Ruotsi”: esso deriverebbe dall’antico norreno “rôdhr”, poi “rods-menn”, ovvero “gli uomini che remano”. E davvero quegli scandinavi erano esperti navigatori e con le loro leggere navi (drakkar) percorsero i fiumi della grande pianura, razziando ma anche commerciando e, soprattutto, fondando città. Tra queste Novgorod e Kiev, importanti centri dello stato che andavano costruendo, e che da loro prese il nome di “Rus’”.

Nessuno stupore. Sappiamo che le popolazioni dell’alto medioevo erano composte da gruppi di varia provenienza etnica, unitisi durante le lunghe migrazioni, e che si riconoscevano come un’unica gens quando condividevano caratteristiche culturali nel frattempo modificatesi sia nel gruppo di origine che in quello di provenienza. A capo di una gens c’era una leadership politica che Reinhard Wenksus, antropologo tedesco, chiama “nucleo di tradizione”: un nucleo di individui socialmente eminenti di capi, guerrieri e talvolta sacerdoti capaci di proporsi come asse di aggregazione e detentori dei caratteri di un’identità etnica cangiante e adattabile. La Rus’ di Kiev era nient’altro che questo: una élite vichinga alla guida di una popolazione a maggioranza slava ma che si componeva anche di popolazioni delle steppe, come narra il Racconto dei tempi passati, scritto nel 1116 dallo storico della Rus’ kieviana, Nestor di Pečerska. L’idea che in origine lo stato russo non fosse poi così “russo” è stata sempre respinta dagli storici e dagli studiosi sovietici e russi perché impedisce qualsiasi argomentazione e rivendicazione di tipo nazionalistico sui territori dell’attuale ucraina.

Per correttezza occorre sottolineare che la fase eminentemente scandinava della Rus’ di Kiev fu solo la prima ma, benché slavizzata nei costumi, l’aristocrazia kieviana (i boiari) restarono in prevalenza di origine normanna per tutto l’alto Medioevo e anche oltre. Nel XII secolo la Rus’ di Kiev era un ricco stato normanno-slavo e si ritiene che Kiev fosse allora la città più grande d’Europa, con circa diecimila abitanti. Dopo le invasioni tataro-mongole non rimase più nulla dell’antica grandezza. Tutto il principato di Kiev venne colpito da una serie di invasioni che ne distrussero il tessuto sociale e politico. Nel frattempo la Rus’ di Kiev andò incontro a lotte di successione e venne smembrata. Solo la città di Novgorod scampò alla distruzione, proseguendo la linea dinastica scandinava (quella dei Rurik, che prende il nome dal capostipite Heinrich, nome certo non slavo) fino alla morte del figlio di Ivan il Terribile avvenuta nel 1598.

Il caos sociale che seguì l’invasione tataro-mongola in area kieviana fu risolto solo quando i lituani conquistarono la città di Kiev incorporandola nel loro grande stato, a sua volta poi fuso nel granducato polacco-lituano che dominò la regione fino al 1795. L’area kieviana, quindi, non solo non è la culla dello stato “russo” nell’accezione moderna del termine ma ha avuto, rispetto agli altri principati russi, un destino a sé. L’élite scandinava kieviana, dopo le invasioni mongole, venne sostituita da quella polacco-lituana, mentre genti slave tornarono a popolare la regione. Il confine orientale dello stato polacco-lituano correva, grossomodo, su quello che era stato il confine della Rus’ di Kiev. Entro quel confine le genti slave locali poterono sviluppare una cultura distinta rispetto a quella russa. Vennero chiamati ruteni, russini, piccoli russi, e sono gli antenati degli attuali ucraini.

Quando nel XV secolo i principati russi scacciarono i tataro-mongoli quella che sorse fu una Russia diversa dalla precedente. Il dominio mongolo, durato due secoli, ebbe una certa influenza nella cultura e nella mentalità russe segnando così uno scarto rispetto alla Russia slavo-vichinga dell’alto Medioevo. Tuttavia gli slavi orientali mantennero il nome di “russi” che in passato fu attribuito agli scandinavi. Oggi il più consistente popolo slavo, quello russo, porta il nome che i suoi antenati diedero ai loro dominatori scandinavi. E il primo regno di questi dominatori, quello di Kiev, non fu un regno eminentemente slavo. 

La Rus’ di Kiev è senz’altro il primo stato “russo”, ma di quella Russia che ancora non aveva conosciuto le invasioni tataro-mongole che ne avrebbero cambiato sensibilmente la cultura e la mentalità. Una Russia “slavo-normanna” andata in rovina che è certo legata alla Russia moderna – quella che sorse nel XV secolo dalla forza motrice del principato di Moscovia – ma che non ne è diretta progenitrice. Fatte le debite proporzioni, la Rus’ di Kiev sta ai russi di oggi come l’impero romano agli italiani. E come l’impero romano, anche la Rus’ di Kiev ebbe più filiazioni: la moderna ucraina ne è un’erede indiretta ma in buona misura distinta dalla cugina Russia.

L’eredità della Rus’ di Kiev è grande proprio perché non è direttamente collegata ai moderni stati nazionali. Ai suoi re si deve la conversione al cristianesimo nella forma greco-bizantina (che noi diciamo “ortodossa”) e la formazione di una cultura specifica degli slavi orientali. Una cultura che oggi lega gruppi nazionali differenti ma non così distanti come il nazionalismo, le guerre e le propagande vogliono far credere.

Il testo di Matteo Zola è apparso il 9 Gennaio 2015 su Slavia, una rubrica di east journal.