5. L’apocalisse storica diventa apocalisse religiosa

Questa apocalisse fu realizzata con la collaborazione della Chiesa che fornì la copertura ideologica dell’olocausto e della schiavitù, giocando il ruolo di apparato ideologico della conquista. La giustificazione ideologica era che gli indigeni e gli schiavi africani con il contatto con gli europei cristiani sarebbero diventati a loro volta cristiani. Non si indagava a fondo sulla cristianizzazione violenta degli indigeni a cui veniva negata qualsiasi precedente manifestazioni culturale, perché frutto dell’influenza del diavolo. È interessante la distinzione che il teologo Hinkelammert introduce nella figura del diavolo secondo la tradizione cristiana tra Satana, che rappresenterebbe il diavolo che parla a nome del potere, e Lucifero, che rappresenterebbe le creature demonizzata, come gli oppressi che si ribellano. Satana sarebbero i conquistadores e Lucifero rappresenterebbe gli indigeni. Hinkelammert ricorda che Gesù si autodefinisce come Lucifero, proprio nell’Apocalisse (22, 16)[1]. Gli africani erano ritenuti inferiori perché negri, e si costruì la giustificazione ideologica, mediante un’opportuna lettura della Bibbia, che fossero i discendenti di Cam, il figlio che Noé cacciò, quindi meritassero un’adeguata opera di espiazione di questo peccato originale.

D’altronde la Chiesa aveva convissuto con l’Apocalisse, la fine del mondo è nell’ordine delle cose del mondo. Con l’affermazione del cristianesimo l’Apocalisse fu considerata prossima ventura, ma non venne, e abbiamo visto come lo stesso Paolo invitò i Tessalonicesi a tornare alle loro pratiche quotidiane, ad accettare la condizione di sfruttamento in cui vivevano, perché la fine del mondo non era prossima. La Chiesa iniziò un lento processo di autotrasformazione in potere temporale fondato sul potere spirituale, sull’attesa dell’Apocalisse. Questo processo rappresentò la fine dell’Antichità, di un’epoca che non attendeva una fine, e l’inizio del Medio Evo, quando la Chiesa dominò la società civile, trasformandosi in un potere totalitario; totalitario perché dominava l’intera vita quotidiana degli esseri umani. La fine del Medio Evo avviene con la Conquista dell’America, quando si realizza l’Apocalisse per il non-cristiano e per il neo-cristiano. Le ricchezze depredate in America scossero e rovesciarono i valori interni della Chiesa, che cominciò ad abituarsi al lusso e al ben vivere. Sappiamo che questo sconvolgimento dei valori della Chiesa colpì profondamente un monaco tedesco, che stava vivendo a Roma proprio negli anni della incipiente conquista, Martin Lutero. L’impressione ricevuta nella Roma mondana, gli fecero comprendere che non si trovava nella Gerusalemme celeste e diedero inizio alla sua profonda revisione della dottrina. È vero che il Rinascimento scosse Lutero, ma il Rinascimento fu letteralmente pagato non solo con la vendita dell’indulgenza, ma soprattutto con la refurtiva del saccheggio dell’America. In pratica Lutero si accorge di ciò che gli indigeni si erano accorti riguardo al perseguimento della ricchezza da parte dei cristiani, prende coscienza del fallimento del cristianesimo e pensa di rifondare la religione cristiana. Ma la sua visione è rivolta all’istituzione dominante il mondo cristiano: la stessa Chiesa cattolica.

Lutero assume alcuni toni apocalittici nel condannare la brama di ricchezza della Chiesa, ma ben più radicali sono i toni che usa un altro riformatore protestante: Thomas Müntzer[2]. L’Apocalisse, quindi, viene costantemente rievocata al momento della nascita della Modernità, a sottolineare quanto il mito apocalittico sia fondante nella cristianità moderna. In Müntzer l’Apocalisse è l’annichilazione dell’esistente e la rifondazione di un mondo nuovo, non c’è più attesa c’è rinascita. Ma a differenza dell’Apocalisse biblica, nella sua concezione dell’Apocalisse Müntzer chiama gli uomini a partecipare alla distruzione per realizzare in Regno di Dio. Evidentemente l’opera di trasformazione degli uomini tentata da Cristo non ha raggiunto il suo obiettivo, allora bisogna affidarsi a una seconda venuta del Salvatore per rifondare il mondo moderno. Apocalisse e Modernità in Müntzer sono strettamente congiunte, proprio a esaltare il ruolo apocalittico del nuovo tempo. I riformatori protestanti sono coscienti che la secolarizzazione in corso dentro la Chiesa, il suo riconciliarsi con il mondo materiale, la sua brama di ricchezza, sono inconciliabili con il messaggio cristiano. Rifiutano il fallimento del cristianesimo e provvedono a una nuova fondazione dello stesso.

Nella Chiesa cattolica la brama di ricchezza era a un livello molto più sofisticato di quanto fosse presso i conquistadores. I preti cattolici incitarono addirittura al massacro degli indigeni, quando si scontrò con qualche infantile resistenza da parte di questi nei confronti della evangelizzazione. Una cronaca dello scontro tra Pizarro e gli Inca testimonia questo incitamento: «Atahualpa [il re degli Inca] chiese che gli fosse mostrato il Libro, e il frate glielo porse chiuso. Il re non sapeva come aprirlo, e Fra’ Vincente stese una mano per mostrarglielo, ma Atahualpa si infuriò e lo colpì. Quindi lo aprì e senza alcun interesse o meraviglia per ciò che conteneva lo gettò via da sé, rosso in volto. Allora Fra’ Vincente si volse verso Pizarro e gridò: “Uscite fuori, Cristiani! Colpite questi cani infedeli che rifiutano la Parola di Dio! Avete visto? Il tiranno ha gettato nella polvere il Libro della legge divina! Perché rimanere in soggezione di questo cane orgoglioso, quando la valle intorno è piena di indiani? Colpitelo, perché io vi assolvo dai vostri peccati!”». Il presunto sacrilegio di Atahualpa non era ponderato come il gesto di chi non sa cosa significhi la scrittura e non ha visto mai un libro, oltretutto essendo il portatore di una sacralità corporea, rispettata da tutti i suoi sudditi. Due mondi incomunicabili si incontrano e subito si scontrano, dando inizio all’apocalisse, alla sacralizzazione della violenza. Il commento di Pizarro è ancora più emblematico dell’apocalisse scatenata dai cristiani: «Noi siamo nel giusto, Dio, Creatore dei cieli e della terra e di tutte le cose, permette che ciò avvenga, così che tu possa conoscere Lui e lasciare la vita bestiale che ora conduci guidato dal demonio»[3]. Dopo il massacro si chiede la conversione al vinto, naturalmente dimentichi che si chiede la conversione alla religione della pace e dell’amore. Chi si rifiuta viene sgozzato. Siamo di fronte a un vero e proprio rovesciamento degli autentici valori cristiani e alla manifestazione del diabolico piano di Conquista da parte dei conquistadores.

Qualche storico sostiene che la Chiesa cattolica difese gli indigeni dalle violenze dei conquistadores. In realtà da dentro la Chiesa spagnola si sollevò l’unica voce di Bartolomé de Las Casas, che chiese al Re di Spagna, Carlo V, di mettere fine alle violenze dei conquistadores nei confronti degli indigeni. Las Casas, quindi, prese posizione a fianco dell’indigeno, e anche dell’oppresso, del povero. Carlo V rispose con le Leggi Burgos (1512) che riconosceva la libertà degli indigeni. Naturalmente l’autorità di un re lontano non venne rispettata, anche perché non si fece nulla per imporla in loco, e la situazione degli indigeni continuò ad essere pessima. A peggiorare la situazione arrivò la giustificazione teologica della cristianizzazione violenta degli indigeni da parte di Ginés de Sepulveda, lo storico ufficiale di Carlo V. Secondo Sepulveda gli indigeni erano homunculi, creature tra gli uomini e gli animali, più vicini a questi che agli uomini. Ovviamente Sepulveda rinforzava le sue argomentazioni con i racconti pregiudizievoli dei conquistadores, secondo i quali gli indigeni erano cannibali e adoravano il diavolo e anche con la concezione dello “schiavo per natura” di Aristotele per giustificare la cristianizzazione, anche forzata, degli indigeni per portarli alla condizione umana. Las Casas gli contrapponeva la dottrina del diritto naturale di Tommaso d’Aquino, secondo cui tutte le creature erano state create libere. La Conquista dell’America causò, quindi, una crisi interna della Scolastica tra aristotelici e tomisti, evidenziando le contraddizioni del pensiero teologico, che mal resisteva alle spinte innovatrici del pensiero umanistico. Las Casas rimase, però, dentro l’ottica del cristianocentrismo, come lo definisce Girardi[4], quindi antepose una visione dei diritti soprannaturali, quali il diritto del Papa di affidare l’America ai re spagnoli e portoghesi e il diritto di costoro di evengelizzare/sfruttare queste terre, ai diritti materiali e concreti degli indigeni. Las Casas contestò le modalità dell’evangelizzazione, non la stessa evangelizzazione. L’affermazione dei diritti soprannaturali della Chiesa sui diritti materiali degli indigeni è una conseguenza di una visione apocalittica della Storia.

La Conquista dell’America rivelò anche che il cristianesimo si era trasformato dall’originaria religione dell’amore e della pace nell’ideologia della conquista e dell’annichilazione dell’Altro. La Conquista ripresa dalla Reconquista e dalle Crociate molti aspetti di una guerra santa per la diffusione della fede cristiana, rivelando, in questo rovesciamento dei propri valori originari, la sua corruzione profonda. Anche il protestantesimo subì la corruzione del cattolicesimo, quando popolazioni protestanti si trasferirono in America per colonizzare la parte settentrionale del continente. Insomma di fronte alla nuova situazione di dominio dei cristiani sugli indigeni, i valori fondamentali della loro religione venivano stravolti.

Il papato da parte sua intervenne sporadicamente a favore degli indigeni. Si tenga conto della cronologia di queste emissioni:

1537 – Bolla Veritas Ipsa: Paolo III proclama gli indigeni veri uomini e ne vieta la schiavitù.

1639 – Bolla Commisum Nobis: Urbano VIII ribadisce il dovuto rispetto agli indigeni.

1741 – Bolla Immensa Pastorum: Benedetto XIV ribadisca ancora una volta il rispetto agli indigeni.

1839 – Bolla In Supremo Apostolatum: Gregorio XVI condanna la schiavitù

1888 – Leone XIII scrive una lettera ai vescovi brasiliani per sostenere l’abolizione della schiavitù.

In pratica una volta ogni secolo furono emesse bolle per negare la schiavitù degli indigeni, quindi non si trattava di una questione che stesse particolarmente a cuore ai vari papi, che si sono succeduti sul Soglio di Pietro dalla Conquista fino alle soglie dell’età contemporanea. L’apocalisse era praticamente una pratica accettata anche all’interno della Chiesa.

Si tenga conto che le voci di protesta contro la cristianizzazione violenta furono poche e inascoltate per il sostanziale fatto che la Chiesa latinoamericana nacque e, ancora oggi in parte si auto-considera, come una Chiesa specchio della Chiesa romana. Le tendenze latinoamericane che vorrebbero farne una Chiesa focolare meno romana e più latinoamericana sono state, almeno a prima dell’attuale papato, fortemente represse e condannate. In pratica la Chiesa romana ha preteso e pretende di essere considerata come il modello perfetto da imitare da parte dei fedeli non europei, ma, in realtà, è una sorta di feticcio che è imposto a culture che sono lontanissime dai parametri europei, tipicamente greci, romani ed ebraici. Questa tradizione non può essere riconosciuta come propria da popoli che non hanno alcuna radice culturale greca, romana o ebraica.

Dopo aver vissuto il terrore dell’apocalisse causata da uomini, gli indigeni vissero anche l’apocalisse causata da un’epidemia, un’epidemia di vaiolo contagiata dagli spagnoli, dato che il morbo era sconosciuto in America prima dell’arrivo degli europei. «Si diffuse tra di noi una grande peste, una malattia generale. Cominciò in Tepeílhuitl[5]. Su di noi si diffuse: grande distruttrice di gente. Alcuni li coprì bene, in tutte le parti (del loro corpo) si estese. Nella faccia, nella testa, nel petto. Era una malattia molto distruttrice. Molto gente morì a causa sua. Nessuno poteva camminare, neppure sdraiati, distesi nei loro letti. Nessuno poteva muoversi, neanche muovere il collo, non poteva fare movimenti con il corpo; non poteva distendersi con la faccia in giù, né sdraiarsi sulla schiena, né muoversi da un lato all’altro. E quando si muovevano un po’, gridavano. A molti venne una morte appiccicosa, pesante, una dura malattia di pustole. Molti morirono per essa, ma molti morirono solamente per la fame: ci furono morti per fame: poiché nessuno si curava di nulla, nessuno si preoccupava degli altri»[6]. Sono le stesse scene della peste di Atene, scene da apocalisse naturale.

In generale durante la conquista morirono più indigeni per le epidemie che per le armi, portate dai conquistadores, perché gli indigeni non avevano difese immunitarie contro le malattie diffuse in Europa. Un secolo dopo lo sbarco di Cortés in Messico, degli originari 20 milioni di abitanti ne restavano solo un milione e mezzo. In Perù l’epidemia di vaiolo arrivò prima dei conquistadores e indebolì fortemente l’Impero Inca, in quanto ne morì lo stesso imperatore Huyana Capac. Addirittura la civiltà della valle del Mississippi fu cancellata da epidemie portate dagli europei, prima che questi arrivassero in quelle terre. Hernando de Soto, il conquistador spagnolo che arrivò per primo in quelle terre, si trovò di fronte a villaggi abbandonati, i cui abitanti erano tutti morti[7]. Questa Apocalisse epidemiologica è occultata per giustificare l’appropriazione del continente da parte degli europei, che si sarebbero trovati di fronte a scarsa resistenza o addirittura a un continente vuoto. Lo stesso Diamond conferma questa operazione ideologica di occultamento: «Quando ero un ragazzino, a scuola mi veniva insegnato che indiani nordamericani al tempo di Colombo erano non più di un milione, questo basso numero serviva a giustificare la conquista da parte dei bianchi di un continente praticamente vuoto. Ma gli scavi archeologici e un esame più attento dei primi esploratori ci permettono di stimare il numero dei nativi in circa 20 milioni[8]. Nel complesso del Nuovo Mondo, nei due secoli successivi al 1492 la popolazione indigena scomparve per il 95 per cento»[9]. È questa l’Apocalisse, l’Olocausto, più consistente, numericamente parlando, della storia e da questa Apocalisse è nata la Modernità. Ma è opportuno nascondere, occultare, negare questa Apocalisse per giustificare la colonizzazione, perché questa Apocalisse è in netto contrasto con i valori ideologici e morali sostenuti dagli europei, al momento della conquista, e con quelli che ne seguiranno nei secoli successivi fino ad oggi. La Conquista dell’America è la cattiva coscienza dell’ideologia eurocentrica della Modernità.

La prima parte della apocalittica conquista fu dedicata al saccheggio di metalli preziosi, cioè alla violenta sottrazione di oro e argento agli indigeni, per i quali quei metalli avevano un valore solo ornamentale. Gli europei iniziarono proprio mediante la Conquista dell’America quel processo di feticizzazione che è la caratteristica fondamentale del modo di produzione capitalistico, perché, come ho mostrato, non veneravano il dio dell’amore e della pace, ma l’oro, quindi praticavano più l’idolatria, creavano con le loro stesse mani il loro dio, l’oro, il feticcio che adoravano con passione. Contemporaneamente i conquistadores imposero agli indigeni la religione e la lingua, arrivando ad ucciderli se avessero parlato la propria originaria lingua. Dopo il primo momento del saccheggio, cominciò lo sfruttamento delle nuove terra, sia in senso agricolo che soprattutto minerario. Infatti i conquistadores seppero dagli indigeni che l’oro si trovava nei fiumi. Si può immaginare la sorpresa e l’impatto della notizia sull’immaginazione dei conquistadores. Questi ritrovamenti erano possibili soltanto perché alla sorgente dei fiumi, cioè tra le montagne c’erano filoni d’oro. Così iniziò la lenta, ma inarrestabile conquista (apocalisse) delle terre interne, soprattutto in Brasile, dove fu applicata la tattica del taglia-e-brucia delle foreste atlantica che copriva interamente l’enorme altopiano brasiliano. L’ambiente naturale fu profondamente sconvolto da questa tattica; fu un’apocalisse anche della Terra, non solo dell’umanità.

Gli indigeni furono costretti a una pratica lavorativa che essi non conoscevano, visto che non erano abituati al lavoro costante per la facilità con cui reperivano di mezzi di sussistenza. I conquistadores imposero agli indigeni i rapporti feudali tipici dell’Europa di quel tempo, cioè la servitù della gleba, con le corvées e le decime, ma trovarono una naturale resistenza da parte degli indigeni, che preferivano lasciarsi morire di fame o per la violenza dei conquistadores. Per gli indigeni era incomprensibile la bramosia dei conquistadores, perché la terra americana era ricca di tutto ciò che poteva servire alla vita quotidiana. L’oro e l’argento non avevano alcun valore, data la facilità del loro reperimento, a meno che oro e argento fossero le vere divinità dei conquistadores. Per i conquistadores le regole del feudalesimo erano leggi naturali e divine, perché provenienti dalla religione universale, la cattolica, che era la religione del Padre di tutti gli uomini e riconosciute dalla Chiesa. Se gli indigeni si rifiutavano di eseguirle e si ribellavano alla legge divina, ciò era possibile soltanto perché erano creature del diavolo. L’apocalisse divenne così una pratica quotidiana della conquista. Al duro lavoro forzato, al rifiuto dello stesso e alla susseguente ribellione, va aggiunto il numero delle morti causate dalle epidemie, dato che gli indigeni non avevano sviluppato una difesa immunitaria da malattie anche banali come il raffreddore e l’influenza. Gli europei, abituati a contatti umani fra popolazioni diverse, isolate ma vicine geograficamente, avevano un patrimonio immunitario ormai evoluto. Gli indigeni vivevano in grandi popolazioni in Messico, America centrale e zona andina, ma in piccole tribù nel resto del continente e le distanze geografiche non permettevano un contatto tra popolazioni diverse, così il loro patrimonio immunitario era scarso. Il risultato della conquista fu quell’Olocausto, le cui cifre abbiamo enumerato prima.

A rendere ancora più estesa la condizione apocalittica fu proprio questo rifiuto degli indigeni ad accettare le dure regole del feudalesimo europeo. Allora si ricorse alla tratta di schiavi africani. La schiavitù grazie al Cristianesimo e alla Chiesa era quasi sparita in Europa. Rimaneva qualche piccola porzione della popolazione in condizione di schiavitù – circa il 2 o 4% della popolazione totale – e quasi sempre era proveniente da una religione non cristiana, quindi era sufficiente la conversione per liberare dalla condizione di schiavo e passare a quella di servo. La Conquista dell’America e la bramosia dei conquistadores fece fare alla civiltà europea un notevole passo indietro nello sviluppo civile, perché si ritornò alla schiavitù e in forme molto più brutali di quelle dell’antichità. Secondo il diritto romano non si nasceva schiavi – come pensavano i greci –, ma lo si diventava per cause sociali, come la guerra o i debiti, quindi uno schiavo poteva liberarsi dalla schiavitù per meriti acquisiti e diventare anche cittadino romano. In America lo schiavo era una merce e, quindi, non poteva mai smettere di essere tale. Merce era anche la sua capacità produttiva, quindi schiavi erano i suoi figli, anche se questi figli erano il risultato di un rapporto carnale con un uomo libero, anche con il padrone. Lo schiavo era facilmente riconoscibile, perché era negro o mulatto e anche se si convertiva al cristianesimo e parlava la lingua del padrone, era sempre uno schiavo, perché era una merce. Il capitalismo iniziava a imporre le proprie regole alla religione. Qualche cifra per avere un’idea dell’Apocalisse: dall’Africa sono partiti circa 12 milioni e mezzo di schiavi e ne sono arrivati in America circa 11 milioni, il “viaggio” è costato 1 milione e mezzo di vittime. Un terzo degli schiavi erano donne e un quarto bambini. Gli europei li compravano sulle coste dell’Africa atlantica da mercanti arabi, che a loro volta li avevano ricevuti da tribù dell’interno che si facevano la guerra allo scopo di catturare prigionieri da vendere come schiavi. Si immagini il costo umano di queste guerre e dei danni causati all’Africa, sia della tragedia del “viaggio” in America e della schiavitù per questi milioni di esseri umani.

Una sintesi del prezzo pagato dall’umanità per l’Apocalisse americana ce lo offre Giulio Girardi: «Abbiamo ridotto quei popoli e continenti a capitoli secondari della nostra storia. Abbiamo imposto loro le leggi del nostro mercato, la nostra cultura, la nostra religione, la nostra identità. Li abbiamo spinti a vergognarsi di essere se stessi, di essere indios, o di essere neri. Questo debito, sì, è impossibile pagarlo. Non possiamo risuscitare le generazioni che abbiamo sterminato, i tempi di vita che abbiamo distrutto, le intelligenze che abbiamo sterilizzato, la creatività artistica che abbiamo soffocato»[10]

6. Il mondo nuovo post-apocalittico

L’apocalisse dell’America ha cambiato radicalmente la storia della Terra e, in particolare, dell’Europa. Dal punto di vista generale la Conquista dell’America è stata l’inizio della globalizzazione della Terra, perché il dominio europeo ha iniziato ad estendersi sull’intero pianeta. L’Europa è uscita dall’assedio turco, ha rovesciato le parti e, a partire dal 1571, cioè dalla battaglia di Lepanto, l’Europa ha iniziato ad aggredire l’Impero ottomano. È superfluo dire che quella battaglia e quel rovesciamento del fronte furono finanziati dalle ricchezze strappate agli indigeni americani.

Gli europei fino alla Conquista dell’America, come abbiamo scritto sopra, erano abituati a un lavoro estenuante, continuo, faticoso per assicurarsi i mezzi per la riproduzione della vita. La terra europea è particolarmente povera. Si pensi che il raccolto di una delle piante più diffuse nel Mediterraneo, l’ulivo, è possibile solo una volta ogni due anni! Mentre la canna da zucchero, una volta che è stata importata in Brasile, può dare due raccolti ogni anno! La terra americana era vergine, perché talmente ricca che gli indigeni non avevano la necessità di coltivarla. Soltanto nel Centro-America e sulle Ande la terra era coltivata, in quanto regioni montuose. Le piante più tipiche, che poi furono esportate in Europa, erano il mais, la patata, il pomodoro, la zucca, il cacao, i fagioli, il tabacco. Soprattutto mais e patata estinsero l’endemica fame degli europei, – in particolare nel Nord-Europa – che finalmente trovarono in queste due piante le principali risorse per la riproduzione della propria vita.

I metalli preziosi saccheggiati erano in parte, a loro volta, rubati dai pirati francesi, inglesi e olandesi ai conquistadores spagnoli e portoghesi. I sovrani europei legalizzarono la pirateria con le “lettere di corsa”, che autorizzavano l’attacco di qualsiasi nave, naturalmente le più ricercate erano quelle che tornavano dall’America con il bottino del saccheggio. Il bottino di queste attività piratesche veniva investito in attività produttive, soprattutto nei paesi dell’Europa del Nord, mentre la Spagna e la Francia lo investivano nelle loro guerre reciproche, oppure la Spagna nelle guerre contro i protestanti. In pratica quei metalli preziosi innescarono il meccanismo di accumulazione originaria che diede inizio al modo di produzione capitalistico.

Nasce il capitalismo con il prodotto della conquista e un pezzo di Cristianità si distacca perché non accetta la Chiesa post-apocalittica (Protestantesimo). Ma sarà questo pezzo di Cristianità distaccata a governare l’età moderna, la Chiesa post-apocalittica si riconferma potere temporale nel Concilio di Trento e poi lentamente cede alla Modernità. Infatti l’apocalisse in America ha fatto nascere il mondo moderno, o per meglio dire la Modernità. Franz Hinkelammert sostiene che la religione cristiana è diventata la religione del capitalismo, seguendo una suggestione di Walter Benjamin: «La trasformazione dell’ortodossia cristiana è, a sua volta, la sua rifondazione. Trasformandosi in capitalismo, questa ortodossia cambia. Il mito del progresso, che sorge, toglie a Dio la sua trascendenza e lo sostituisce con il progresso infinito che rende l’essere umano un essere onnipotente»[11]. L’Io conquisto precede l’Io penso di Descartes, anzi lo fonda, perché fonda la stessa Modernità.

Questa Modernità è caratterizzata dall’integrazione crescente del mondo in un unico sistema – integrazione che abbiamo raggiunto nell’attuale epoca della globalizzazione – e la divisione di questo mondo in un Centro e in una Periferia. Il Centro è rappresentato dai paesi del Nord del mondo, inizialmente Europa e poi successivamente anche Stati Uniti, poi Giappone e oggi Cina –, il resto è in misura graduale periferia. L’America latina in questo sistema svolge la funzione molto particolare e vitale di una periferia necessaria e indispensabile per l’esistenza e il funzionamento del sistema di dominio capitalistico. Dal dominio di essa è nata e si è retta la Modernità e la differenziazione interna del Sistema-mondo e il modello di questo dominio si è esteso all’intero pianeta. Ma l’America latina ha molte caratteristiche in comune con il Centro del Mondo, a partire dalla religione, la lingua e una buona parte della sua popolazione, oltre a concezioni del mondo che sono specchio di quelle del Centro. Per questi motivi ha definito altrove l’America latina l’Altro Occidente[12].

Con la Conquista dell’America, prima la meridionale e poi la settentrionale, inizia la Modernità, sia economicamente con la lenta e costante accumulazione del capitale che ha dato vita al modo di produzione capitalistico che è il motore della Modernità, sia perché si è rafforzato l’incipiente Rinascimento italiano, vera e propria fucina di una nuova concezione del mondo non più religiosa. Machiavelli e Galileo, l’uno nella politica e l’altro nella scienza hanno elaborato concezioni della politica, l’uno, della scienza, l’altro, del tutto in contrapposizione con l’allora dominante concezione politica e scientifica – o sarebbe meglio dire teologica – della Chiesa cattolica. La crisi interna al cristianesimo, cioè la Riforma protestante, ha potenziato questo processo centrifugo della teoria politica e scientifica rispetto al dominio totale della Chiesa. Capitalismo e Modernità sono due processi inseparabili che si sono dialetticamente potenziati a vicenda. L’apocalisse americana ha messo in moto questo processo evolutivo che ha finito per rendere sempre più radicale il fallimento morale del cristianesimo.

L’egemonia culturale del cristianesimo sulla società civile europea è stata lentamente sostituita da una concezione del mondo laica, che è diventata effettivamente la concezione del mondo intero. Il laicismo è l’anima del capitalismo, perché i suoi valori fondanti sono del tutto estranei ed opposti a quelli del cristianesimo. Il profitto non si concilia con l’amore per gli altri uomini e soprattutto per la cura dei deboli. Come afferma Diderot, quando nel Supplemento al viaggio di Bougainville, mette in bocca al vecchio tahitiano le seguenti parole, rivolte all’esploratore francese: «Qui tutto è di tutti, e tu hai predicato non so che distinzione di tuo e di mio»[13]. Questa concezione del mondo è diventata lentamente, mano a mano che il capitalismo integrava popoli e paesi nel suo sistema, la concezione del mondo globalizzato. Il cristianesimo è riuscito ad essere la concezione di un mondo, di una piccola parte del pianeta: l’Europa. La sua opera di giustificazione ideologica della Conquista dell’America gli si è rivolta contro e oggi, seppure sia la religione ufficiale di quasi tre miliardi di esseri umani, non ha più l’incidenza dominante sulla vita quotidiana dei suoi fedeli che aveva mille anni fa, prima dell’apocalisse americana, non domina più totalmente nessuna società civile. Il cristianesimo è diventato la religione del capitalismo con la giustificazione e sacralizzazione della violenza sul non-europeo. Il teologo Giulio Girardi è esplicito su questo punto: «La genesi del mondo moderno coincide con il processo di normalizzazione della violenza originaria e della violenza strutturale […] Vi è una relazione stretta fra il genocidio fisico-culturale che fu la distruzione di popoli interi e il genocidio morale, che è la distruzione della coscienza dell’umanità. […] Per il cristiano questa riflessione è doppiamente traumatica. Per lui, non si tratta infatti solo di constatare la normalizzazione del crimine nella coscienza umana, ma anche nella coscienza cristiana»[14]. È la constatazione del fallimento morale del cristianesimo, della sua deformazione della coscienza umana e la giustificazione della violenza.

L’Apocalisse è entrata nel tessuto ideologico dell’Occidente al punto che la Grande Guerra – la prima guerra di distruzione di massa combattuta in Europa – fu interpretata con l’Apocalisse di Giovanni[15]. Ma in questo caso gli intellettuali si trovavano di fronte a un fenomeno autodistruttivo degli stessi europei. Ampia fu l’adesione alla guerra come se questa fosse un nuovo inizio dopo un’apocalisse. Mai prima e mai più nella storia europea si è assistito a un fenomeno del genere: un’invocazione dell’apocalisse per una nuova rifondazione della Modernità. L’apocalisse originaria era invocata come una forma di rinnovamento e gli intellettuali europei furono genericamente affascinati da questo mito originario dell’apocalisse rigenerante.

L’invocazione all’Apocalisse è ricorrente nella religione del mercato contemporanea[16] di matrice fondamentalista e ampiamente diffusa negli Stati Uniti. Il fondamentalista fa del mercato il nuovo Dio e predica una forma di “religione del mercato”; egli auspica che la miseria si diffonda per il mondo, perché possa intervenire il mercato e ripristinare l’ordine precedente, la ricchezza per pochi. In questo linguaggio religioso sono continuamente presenti termini apocalittici come Anticristo, Armagedon, Impero del male, rivolti ai nemici del mercato come il comunismo, oppure coloro che si ribellano alle leggi del mercato: gli oppressi e gli sfruttati, cioè i poveri. Il fondamentalista si augura che la catastrofe avvenga il più presto possibile, che Dio venga a salvare i pochi eletti e li porti nella Gerusalemme celeste. L’annuncio apocalittico è il tema ricorrente delle religioni neopentecostali statunitensi, uno slogan che attira i soggetti che hanno il bisogno di sentirsi eletti, scelti, superiori interiormente. Per loro l’Apocalisse è il libro che descrive il mondo del futuro prossimo. Il neopentecostalismo statunitense è la nuova ideologia del neoliberismo, il sostenitore della “religione del mercato”, è anche l’ideologia dei leader di alcuni dei maggiori Stati del mondo come Trump e Bolsonaro.

La filosofia europea nei confronti dell’apocalisse americana e nei confronti dei popoli periferici ed emarginati si è comportata come un sistema ideologico di dominio. Nella migliore delle ipotesi ne ha ignorato l’esistenza, nella peggiore, come nel caso di Ginés de Sepulveda ha elaborato gli strumenti, reperendoli nello stesso patrimonio ideale europeo, per giustificare e riprodurre il sistema di dominio. Pochissime voci si sono levate non proprio a difesa, ma almeno a registrare quanto stesse avvenendo dall’altra parte del mondo. La più famosa di queste voci è quella di Michel de Montaigne, che mette in dubbio la barbarie degli indigeni del Brasile. Facendo una comparazione tra europei ed indigeni afferma: «Ognuno chiama barbarie quello che non è nei suoi usi; sembra infatti che noi non abbiamo altro punto di riferimento per la verità e la ragione che l’esempio e l’idea delle opinioni e degli usi del paese in cui siamo. Ivi è sempre perfetta la religione, il perfetto governo, l’uso perfetto e compiuto di ogni cosa. Essi [gli indigeni] sono selvaggi allo stesso modo che noi chiamiamo selvatici i frutti che la natura ha prodotto da sé nel suo naturale sviluppo: laddove, in verità, sono quelli che col nostro artificio abbiamo alterati e distorti dall’ordine generale»[17]. Si noti come Montaigne mette in discussione il punto prospettico dal quale vengono espressi i giudizi di barbarie e civiltà, cioè la stessa soggettività europea e cristiana, la soggettività che viene imposta agli indigeni come forma di dominio. Ma afferma anche gli indigeni sono selvatici, perché non sono stati coltivati, non hanno cultura, sono ancora vicini alla natura originaria. Naturalmente Montaigne fa un enorme passo in avanti nella comprensione della catastrofe apocalittica che era all’origine della nuova epoca in cui stava vivendo, ma non riesce ancora a comprendere che gli indigeni hanno una cultura adeguata alle condizioni della loro vita in quell’ambiente particolarmente ricco e florido, dove la facilità delle condizioni di vita non spinge all’affannoso progresso tecnologico; condizioni di vita che erano state stravolte dalla conquista. Naturalmente sfugge a Montaigne che il mondo nel quale vive, la Modernità incipiente, è il frutto di quell’apocalisse che lui intravede e comprende solo superficialmente. Comunque la seppure timida apertura di Montaigne, unita ad altre affermazioni contenute nei Saggi, gli valse la condanna sia dell’Inquisizione romana che dei calvinisti ginevrini. La sua mentalità critica non era consona con la concezione del dominio.

Nelle parole di Montaigne, però, si avverte la futura concezione illuministica del buon selvaggio, che – come è noto – è stata fatta propria da Rousseau. Ma a ben considerare quanto sostiene Rousseau a proposito del ruolo corruttivo della cultura, la sua è una critica alla società occidentale che ha allontanato l’uomo dall’ottimo stato di natura, piuttosto che una critica della società moderna e della sua origine. Sostanzialmente Rousseau compie un passo indietro rispetto a Montaigne, non tiene in alcun conto il costo umano della civiltà europea, pagato dai popoli extra-europei.

Hegel ha contribuito a costruire una vera e propria ideologia dell’eurocentrismo. Se si leggono le sue pagine sul “Nuovo Mondo” si scorgono non solo informazioni errate, ma anche un pregiudizio davvero inspiegabile da parte di un pensatore robusto come lui. «Della civiltà americana, quale si era venuta evolvendo specialmente nel Messico e nel Perù, abbiamo, invero, notizie: ma sappiamo solo che essa era del tutto naturale, e che doveva quindi scomparire al primo contatto con lo spirito»[18]. Lo spirito deve essere quello europeo, Aztechi e Incas non potevano avere uno spirito, ma erano allo stato di natura, nonostante la loro indubbia superiorità sugli europei sulla prima forma di arte, l’architettura. Il pregiudizio hegeliano è rivolto anche alla natura americana, sia geologica che animale: egli parla di “immaturità geografica” – cosa possa essere un’immaturità geografica è un mistero – e del tutto ignorante della bontà della carne argentina afferma: «La carne di bue che vien dall’Europa è considerata come una leccornia»[19]. Gli unici aspetti positivi della sua analisi è che chiama tutto il continente “America”, senza attribuire questo nome ai soli “Stati Uniti”, che essendo gli egemoni in quel continente si appropriati del nome dell’intero continente, e poi riconosce che sono «stati distrutti sette milioni di uomini. […] E in generale tutto il mondo americano è perito, sotto la pressione invadente degli Europei. Le stirpi dell’America del nord in parte sono scomparse, in parte si sono ritirate, al contatto con gli Europei. Esse decadono, sì da mostrare che non hanno la forza di unirsi al Nordamericani, negli stati liberi. Questi popoli di costituzione debole tendono a scomparire al contatto di popoli più civilizzati, di cultura più intensa»[20]. Almeno Hegel riconosce il carattere di massa dell’Apocalisse portata dagli Europei, ma manifesta ipocritamente la consueta giustificazione per spiegare l’Olocausto: la debolezza degli indigeni rispetto a popoli più civilizzati e di cultura più intensa. È chiaramente un pregiudizio ideologico, per giunta da parte di un pensatore di ispirazione cristiana, luterana, che concepisce la Storia come scontro di civiltà, dove prevale la più forte e da questo scontro emerge il Regno della Libertà, in cui gli indigeni non possono fare parte. A superare ogni limite di decenza etica cristiana è l’ignoranza che Hegel rivela: i coloni dell’America del Nord si resero indipendenti dalla corona inglese anche per iniziare la penetrazione all’interno del continente, penetrazione impedita dal governo inglese. Questa penetrazione rappresentò l’annichilazione di milioni di esseri umani, quindi gli indigeni non hanno la forza di unirsi ai Nordamericani, perché questi li hanno massacrati con tutti gli strumenti disponibili, anche l’introduzione dell’alcool, come lo stesso Hegel riconosce[21].

Hegel non mostra maggiore conoscenza della storia della colonizzazione dell’America latina, molto probabilmente perché non conosceva lo spagnolo e il portoghese. Le informazioni su cui fonda la sua filosofia della storia sono scarse e imprecise. Ad esempio sostiene: «Nell’America del Sud e nel Messico gli abitanti che sentono il bisogno dell’indipendenza, i Creoli, sono nati dagli incroci con Spagnoli e Portoghesi. Solo essi sono giunti a tale superiore coscienza di sé, alla brama dell’autonomia e dell’indipendenza. In quei paesi sono essi a dare il tono»[22]. Naturalmente Hegel non immagina che Creoli siano coloro che nascono nelle colonie e li confonde con i meticci. Ai creoli era negata la cittadinanza spagnola e per questo si ribellarono alla madrepatria, quindi il senso di autonomia e indipendenza è una conseguenza della negazione subita nel campo del diritto. Si noti, inoltre, il senso musicale che Hegel usa: “dare il tono”. Evidentemente una nazione per lui funzionava come un’orchestra, che ha bisogno di un direttore per coordinarsi alla perfezione, oltre che un testo scritto da eseguire: un sovrano e un codice di leggi.

Non mancano, nel discorso hegeliano, le descrizioni antropologiche, o meglio etnologiche delle popolazioni dell’America latina. Scrivo “etnologia”, perché l’etnologia è «la scienza del loro [delle culture “primitive”] rapporto con la cultura occidentale»[23]. Hegel elabora una vera e propria etnologia: «Nell’America del Sud, del resto, si è conservato un più rilevante strato di popolazione indigena. Con questo, colà gli indigeni furono trattati molto più violentemente, furono adibiti a pesanti lavori, a cui le loro forze erano scarsamente adeguate. Agli indigeni si fanno, colà, soprusi di ogni genere. Si deve leggere, nelle descrizioni di viaggio, quale mitezza, remissività, umiltà, ossequiosità strisciante essi dimostrino verso un Creolo e ancor più verso un Europeo»[24]. Anche per l’America latina – concetto che Hegel non comprende – c’è il riconoscimento dell’Apocalisse, ma non c’è comprensione della condizione di vita degli indigeni pre-conquista, quando vivevano in un ambiente naturale particolarmente ricco di risorse per la loro vita quotidiana. La conquista li ha sottoposti a un super-lavoro anche per soddisfare i bisogni degli europei. Hegel, però, non riesce a mettere in relazione la mitezza e l’ossequiosità degli indigeni all’esistenza presso di loro di un’organizzazione statale complessa e ben codificata, inammissibile per il filosofo dello Stato liberale etico. La mitezza è rovesciata in aspetto negativo del carattere degli indigeni: «Passerà ancora molto tempo prima che gli Europei riescano ad inculcar loro un po’ di amor proprio. […] L’inferiorità di questi individui sotto ogni aspetto, persino quanto a statura, si riconosce in ogni indizio […] Le organizzazioni ecclesiastiche li hanno trattati in conseguenza, imponendosi loro con l’autorità spirituale e affidando loro lavori miranti a svegliare e soddisfare i loro bisogni»[25]. Inferiori fisicamente e spiritualmente, sono accuditi come bambini dai generosi sacerdoti cattolici; nessuna parola sulla collaborazione della Chiesa cattolica all’Olocausto. Mentre riconosce nel ruolo della religione cattolica una delle cause dell’inferiorità dell’America latina rispetto al Nord-America protestante: «Nella chiesa protestante le opere di religione costituiscono tutta la vita, sono anzi in generale l’attività stessa della vita. Presso i cattolici, invece, non vi può essere il fondamento per una simile fiducia: nei rapporti mondani prevalgono infatti solo la violenza e la spontanea sottomissione»[26]. In pratica l’Apocalisse iniziale rimane permanente nella nuova realtà sociale. Naturalmente il Nord-America è, secondo Hegel, meno violento dell’America latina: «L’America del Sud è stata conquistata, l’America del Nord colonizzata»[27]. Come è noto la “colonizzazione” nordamericana ha praticamente annichilito un’intera razza umana, mentre nell’America latina molte popolazioni indigene, seppure totalmente sradicate dalle loro culture originarie, sono riuscite a sopravvivere all’Apocalisse; alcune riuscendo, addirittura, a conservare la lingua originaria e qualche forma della religione precedente alla conquista.

Inoltre nelle parole di Hegel si notano i segni del razzismo protestante, in particolare, e cristiano, in generale. I non cristiani sono inferiori perché non credono nel Dio dell’amore e della pace -in realtà nel Dio dell’oro – a partire storicamente dagli ebrei che hanno ucciso il Dio fattosi uomo. A continuare la negazione della fede in Dio sono storicamente comparsi gli islamici, che pur a conoscenza del messaggio cristiano lo hanno rifiutato, a concludere questa parabola di formazione del razzismo europeo, compaiono nell’immaginario europeo gli indigeni e gli africani: loro sono non cristiani e restii alla conversione. Dunque la conquista apocalittica è all’origine del razzismo europeo attuale. Non c’è alcuna comprensione che la mitezza degli indigeni era una conferma che si trattava di popolazioni abituate alla pace e all’amore, come si rese conto Las Casas. La mitezza del carattere indigeno è la causa della schiavitù degli africani: «La debolezza del temperamento americano fu una delle ragioni principali dell’importazione dei Negri in America, la quale infatti fu compiuta per sfruttare, nei lavori, le loro forze, data la loro maggiore attitudine ad assimilarsi la civiltà europea a paragone degli Americani. I Portoghesi erano più umani che gli Olandesi, gli Spagnoli e gli Inglesi. Sulla costa brasiliana, era perciò più facile diventar liberi, e di negri liberi vi fu colà gran numero»[28]. Come è noto la schiavitù terminò in Brasile nel 1888, ultimo paese d’Occidente e in Brasile furono trasportati circa 4 milioni e mezzo di africani. Quello che per Hegel sembra una libertà, invece, è il gran numero – che riconosce – di africani che furono trasportati e che vennero sottoposti a una schiavitù più “leggera” di quella del Nord-America, forse perché i portoghesi erano cattolici, oppure perché le donne portoghesi non si trasferivano facilmente in Brasile, del quale temevano il clima e l’ambiente – addirittura le donne portoghesi che vivevano in Brasile facevano lavare i loro abiti in Portogallo per non contaminarli con l’acqua del Brasile. Il risultato è che in Brasile la mescolanza razziale è al più alto livello del mondo, restando, però, il Brasile il secondo paese negro del mondo, dopo la Nigeria.

Hegel è senza dubbio uno dei più eminenti costruttori dell’egemonia eurocentrica sul pianeta. Abbiamo visto quali siano le sue argomentazioni per costruire questa egemonia eurocentrica. In pratica l’Europa è il Centro dello Spirito del Mondo (Weltgeist). Il resto è Periferia che riceve dal Centro i valori fondamentali dello Spirito della Libertà. La ragione europea è universale e planetaria, le altre filosofie, come la cinese o l’indiana o l’islamica, sono arretrate, ingenue, particolari. Un vero e proprio rovesciamento della storia della filosofia, se si considera il progresso fatto dalle filosofie cinese, indiana e islamica. Questa filosofia dominante si fonda sul soggetto pensante, che nasce con Descartes in Europa, ma che in realtà si fonda sull’azione dei conquistadores.

Tutti gli intellettuali degli ultimi duecento anni sono stati educati secondo questa geografia della cultura, sono stati abituati a pensare che la vera cultura, la vera filosofia, viene dal Centro e deve essere riprodotta, non criticata, anche nella Periferia. È nato così un modo di pensare che è coloniale e colonializzante. Gli stessi intellettuali accettano questa relazione nata da un’apocalisse irreversibile, che si chiama Modernità. Uno degli aspetti più tipici di questo pensiero coloniale e colonializzante è l’accettazione dell’apocalisse americana; accettazione che è anche occultamento dell’Olocausto degli indigeni. Non è raro trovare intellettuali della Periferia che trovano naturale l’egemonia eurocentrica, che in pratica accettano acriticamente l’apocalisse e le sue conseguenze. Questa accettazione passiva dell’apocalisse ha come immediata conseguenza l’accettazione di una sorta di ordine naturale del mondo, dove gli europei dominano e gli altri popoli ubbidiscono. Ancora più efficace sarà l’accettazione dell’ordine eurocentrico del mondo, se gli intellettuali della periferia accetteranno questo ordine eurocentrico. Si toglie, così, fin dall’origine la possibilità di una presa di coscienza della propria posizione di vittime del sistema eurocentrico di dominio. La Modernità si fonda proprio su questo sistema eurocentrico di dominio.

La civiltà occidentale non ha portato nessuna salvezza all’indigeno, non è riuscita a sostituire ciò che l’indigeno ha perso o gli è stato sottratto. La civiltà occidentale eurocentrica continua a mantenere gli altri popoli in stato di minorità – per dirla con Kant –, a meno che essi non riescano a uscire da questo stato di minorità imponendo o la propria superiorità economica (Cina) o l’aver subito l’Apocalisse eurocentrica (Giappone con Hiroshima e Nagasaki). Adesso stiamo entrando in una nuova epoca del mondo. La pandemia del Covid-19 ce lo mostra chiaramente. La natura si ribella all’azione umana. Infatti la distruzione del sistema biologico ha permesso il passaggio del virus da animali selvatici all’uomo e questo sta causando una gravissima crisi economica del sistema eurocentrico dominante. È necessario superare la Modernità, andare oltre di essa, stare fuori della Modernità, è necessaria una Transmodernità. Bisogna partire dai popoli negati, perché vinti dal colonialismo eurocentrico, in pratica dalla Periferia, dalla frontiera della Modernità. Dussel ha indicato con chiarezza che «l’esteriorità non è pura negatività; è positività di una tradizione differente alla Modernità. La sua affermazione è novità, sfida e sussunzione del meglio della stessa Modernità. […] La morte della natura è suicidio collettivo dell’umanità e, senza dubbio, la cultura moderna che si globalizza non apprende il rispetto della natura che le altre culture hanno, apparentemente più “primitive” o “arretrate” […]. Questo principio ecologico può anche integrare il meglio della Modernità (non deve negare tutta la Modernità a partire da un’identità sostantiva purista della sua stessa cultura), per costruire sviluppi scientifici e tecnologici a partire da questa esperienza della stessa Modernità»[29]. Dobbiamo costruire una Transmodernità multiculturale, multirazziale, fondata sul dialogo interno tra le culture, rispettosa della natura, dobbiamo costruire una pluriversità. Questa è l’unica alternativa alla prossima Apocalisse, quella della distruzione della natura della Terra e con essa della specie umana; Apocalisse che si sta avvicinando a passi di gigante. Hinkelammert avverte il pericolo del diffondersi «della religiosità della catastrofe finale del mondo, per la quale l’Apocalisse di San Giovanni non è altro che in pretesto»[30] Sarà l’ultima sfida, se riusciremo a vincerla, altrimenti non avremo più nulla per cui lottare. Gli indigeni sopravvissero malamente alla Conquista, gli esseri umani non sopravviveranno alla distruzione della natura. Sarà veramente il compimento dell’Apocalisse.

Note

[1] Cfr. F. Hinkelammert, El asalto al poder mundial y la violencia sagrada del imperio, San José de Costarica, DEI, 2003, pp. 135-136. Ricordo che il nome di Lucifero non esiste nel testo originale della Bibbia, in quanto è un termine latino, vi fu introdotto da San Girolamo nella sua traduzione della Bibbia dal testo originale ebraico e greco in latino. Così nella Bibbia dell’edizione della C.E.I. si troverà “Stella del mattino”, ma nella Vulgata di San Girolamo era Luciferum.

[2] Cfr. T. La Rocca, Es ist Zeit. Apocalisse e Storia. Studio su Thomas Müntzer (1490-1525), Bologna, Cappelli, 1988.

[3] Le due citazioni provengono da Jared Diamond, Armi, acciaio e malattie, cit., pp. 51 e 52; il testo citato da Diamond è di C. de Mena, La conquista del Perù llamada la Nueva Castilla, Sevilla, 1534 [tr. it. in Ramusio, Navigazioni e viaggi, Torino, Einaudi, 1983].

[4] Cfr. G. Girardi, La Conquista dell’America, cit., pp. 151 e segg.

[5] Il tredicesimo mese dell’anno azteca, dedicato alle divinità dei monti.

[6] Ivi, p. 98 (la traduzione e la sottolineature sono mie).

[7] Cfr. J. Diamond, Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, tr. it. L. Civalleri, Torino, Einaudi, 2000, pp. 161-162.

[8] Questa cifra si riferisce al solo Nord-America.

[9] Ibidem.

[10] G. Girardi, La Conquista dell’America, cit., p. 346.

[11] F. Hinkelammert, Hacia una crítica de la razón mitica, cit., p. 215 (la traduzione è mia, A. I.).

[12] Cfr. A. Infranca, El Otro Occidente, tr. sp. C. Cuellar, Buenos Aires, Antidoto, 2000; poi in tr. fr. di F. Vitale, La philosophie de la Libération en Amérique Latine, Paris, L’Harmattan, 2004; poi in italiano, Roma, Aracne, 2011; e in tr. por. di Z. Rodriguez Vieira, O Outro Occidente, Bauru, Praxis, 2014.

[13] D. Diderot, “Supplemento al viaggio di Bougainville”, in Id, Ritorno alla natura, cit., p. 14.

[14] G. Girardi, La Conquista dell’America. Dalla parte dei vinti, Roma, Borla, 1992, p. 8.

[15] E. Gentile, L’apocalisse della modernità. La Grande Guerra per l’uomo nuovo, Milano, Mondadori, 2017, pp. 217 e segg.

[16] Utilizzo la definizione di Assmann e Hinkelammert ripresa dal loro L’idolatria del mercato, tr. it. A. Sorsaja, Roma, Castelvecchi, 2020, pp. 257 e segg.

[17] M. de Montaigne, Saggi, a cura di F. Garavini, Libro I, cap. XXXI, Milano, Adelphi, 1996, p. 272.

[18] G. Hegel, Lezioni sulla Filosofia della storia, vol. I: La razionalità nella storia, tr. it. G. Calogero e C. Fatta, Firenze, La Nuova Italia, 1973, p. 222.

[19] Ivi, p. 223.

[20] Ibidem.

[21] Cfr. Ibidem.

[22] Ibidem.

[23] Ernesto De Martino, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, a cura di G. Charuty, D. Fabre e M. Massenzio, Torino, Einaudi, 2019, p. 319.

[24] Cfr. Hegel, Op. cit., p. 224.

[25] Ibidem.

[26] Ivi, p. 229 (La sottolineatura è mia).

[27] Ivi, p. 228 (La sottolineatura è mia).

[28] Ivi, p. 225.

[29] E. Dussel, “La nueva edad del mundo. La Transmodernidad”, in Id. Filosofias del Sur, cit., p. 294 (la traduzione è mia, A. I.).

[30] F. Hinkelammert, Hacia una crítica de la razón mitica, cit., p. 222.

Il testo di Antonino Infranca è disponibile su carta. Cliccando sul link sottostante potete ordinare una copia.

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