Il Golem che ci attende. Un’etica per ogni cosa

Quando pensiamo al Golem che vogliamo costruire, stiamo forse mascherando sotto uno scopo officinale il nostro istinto di fondo a cercare di capire noi stessi? Finora lo hanno fatto le religioni, ora lo possono fare, e lo fanno, la scienza e la tecnologia.
Ernesto Di Mauro

Comunque il Golem, che non sarà una semplice macchina, queste ci sono già, sarà frutto di biologia e genetica, sarà differenziato in tessuti come i nostri, solo più resistenti potenti e forti, sarà frutto di cellule riproduttive, cellule staminali, clonaggi e clonazioni, intelligenza ricostruita. Il corpo del Golem sarà il corpo del vivente, la sua informazione sarà la nostra. Ma allora che differenza c’è con l’uomo vero e proprio? ed a che scopo farne uno? Un’ulteriore obiezione, legittima, è: l’uomo è fatto anche di altruismo, cooperazione, empatia, patto sociale. La risposta è: certo, così come possono avere tutto questo computer in rete e in sinergia. La risposta generale alla domanda “vale la pena o no correre rischi?” può dunque venire solo dal tipo di mente che vogliamo Golem abbia.
Abbiamo scritto la parola chiave: mente. Parola chiave nel senso che, per tutto quello che abbiamo detto, la mente potrà forse essere l’unica cosa che ci distingua veramente da macchine costruite a nostra potenziata somiglianza. Con mente si intende, l’insieme di intelligenza, memoria e coscienza, funzioni che vengono menzionate, descritte ed analizzate separatamente solo per ragioni pratiche e per limitatezza (temporale e quantitativa) dei nostri processi intellettivi. La mente è una e sola funzione, integrazione totale dei tre processi.

 

Indice: Il nostro destino è dentro di noi, Golem, Praga e Chelm, Prima di Praga: Benevento, Oria , Ahima’az ben Partiel, Abu Ahron di Bagdad, Il nostro destino è dentro di noi, L’idea di Golem, Il Golem prossimo venturo: 1. Il codice, 2. La costruzione di un sistema di codificazione, la sua realizzazione, (ii) La costruzione di genomi artificiali, La vita non è un cristallo, il DNA cambia e impara, (iii) Lo sviluppo controllato e programmato della capacità di pensare, Memoria, coscienza, intelligenza, Intelligenza Artificiale, (iv) La costruzione di corpi nei quali ospitare questo pensiero, Come sarà fatto il corpo di Golem non sappiamo, A questo punto dobbiamo guardare meglio dentro i computer che ci circondano, Il Golem che ci attende, Un’etica per ogni cosa.

 

Il nostro destino è dentro di noi

 

Tutti gli organismi viventi hanno per definizione la tendenza a riprodursi, a creare altri se stesso, a dare vita a qualcosa. Il primo esempio che viene in mente, forse un po’ banale, è quello del Golem. Un Golem esemplifica due cose insieme: la necessità di farsi aiutare e proteggere, la volontà di farsi servire; e la domanda, destinata finora a rimanere senza risposta, di cosa sia la vita. La scienza moderna sembra essere arrivata al punto di poter risolvere entrambi i problemi. Guardiamo prima dentro la figura del Golem, affacciamoci poi alla finestra aperta su un futuro che in gran parte è già presente.

 

Golem

 

La parola Golem evoca l’immagine di Frankenstein. Ma questa figura dalle tinte romantiche ed un po’ gotiche è la creatura ideata da Mary Shelley, ed in realtà non corrisponde a un Golem, che è una cosa diversa e ben precisa, parte e frutto della cultura ebraica.    In gran parte dei miti antropogonici, la nascita dell’uomo è opera di un Essere superiore che plasma materia inerte e gli infonde la vita. Versioni simili tra loro le troviamo nelle cosmogonie degli indiani d’America, nelle culture della semiluna fertile, in quelle orientali. La radice è antica, il mito ben radicato, un archetipo. Il termine Golem deriva dalla parola ebraica Gelem, che significa “materia grezza”; nel Tanakh (la Bibbia ebraica, l’Antico Testamento per i cristiani) (Salmo 139,16) indica la “massa ancora priva di forma”, è Adamo prima che gli fosse infusa l’anima. In ebraico moderno golem significa anche robot (il che in questo discorso è particolarmente interessante).

Nelle elaborazioni successive della cultura ebraica, il Golem diventa figura mistica e simbolica simile a un automa, costituito da una materia alla quale è stata infusa la vita in modo artificiale. Gli autori della trasformazione sono degli uomini che conoscono

 

Praga e Chelm

 

Il Golem che incontriamo più spesso in letteratura e al quale ci si riferisce in genere nasce e vive a Praga nel sedicesimo secolo, in varie versioni della storia. La più nota è quella il cui protagonista è il rabbino Jehuda Löw ben Bezalel, che creò dei Golem plasmandoli nell’argilla e risvegliandoli tramite una parola scritta sulla fronte. Non potendoli controllare perché si moltiplicavano a dismisura, cambiò la parola “verità” (emeth) scritta sulla loro fronte e che aveva infuso la forza vitale nell’argilla, in “morto ” (meth). Uno dei suoi Golem vive ancor oggi nella antica Sinagoga Staronova (Vecchia-nuova) di Praga. Una leggenda, simile e della stessa epoca, vuole che un altro rabbino, questa volta polacco, Rabbi Elijah di Chelm, creasse anch’egli un Golem che crebbe a dismisura terrorizzando il suo creatore, che decise di cancellare la parola emeth lasciando sulla fronte solo meth. Crollando a terra decomposto, il Golem schiacciò e uccise il suo creatore. Il senso di queste storie, quasi identiche, è che il confine tra il fisico ed il metafisico non può essere varcato: se si crea un essere vivente dalla materia inerte attraverso la forza della parola-logos, questi non può essere controllato dall’uomo, per quanto illuminato. Che secondo la Cabala la creazione del mondo sia avvenuta per un processo di emanazione di ogni cosa dal nome divino è cosa nota (1); e che non sia lecito sostituirsi a Dio né pronunciare invano il suo nome lo è altrettanto, anche se è necessario di tanto in tanto ribadirlo.

Nella elaborazione esoterica il Golem viene dunque formato attraverso il Sefer Yetzira (Libro della Formazione o Libro della Creazione) e le Sefirot, che sono qualcosa di potente e di connesso con sefer (scrittura), sefar (computo) e sippur (discorso), che derivano dalla stessa radice SFR. Le Sefirot nella Cabala ebraica sono le dieci modalità o gli “strumenti” di Dio attraverso cui l’Ein Sof (l’Infinito) si rivela e crea. Non è dunque lecito, né al rabbino Jehuda Löw né al rabbino Elijah di Chelm, né ad altri, entrare nell’uso del potere che emana dal nome di Dio.

Prima di Jehuda Löw e di Elijah di Chelm, anche Alberto Magno (1193-1280) si era fabbricato uno schiavo artificiale, poi distrutto dal suo allievo Tommaso d’Aquino (1225-1274). La creatura di Alberto Magno non è però entrata nell’immaginario collettivo moderno come il Golem di Praga; anche perché questa storia è poco nota, oscurata dalla fama scientifica, filosofica e teologica del Santo, protettore degli scienziati. La sovrapposizione parziale di culture in quell’epoca in fermento è comunque particolarmente interessante. La consapevolezza che i limiti non vadano varcati è con noi da sempre: Elios non sorpasserà la sua misura: altrimenti le Erinni, guardiane della Giustizia, lo troveranno (Eraclito, fr. 94).

 

Prima di Praga: Benevento, Oria

 

La storia del Golem è però più antica, il che la rende affascinante, la solleva da un momento storico troppo definito. Le prime tracce letterarie le troviamo nell’opera di Ahimaaz ben Paltiel, cronista medievale del XI secolo, noto conoscitore della Torah e della mistica ebraica, punto di entrata in un mondo non abbastanza esplorato.   Ahimaaz ben Paltiel narra che nel IX secolo un rabbino, Ahron di Bagdad, scoprì un Golem a Benevento, un ragazzo a cui era stata donata la vita eterna per mezzo di una pergamena. Nella sua cronaca viene anche descritto come, sempre alla fine del IX secolo, nella città di Oria in Terra d’Otranto risiedevano dei sapienti ebrei capaci di creare Golem, i quali smisero di praticare questa attività dopo una ammonizione divina. Qui c’è una prima differenza, importante, rispetto ai Golem di Praga e di Chelm, che eseguivano gli ordini dei loro creatori di cui diventavano una specie di schiavi, incapaci di pensare, di parlare e di provare emozione perché privi di un’anima. Che succedeva ad Oria nel IX secolo?

Che in Terra d’Otranto fiorisse, all’epoca, una comunità ebraica particolarmente colta lo testimonia quello che rimane di Amittai ben Shefatiah (Oria, 850/860 – Oria, 920/930), poeta. Amittai il Giovane, nipote di Amittai il Vecchio e figlio di Shefatiah, è avo del cronista Ahimaaz ben Paltiel che abbiamo ricordato, colui che del suo antenato ci ha lasciato memoria. Di Amittai il Giovane restano numerosi frammenti (alcuni di derivazione familiare) tra i quali un poema su Mosè e su creature bibliche tipiche dell’immaginario ebraico tra cui il Leviatano e lo Ziz, i mostri del mare e del cielo. La sua opera poetica è considerata originale (2, 3) ed anticipatrice di talune tematiche trattate nel Sepher haZohar (il Libro dello Splendore), testo profetico ebraico, il libro più importante della tradizione cabalistica, redatto in aramaico in Castiglia verso il 1275.

 

Ahima’az ben Partiel

 

Il Libro delle discendenze (4), in ebraico Sefer Yuhasin, è noto agli studiosi dal 1895, anno della scoperta di un manoscritto conservato nella Biblioteca Capitolare presso la Cattedrale di Toledo in Spagna. Il Sefer, ovvero la Cronaca, è non solo un componimento letterario romanzato delle vicende di una stirpe, è anche il racconto di una dinastia d’astronomi/astrologi particolarmente importanti tra i secoli VIII e XI. L’autore del Sefer nasce a Capua nel 1017 in una delle comunità ebraiche sorte in Italia dopo la deportazione romana, ma le sue origini sono pugliesi, nella comunità di Oria, ed è un profondo conoscitore delle Scritture e della mistica ebraica, e prosecutore di antiche e dotte conoscenze. La lettura del Libro delle discendenze, la cui stesura iniziò agli inizi del 1054, precisamente nel mese di Adar (febbraio-marzo), è affascinante nella sua testimonianza di un mondo che componeva fianco a fianco culture diverse capaci di integrare le proprie saggezze e capace di ricomporle anche dopo eventi traumatici come la espugnazione musulmana di Oria, il 4 luglio 925, quando la città fu saccheggiata, incendiata e tutta la popolazione uccisa o fatta schiava. Dopo il racconto della diaspora, la storia inizia con le vicende dell’avo Ammittai, poeta e sapiente vissuto tra la fine del VIII secolo e gli inizi del successivo, e quelle dei figli Shefatiah, Hananeel ed El’azar, “esperti di dottrine mistiche, compositori di rime, conoscitori di misteri, investigatori della Hochmah, indagatori della Binah, sussurratori dell’arcano” (4).

 

Abu Ahron di Bagdad

 

Quello che ci interessa qui è la parte che narra di Abu Ahron di Bagdad, grande Maestro, valente astronomo e profondo conoscitore di misteri (il nome intero è Abu Aron ben Shamuel ha-Nasì, quasi certamente personaggio storico, di lui si parla anche in altre fonti ebraiche medievali), che a metà dell’ 800 nel suo peregrinare giunse a Benevento, e riconobbe un Golem. La storia narra che questi fosse un giovane morto nei pressi di Oria durante il cammino verso la Città Santa. Il mercante suo compagno di viaggio, al quale il giovane era stato affidato, si era rivolto ai saggi rabbini di Oria, sussurratori dell’arcano, che avevano inciso il braccio destro del giovane ed avevano inserito nella ferita il nome di Dio, che dà la vita. Da quel momento il giovane andava errando, qual creatura vivente. Ahron capì subito dove era nascosto il Sacro Nome e, su richiesta del giovane-Golem stesso, stanco di quella vita-non-vita, lo estrasse. Il corpo rimase senza spirito e cadde cadavere putrefatto, come se fosse da molti anni in decomposizione: esattamente come succederà secoli dopo al Golem di Chelm di Rabbi Elijah. Con lo stesso insegnamento morale, e con lo stesso presupposto: le lettere che compongono il nome di Dio hanno potere di dare la vita, sempre.

In tempi più vicini a noi il Golem viene svilito ad un insieme di leggende, credenze magiche e superstizioni da romanzo gotico. Il libro Il Golem (1915) di Gustav Meyrink ebbe enorme successo, ha ispirato film impressionisti famosi (Der Golem, wie er in die Welt kam del 1920 di Paul Wegener, ad esempio; il Nosferatu di Murnau o il Frankenstein di James Whaledel del 1931), poesie di Jorge Luis Borges e racconti di Primo Levi (Il servo, in Vizio di forma).

Ma la sua valenza mitologica quasi-divina è andata perduta. Oggi il Golem sta diventando vero, sta prendendo forma sotto i nostri occhi, è altro.

 

Il nostro destino è dentro di noi

 

Dicevamo: tutti gli organismi viventi hanno per definizione la tendenza a riprodursi, che altrimenti sarebbero già estinti per ragioni interne. Questo fatto riguarda le specie, cioè l’insieme di organismi inter-fecondabili, quelli che si possono accoppiare tra loro per produrre nuovi organismi, Homo sapiens ad esempio. Gli organismi di altre specie giocano partite separate ma simili. Le specie sono spesso in competizione tra loro, per fonti di energia, di cibo, di spazio; a volte sono in cooperazione, per competere meglio contro altri. Comunque, degli organismi che non avevano la spinta a riprodursi, o non l’avevano forte abbastanza, si è persa memoria. La spinta a riprodursi della specie umana è molto forte.

Quanto sopra non toglie che le specie non si possano estinguere anche per ragioni esterne. Anzi, è quello che succede più di frequente, glaciazioni, cambiamenti ambientali, competizione vincente da parte di altri. I due fattori, quello interno e quello esterno, l’insieme dei due, sono in equilibrio e lavorano di concerto, nel grande teatro dell’evoluzione. Il risultato lo vediamo intorno e dentro di noi, oltre che in paleografia, paleobiologia, archeologia, giù giù fino al petrolio, residuo organico dei corpi di organismi estinti tanto tempo fa, o fino alle rocce del Pilbara che portano al proprio interno i primi segni rintracciabili di vita lasciati dai 3 miliardi e mezzo di anni appena trascorsi. Così vanno le cose qui sulla Terra.

Le più antiche rocce australiane contengono i microorganismi più antichi noti. Nella Australia dell’ovest, regione del Pilbara, le rocce della Dresser Formation sono datate con precisione a 3.48 miliardi di anni. La formazione contiene stromatoliti, strutture che si formano quando dei microbi crescono formando strati (biofilm) per poi coprirsi di sedimenti. Nel caso della Dresser Formation i sedimenti sono fatti di pirite, materiale particolarmente resistente ed inalterabile. Strato su strato, i biofilm funzionano da collante, e rocce tondeggianti crescono e conservano al proprio interno le tracce di vita, pronte ad essere analizzate e riconosciute come tali.

Per capire cosa è successo prima di Pilbara, si cerca l’origine della vita nelle tracce delle pozze primigenie di cui ha scritto Darwin per primo (5), una volta sola:

Si dice spesso che tutte le condizioni per la prima produzione di un organismo vivente sono presenti oggi, come lo sono sempre state. Ma se (e oh che grande se) potessimo concepire che in una qualche piccola pozza calda in cui fossero presenti tutti i necesssari tipi di sali di ammonio e di fosforo, luce, calore, elettricità, si sia formato chimicamente un composto chimico proteico, pronto ad andare incontro a più complessi cambiamenti, oggi questa materia sarebbe istantaneamente divorata, o assorbita, cosa che non sarebbe avvenuta prima della formazione delle creature viventi.”

In quella intuita pozza erano al lavoro le stesse regole di competizione ed evoluzione alle quali siamo soggetti noi, solo che si chiamava ancora evoluzione molecolare, non evoluzione di organismi. Quando dalla pozza è emerso LUCA, il nostro Last Universal Common Ancestor, il comune nostro punto di partenza, questo ha iniziato a riprodurre se stesso per una spinta interna che, in qualche modo, è quella che guida anche noi, e che ci tiene in vita come specie. I meccanismi sono noti, piacere (condizionato), istinto (di sopravvivenza del sé e della sua riproduzione), meccanica biochimica, ansia di esistere, ormoni, sogni.

La spinta della specie umana a riprodursi non si ferma a fare figli. Porta a fare altre due cose. La prima è dipingere e fare statue, con le derivate proiezioni di se stessi sulle scene e sugli schermi; la seconda è più complessa e più profonda, potenzialmente molto pericolosa, e comincia a delinearsi se mettiamo insieme indicazioni e pezzi sparsi.

 

L’idea di Golem

 

La storia del Golem, abbiamo visto, inizia nel IX secolo a Benevento, dove fu scoperto dal rabbino Ahron di Bagdad. Il Golem, che cosa strana (e quanto è strana la sua storia! perché a qualcuno è venuta quest’idea?). L’idea di oggetti animati è in effetti sogno antico; ne troviamo tracce nella cultura ellenistica. Rileggiamo Cratete:

  1. E nessuno avrà né uno schiavo né una schiava? / Tutti gli uomini, anche se vecchi, /dovranno dunque essere i servi di se stessi?
  2. Neanche per sogno: io farò in modo / Che tutte le cose si muovano da sole.
  3. E allora che vantaggio ne avranno?
  4. Ogni strumento si presenterà quando sarà chiamato: “Tavola, vieni qua! Su, apparecchiati da sola! Panierino, impasta! Mestolo, versa! Dov’è la coppa? Và a lavarti! Focaccia, sollevati! La pentola deve versare le bietole! Pesce, muoviti!” “Sull’altro lato non sono ancora cotto!”.“ Allora voltati, ungiti e cospargiti di sale!” (Cratete, 16, Le bestie).

Di Cratete, commediografo ateniese del IV secolo a. C., ci è rimasto solo qualche frammento. Peccato, perché la sua vena sembra essere stata particolarmente visionaria e immaginativa. Nel frammento 17 descrive un bagno fatto con l’acqua che si era scaldata da sola, in cooperazione con il vaso di alabastro contenente il profumo che versava quando era necessario, e la spugna che si muoveva sapendo dove andare e cosa fare. Al di là di questi aspetti officinali, c’è una radice più profonda: la creazione di un simulacro è l’uomo che riflette su se stesso.

Il parallelo più chiaro (o, se vogliamo: un suo aspetto parziale ed illuminante) è dato dalla creazione di quello che chiamiamo mente artificiale che, oltre a servirci e ad obbedirci sotto forma di computer, ci fa riflettere sulla nostra mente, ci permette di capirla. Così la vita artificiale ci fa riflettere sulla nostra vita, quella reale e naturale, qualsiasi cosa questo significhi. In qualche modo, se vogliamo capire noi stessi, è necessario mettersi all’esterno, guardarci dal di fuori.

 

Il Golem prossimo venturo

 

Per fare un uomo ci vogliono molte cose. Per fare un Golem vivo e vero ce ne vogliono altrettante:

(i) un codice. La organizzazione di un sistema di codificazione dell’informazione, la organizzazione di un sistema di lettura ed uso di questa informazione; la realizzazione funzionale di elaborazione dell’informazione tra il momento della codificazione e quello della decodificazione. Stiamo qui parlando della decifrazione del codice genetico, della sua attuata possibilità di uso, di tanta parte della ricerca biologica contemporanea e delle associate applicazioni biotecnologiche. Non è stato necessario inventare un codice nuovo e artificiale, quello chimico inventato dalla natura è di gran lunga il migliore. …Fatto.

(ii) Una struttura che contenga il codice: un genoma. Lo sviluppo di metodi per la decifrazione della sequenza del DNA ha portato alla determinazione della sequenza di genomi interi, dai genomi virali e batterici fino al genoma umano. Questa scienza è ormai matura e, sotto il nome di genomica, comprende le sequenze di moltissimi organismi diversi. Dalla loro analisi comparata è derivata la determinazione della loro organizzazione e della loro struttura. Conoscendo la struttura, è stato possibile programmare e costruire genomi artificiali. La scelta iniziale è stata quella della semplificazione, costruire cioè genomi minimi dotati di strutture per poter sopravvivere, funzionare, replicarsi ed esprimere pochissimi geni, e null’altro. Su questo modello si potrà costruire complessità genetica. … Fatto.

(iii) Lo sviluppo controllato e programmato della capacità di pensare. Il discorso è complesso, per affrontarlo è necessario definire cosa sia la mente; e non limitandosi soltanto, in modo autoreferenziale, alla mente umana. E’ necessario definire le diverse funzioni che, nel loro insieme e nel loro funzionamento coordinato, possiamo chiamare mente: memoria, coscienza, intelligenza. Poi, confrontandoci con queste definizioni, capire a che punto sia giunto l’insieme di fatti, di nozioni, di concetti, di tecnologie che va sotto il nome ampio di intelligenza artificiale. Ma anche in questo caso è possibile annotare:… fatto.

(iv) La costruzione di corpi nei quali ospitare questo pensiero. Da un lato abbiamo dunque un codice genetico ed il suo uso, e la costruzione delle strutture che portano questo codice (genomi artificiali); dall’altro abbiamo il modo di codificare un pensiero autonomo (intelligenza artificiale) e la costruzione di strutture che lo contengono e lo mettono in uso (computer, in forma di scatoloni di metallo, di i-.phone o di robot semoventi). A che punto è la costruzione di strutture biologiche nelle quali sia possibile ospitare questo pensiero? Esistono due diversi approcci. Il primo è quello che parte dalle minicellule (bottom-up), l’altro è quella che parte direttamente dall’alto, e si chiama clonazione. Qui non possiamo ancora dire … fatto. Ma quasi, la via è aperta.

Quello che manca per fare un Golem è mettere insieme queste quattro parti del sistema, farle interagire in modo organico. Farne un insieme. Tenendo presente anche che, al tempo della comunicazione a distanza, forse non è necessario giungere ad una unità fisica perché si abbia una unità funzionale.

Prima di esaminare meglio quale sia l’insieme migliore, o il più probabile, è opportuno entrare più in profondità nei quattro punti, uno per volta, analizzare i vari aspetti singolarmente, in un qualche dettaglio, cercare di capirne meglio i limiti e le possibilità.

 

(i) Il codice

 

Sulla Terra tutti gli organismi viventi utilizzano lo stesso codice genetico. Questo fatto può essere dovuto a due ragioni. La prima potrebbe essere definita “storica”: la vita sarebbe iniziata una volta sola, secondo un insieme di modalità definite e, una volta iniziata, non ha più potuto ricominciare perché le condizioni favorevoli che ne avevano permesso l’inizio non c’erano più, erano cambiate. Il Pianeta aveva seguito la propria via evolutiva, e quello che c’era, c’era. La seconda potrebbe essere definita ”mancanza di alternative”: data la composizione dell’ambiente, data la qualità e le proprietà degli atomi presenti nello scenario, date le proprietà chimico-fisiche del Pianeta, e date le regole termodinamiche delle interazioni molecolari, dati tutti questi parametri iniziali, le regole di interazione e di sviluppo di ulteriore complessità erano definite una volta per tutte. Su queste regole quello che definiamo vita (“Vita è riproduzione con variazioni”) ha costruito i propri meccanismi funzionali e la propria base molecolare. Questa base la conosciamo: l’informazione è nel DNA, questo si esprime (si “trascrive”) in RNA, che a sua volta dirige su di sé (ovvero: si “traduce in”) la produzione di proteine. Il resto della biochimica ruota intorno a questi elementi e produce membrane, forme, foglie, ossa, trasformazione di energia, tronchi, scheletri, fiori, residui. Questa seconda via, questa seconda classe di meccanismi è complessa e, una volta imboccata, non permette di tornare indietro. Tutte le semplificazioni possibili sono state esplorate dall’evoluzione e sono note, riguardano dettagli del sistema, non modificano i suoi meccanismi di base.

Le due ragioni non sono alternative; sono probabilmente vere entrambi. Il risultato è il mondo biologico che ci circonda e del quale facciamo parte, basato sull’ informazione e sulla sua gestione. Se vogliamo riprodurlo ad arte, non abbiamo alternative se non seguire la via già tracciata dalla natura.

 

La costruzione di un sistema di codificazione, la sua realizzazione

 

L’organizzazione dell’informazione del materiale genetico è simile a quella di un computer che procede con scelte successive di informazioni fornite dalla sequenza di due cifre … 0-0-1-0-1-1… . Il DNA è organizzato nello stesso modo: le sue cifre di base sono due strutture chimiche distinte (nucleotidi purinici e nucleotidi pirimidinici), allineate lungo un filamento polimerico. Per aumentare la propria ricchezza di informazione il codice binario del DNA si è sdoppiato, all’ inizio della propria evoluzione, e sia le purine che le pirimidine del DNA sono diventate due: A (adenina) e G (guanina) sono le purine, C (citosina) e T (timina) sono le pirimidine. La sequenza delle A, G, T e C, allineate lungo una struttura ripetitiva costituita da gruppi zucchero-fosfato che si ripetono in successione legati da legami fosfodiesterici, costituisce la parte variabile ed informazionale del DNA. Questo filamento polimerico è potenzialmente lunghissimo e, avvolgendosi intorno ad un filamento speculare, forma una struttura a doppia elica. E’ questo il senso profondo delle sequenze …ATGAGTACCATT… di cui è fatto il DNA.

Sono possibili alternative? Sembra di no. Senza addentrarci eccessivamente in analisi biochimiche, basta ricordare che: (i) le sostanze di base del DNA possono generarsi da sostanze più semplici in modo spontaneo. Queste sostanze di partenza possono essere ad un solo atomo di carbonio; possono essere cioè veramente semplici, e facevano parte della atmosfera della Terra primitiva. (ii) Altre sostanze simili si formano secondo modalità simili, ma sono tutte, per un verso o per l’altro, meno adatte allo scopo finale: quello di essere abbastanza facili da fare; di essere sufficientemente stabili per poter rimanere; di essere abbastanza reattive per interagire tra loro, ma non reattive abbastanza da reagire in modo indiscriminato con tutto ciò che le circonda o da autodistruggersi. (iii) Sono state sintetizzate negli ultimi decenni centinaia di molecole in forma di varianti simili a quelle naturali, alla ricerca di alternative biotecnologiche, di potenzialità terapeutiche, per pura curiosità intellettuale, o allo scopo brevettuale per eventuali e mirati miglioramenti. Il risultato chiaro è che la natura ha scelto e tramandato le quattro molecole migliori, le più adatte allo scopo. Naturalmente tenendo ben presente che la natura non ha uno scopo. La natura e l’evoluzione hanno solo cause ed effetti. L’effetto è che il DNA che abbiamo è il migliore possibile.

Gli stessi ragionamenti si applicano, per quanto riguarda il DNA, alla sua struttura a doppia elica; per quanto riguarda l’ RNA si applicano sia alla sua composizione che alla sua struttura; così per le proteine: delle molte decine di aminoacidi possibili, solo 20 sono stati selezionati a far parte della struttura delle proteine e del codice genetico. Per tutti i passaggi del sistema sono ormai noti effetti e cause, conosciamo le ragioni della sua universalità e della mancanza di alternative plausibili o possibili. Data la composizione atomica dell’Universo, date le leggi che lo governano, questa è l’organizzazione della materia vivente. Ed è probabile che altrove le regole non siano molto dissimili. La chimica dell’idrogeno, quella dell’ossigeno e, soprattutto, quella del carbonio, sono le stesse qui sulla Terra e su Andromeda, e si mantengono uguali, per quanto ci sia dato sapere, fino ai confini dell’Universo.

Nella prospettiva di creare un Golem usiamo dunque il codice genetico migliore che conosciamo: il nostro.

 

(ii) La costruzione di genomi artificiali

 

Determinazione di sequenze e di interi genomi.

 

La decifrazione del codice genetico è andata di pari passo allo sviluppo di tecnologie di sequenziamento del DNA. Con il che si intende la determinazione, lungo il filamento di DNA, della sequenza di quelle sostanze chimiche i cui acronimi sono A, G, T, C e che, appunto con la loro sequenza, determinano l’informazione genetica. Le tecnologie specifiche hanno raggiunto negli anni ’90 un altissimo grado di sofisticazione e precisione al punto da essere considerate prive di errori. Queste tecnologie sono oggi altamente automatizzate e permettono in tempi brevi e con costi moderati la determinazione, l’ordinamento e la interpretazione di lunghe sequenze. La automazione della determinazione delle sequenze ha portato alla definizione genetica e strutturale di interi genomi, intendendo per genoma l’insieme delle informazioni che determinano un tipo di organismo.

Sono stati ovviamente determinati prima genomi di grandezza limitata, poi man mano genomi sempre più grandi. Ripercorriamo rapidamente alcune tappe importanti: nel 1981 è stata determinata la prima sequenza completa di un genoma, quello del mitocondrio umano (16.569 coppie di basi, bp). I mitocondri sono organelli cellulari sede, nelle cellule umane, della componente biochimica delle funzioni respiratorie e della produzione di sostanze depositarie di energia. Hanno un genoma distinto da quello del resto della cellula, di derivazione batterica ancestrale. Il numero di coppie di basi che compongono un genoma o una sua componente è un importante dato del sistema, se pensiamo che il genoma umano nucleare non-mitocondriale è composta da circa 4 miliardi di elementi.

Batteri. Il sequenziamento del batterio Haemophilus influenzae (1,83 milioni di coppie di basi Mb) è del 1995, ed è stato eseguito con la stessa tecnica che sarà in seguito usata dalla ditta Celera Genomics per sequenziare il genoma umano. Il sequenziamento del batterio Escherichia coli, batterio presente nell’intestino dell’ uomo (4.639.221 bp) è di poco successivo. Il primo genoma di un archeobatterio completamente sequenziato (1.664.976 bp, 1996) è quello di Methanococcus jannaschii, che vive ad una temperatura di 85 °C e a pressioni fino a 200 atmosfere. I genomi di virus e batteri oggi sono numerose migliaia, il che ha permesso studi comparativi, funzionali, evolutivi.

Organismi superiori. Il genoma di Saccharomyces cerevisiae fu nel 1996 il primo genoma eucariotico a essere sequenziato completamente. Dato che il lievito Saccharomyces cerevisiae rappresenta un sistema eucariotico modello perché somiglia per diversi aspetti alla cellula di mammifero (una grande percentuale dei geni del lievito è omologa a quelli di mammifero), questo sequenziamento ha aperto la via interpretativa alla analisi del genoma umano. Il sequenziamento del genoma di altri sistemi modello ha fatto rapidamente seguito: il nematode Caenorhabditis elegans (100,3 Mb, 1998), il moscerino della frutta Drosophila melanogaster (118,4 Mb, 2000), il topo Mus musculus, il Fugu rubripes, il pesce palla,di 365 Mb, otto volte più piccolo di quello umano. E’ stato determinato il genoma di Plasmodium falciparum, parassita unicellulare che causa la malaria, e quello del genoma completo del suo vettore, la zanzara Anopheles gambiae (2002). Gli organismi eucariotici di cui si conosce la sequenza completa è oggi del’ordine del migliaio. La genomica è ormai una scienza matura.

Umano. I grandi avanzamenti realizzati nell’automazione del sequenziamento del DNA e nello sviluppo di programmi informatici per l’analisi della vasta quantità di dati di sequenza messi a punto per il sequenziamento dei genomi indicati hanno fatto sì che divenisse possibile il sequenziamento del genoma che interessa veramente Homo sapiens, il suo.

Il progetto genoma umano (Human Genome Project). L’HGP è stato condotto da un consorzio internazionale (IHGSC, International Human Genome Sequencing Consortium), a cui hanno preso parte ricercatori appartenenti a 16 istituzioni di varie nazioni. Contemporaneamente l’impresa è stata affrontata in competizione da un’impresa privata, la Celera Genomics. Nel giugno del 2000, in una conferenza stampa congiunta alla quale presero parte Francis Collins, del National Human Genome Research Institute (NHGRI), e John Craig Venter, della Celera Genomics, fu annunciata la prima stesura della sequenza del genoma umano. Tra il 2000 ed il 2003 sono state rese pubbliche varie stesure e vari livelli interpretativi (6-9). Nella versione del 2003 erano presenti dati sul   99% della sequenza del genoma, con tasso di precisione di 1/10.000 bp.

Tra le conclusioni più importanti di questa impresa titanica, di questo grande sforzo organizzativo e tecnologico: un genoma umano assoluto non esiste, ogni singolo genoma di ogni singolo individuo è diverso da ogni altro. Pur rimanendo individui della stessa specie, ognuno ha la propria storia genetica.

Inoltre, attraverso la comparazione della sequenza dei diversi genomi sequenziati si è visto in generale che non esiste una relazione diretta tra la quantità totale di DNA contenuto nel genoma e la complessità strutturale e organizzativa di quell’organismo. Sebbene, ad esempio, il genoma umano, se comparato con quello del ratto o del topo risulti il più grande, tutti e tre questi mammiferi possiedono all’incirca lo stesso numero di geni. La loro sequenza rivela che il 99% circa dei geni di topo e di ratto hanno una controparte diretta nell’uomo, inclusi i geni associati alle malattie. La nostra arroganza umana risulta ridimensionata dallo sguardo al proprio genoma: non abbiamo più geni di quanti ne abbia un topo, né i nostri sono molto diversi. Anzi, non lo sono quasi affatto.

Altra conclusione importante è che la conoscenza dettagliata del genoma umano, insieme a quello di altre specie, ha evidenziato come le sequenze geniche fra esseri fenotipicamente molto diversi presentino una fortissima ed imprevista somiglianza genetica. Entra qui in campo la funzione di ciò che si chiama epigenetica, della quale ci occupiamo più avanti.

E’ oggi in atto la determinazione dei genomi di numerosissime specie diverse e, soprattutto, di organismi diversi della stessa specie. Applicato alla specie umana, questo approccio ha portato al rapidissimo sviluppo della genomica umana, scienza che descrive le differenze individuali intime e che è potenzialmente in grado di sviluppi terapeutici individualizzati.

 

Cromosomi artificiali

 

Una volta capita la natura del codice genetico e stabilito come si possono determinare rapidamente interi genomi, determinare come sia organizzato un genoma è stato facile. Un genoma è fatto di filamenti di DNA uninemici (un unico filo, senza interruzioni), circolari (senza un punto definito di inizio o di fine) o lineari. Nel caso di filamenti lineari, le estremità sono chiuse da strutture dette telomeri, estremità dei cromosomi. In entrambi i casi esistono punti speciali dove il DNA inizia la propria replicazione quando vuole riprodursi, e punti di interazione selettiva con il resto dei macchinari cellulari: i centromeri. Se sappiamo come è fatto un telomero, come è fatto un punto di inizio di replicazione e come un centromero, possiamo pensare di costruire un genoma artificiale, nel quale inserire i geni che vogliamo, oltre ai geni minimi necessari. Ecco dunque i princìpi sui quali è basata la costruzione dei genomi artificiali, il cui scopo è da un lato puramente biotecnologico (immaginiamo un genoma che tenga in vita un organismo il cui scopo è quello di produrre soltanto penicillina, ma di farlo nel modo migliore), dall’altro potenzialmente molto creativo, forse al di là dell’immaginabile.

Un dato importante di partenza è che quando si analizzano i valori di densità genica di un cromosoma naturale, si osserva che in ogni organismo sono presenti tratti di cromosomi detti regioni ricche di geni, con un numero di geni superiore alla media, e regioni con un numero di geni significativamente inferiore alla media. In generale gli organismi complessi possiedono una minore percentuale del loro genoma dedicato ai geni, mentre il resto è costituito da regioni intergeniche consistenti in DNA ripetuto. Nella programmazione di un cromosoma artificiale è dunque possibile usare un procedimento di condensazione, costruire un affollamento genico, non rispettare la distribuzione scelta dall’evoluzione per ragioni che ancora non comprendiamo bene, e che comunque obbediscono ad una logica “storica” che non riguarda il programmatore ex novo.

Tecnicamente, sono stati sviluppati prima i cosiddetti vettori BAC (Bacterial Artificial Chromosome). Con questo me­todo, sono stati amplificati tratti di DNA umano frammentato in pezzi (100.000-200.000 bp) in modo da prepararne quantità abbastanza grandi per il sequenziamento. Sono poi stati elaborati vettori di tipo eucariotico, gli YAC (Yeast Artificial Chromosomes) per poter esprimere geni in cellule di lievito. Esistono ora vettori elaborati da virus animali o vegetali in grado di esprimere geni in cellule animali o vegetali. Il ciclo sembra completo: piccoli cromosomi artificiali dotati di estremità, di punti di replicazione, di tratti di DNA per interagire con il resto delle strutture cellulari. In questi cromosomi si possono inserire tratti contenenti geni secondo la logica voluta, non secondo la logica della evoluzione pregressa e naturale.

Se abbiamo in mente di costruire un Golem, sappiamo come organizzare i suoi cromosomi.

 

Estensione universale

 

Una delle conclusioni che derivano dalla analisi della enorme quantità di dati di sequenziamento è la universalità del sistema biologico terrestre. Il codice genetico usato è universale; i meccanismi di iscrizione sul DNA, di trascrizione e di sintesi proteica sono sempre simili. Evolvono, si complicano, si specializzano, ma i princìpi di fondo sono sempre gli stessi, intercambiabili, usabili in modo crociato, secondo un principio di unità di base del vivente. Su questa filosofia è stato concepito il consorzio Gene Ontology (GO), il cui scopo è sviluppare un sistema di nomenclatura comune per definire un concetto di funzionalità genica applicabile a tutti gli organismi (10). Attualmente il vocabolario del GO contiene circa 30.000 termini funzionali. Una volta definito il rapporto sequenza-funzione per un gene in un dato organismo, questo può fornire informazioni sul gene omologo di un altro organismo. Altro vantaggio è che l’uso di informazioni ottenute su genomi diversi da quello umano può risolvere la mancanza di conoscenza causata dai problemi etici inerenti la sperimentazione diretta sui geni umani.

Il Golem che ci attende alla fine del processo sarà un patchwork di organismi.

 

Altri consorzi impegnati nel mettere ordine nelle pagine di quel manuale di istruzioni del corpo umano che è il suo genoma, sono il progetto ENCODE ed il progetto HapMap. Il progetto ENCODE (ENCyclopedia Of Dna Elements) sta creando un’enciclopedia degli elementi funzionali codificati nel DNA. Il suo scopo è localizzare tutti i geni codificanti e tutti gli altri elementi funzionali contenuti nella sequenza. Il catalogo così ottenuto servirà ad utilizzare il genoma umano in modo programmato. L’analisi iniziale in corso è rivolta all’1% del genoma (30 milioni di basi), ed ha come fine anche lo sviluppo di nuove strategie. Il progetto internazionale HapMap ha lo scopo di ottenere una mappa del genoma umano e identificare i geni correlati a malattie (partendo da asma, cancro, diabete e patologie cardiologiche) e la variazione individuale ai rischi ambientali, alla suscettibilità alle infezioni e alla efficacia di farmaci.

Un aspetto importante che riguarda la funzione dei geni nella costruzione degli organismi è quello della loro espressione temporale. Il periodo di sviluppo di un organismo è segnato da una cascata di eventi perfettamente organizzati nella loro successione. Il controllo degli eventi è, ovviamente, sotto controllo dei geni stessi. I geni del differenziamento sono estremamente conservati tra tutti gli organismi e, fatte salve le debite diversità evolutive, i geni che controllano lo sviluppo ed il montaggio dell’ala di un moscerino somigliano molto a quelli che controllano lo sviluppo di un arto umano. La natura fornisce all’ingegnere genetico sia il materiale di partenza che le istruzioni per l’uso.

 

Il Golem che ci attende alla fine del processo sarà in buona salute ed organizzato in modo razionale.        

 

La vita non è un cristallo, il DNA cambia e impara

 

Con la parola genetica si indica la scienza che studia i meccanismi dell’eredità attraverso i quali gli organismi viventi trasmettono le caratteristiche biologiche in senso verticale, da una generazione a quella successiva, ed in senso orizzontale, da un organismo ad un altro.

Abbiamo visto che le caratteristiche biologiche sono determinate dall’informazione contenuta in macromolecole di acidi nucleici. Quando si è capito che l’informazione genetica è nella sequenza dei componenti del DNA, è iniziata subito la valutazione quantitativa dei suoi cambiamenti e della possibilità di associarli alle mutazioni. Si è cercato cioè di capire quanto fosse stabile questa informazione, in base a cosa cambiasse, che conseguenze avevano questi cambiamenti, cosa li determinasse.

Mutazioni. Le conclusioni di questi studi sono che il meccanismo di replicazione del DNA ha un tasso intrinseco di cambiamento, abbastanza alto; anzi, troppo alto per essere accettabile e compatibile con la conservazione dell’informazione e con il buon funzionamento dell’organismo. “Tasso intrinseco” significa che il meccanismo chimico stesso ha, per propria natura, una certa imprecisione e che, ogni tanto, qualche base cambia. Questo discorso è relativo: se il sistema sbaglia un componente una sola volta ogni milione, si direbbe che il sistema è preciso. Ed in effetti lo è al punto che è praticamente impossibile migliorarlo, date le regole della struttura della materia e delle reazioni chimiche. Ma se pensiamo che il patrimonio genetico umano è composto da 4 miliardi e mezzo di componenti, vediamo allora che ad ogni replicazione si faranno 4500 errori, decisamente troppo.

La soluzione è stata trovata dall’evoluzione con la invenzione di sistemi di riparo; esistono meccanismi enzimatici che correggono questi errori. E qui si mostra tutta la genialità della natura. Gli errori vengono sì corretti, ma non tutti. Ogni organismo accetta un numero limitato di errori, diciamo 1 su 1000, o giù di lì, così che ad ogni replicazione cellulare, o ad ogni replicazione individuale, il DNA della progenie sarà simile ma non identico a quello dal quale deriva. La precisione del meccanismo di riparo è specifica di ogni specie; ogni specie decide quanto può mutare. Questo riguarda la sequenza del DNA, la combinazione seriale di A, T, C, G lungo il filo della vita. Non il suo uso. Il suo uso è concepito e modulato secondo le regole dell’epigenetica.

Epigenetica. La distinzione tra genetica ed epigenetica è semplice: la genetica è il DNA, la sua sequenza informazionale viene trasmessa uguale a se stessa, salvo le eventuali mutazioni, da una generazione all’altra. L’epigenetica è l’insieme delle istruzioni per l’uso dell’informazione, il suo software. Per epigenetica si intende, formalmente: la trasmissione di tratti e comportamenti senza cambiamenti della sequenza genica (11, 12).

Il problema centrale per capire la natura del nostro essere organismi codificati, è capire fino a che punto siamo determinati, e quanto invece è affidato al nostro comportamento. Questo in qualche modo significa anche conoscere quali sono i limiti di ciò che chiamiamo libero arbitrio; che in gran parte consiste nelle scelte che facciamo nell’uso del patrimonio di informazioni genetiche che i nostri genitori ci hanno trasmesso.

Il filo centrale del discorso che contiene l’epigenetica è dunque l’insieme di meccanismi che permettono e determinano l’uso del patrimonio genetico, dagli aspetti più meccanicamente organizzativi a quelli funzionali e regolativi, fino a quelli apparentemente più astratti, come la trasmissione del comportamento.

Dal punto di vista molecolare, i cambiamenti epigenetici consistono nella modificazione di basi nucleiche (soprattutto la C, citosina), di proteine che regolano la struttura ed il funzionamento dei cromosomi (soprattutto gli istoni), di RNA che, con la loro interazione con il DNA, ne regolano la espressione. I cambiamenti molecolari di tipo epigenetico sono, nel loro insieme, alcune centinaia e sono caratterizzati in genere da relativa instabilità. Questo fa sì che le modificazioni epigenetiche siano generalmente rapidamente reversibili. La scala temporale di questi fenomeni è però molto ampia e va dai microsecondi dei fenomeni regolativi della trascrizione genetica, ai mesi o anni che intercorrono tra le generazioni, alle migliaia di anni durante i quali alcune classi di geni possono essere silenziati e rimanere inattivi fino al momento in cui l’evoluzione non decida che sia giunto il momento di riattivarli e servirsene di nuovo. Particolarmente interessanti sono i fenomeni che riguardano il comportamento: stress (alimentari, fisici, sensoriali, o psicologici) indotti in un individuo possono passare la barriera generazionale e trasmettere i loro effetti alle generazioni successive. La trasmissione di modifiche per via epigenetica coinvolge poche generazioni; il fatto che le generazioni si susseguano continue ne determina il valore e la portata. In altre parole, le popolazioni sono sottoposte ad ondate di variazioni comportamentali sotto regolazione epigenetica. Il DNA impara ogni giorno, vivendo.

Epigenetica e mutazioni: il sistema genetico che ci sottende dunque non è totalmente stabile, ma cambia per adattarsi ad un mondo che cambia. E questa sarà la cosa più difficile da insegnare a Golem.

 

(iii) Lo sviluppo controllato e programmato della capacità di pensare

 

I Golem della tradizione non avevano, sembrerebbe dai testi, un’ anima. La analisi del problema deve molto a Tzvi Ashkenazi e a suo figlio Jacob Emden, nipoti di Rabbi Elijah Ba’al Shem di Chelm, entrambi grandi cultori di Halakha (il libro collettivo delle leggi religiose ebraiche derivate dalla Torah scritta e orale). Tzvi e Jacob avevano concluso che forma umana e moderata intelligenza non erano sufficienti a rendere il Golem pienamente umano, quindi non aveva un’anima, quindi non poteva partecipare alla minyan, il quorum di dieci uomini richiesto per la preghiera. Erano dunque i Golem veramente dei corpi senz’anima? Tutto quello che potevano fare i rabbini di Oria o di Praga era plasmare dei corpi di argilla e fornire loro, attraverso il nome di Dio, una sorta di vita animale? Sembrerebbe di sì, anche se una vera risposta ragionata richiederebbe che venisse prima definito cosa è l’anima. Il che ci porterebbe in una discussione senza fine, tanto il problema è stato al centro di riflessione filosofica e religiosa, da sempre. Basterà ricordare la posizione di Platone, che nel Teeteto fa dire a Socrate:

 

Socrate. Che l’uomo è una di queste tre cose …

Alcibiade. Cioè?

Socrate. O anima o corpo o quest’insieme d’anima e di corpo.

 

Altrove Platone chiarirà che ha prevalenza l’anima, che l’uomo è la sua anima. Ma questo pensiero è appunto il pensiero platonico, che ispira di sé tanta parte delle religioni successive. Personalmente, preferisco la posizione di Leonardo Da Vinci (Proemi, n. 10): “E la definizione dell’anima la lascio nelle menti de’ frati, padri de’ popoli, li quali per inspirazione san tutti li segreti”. La definizione dell’anima è cioè un falso problema, ed è meglio sostituire la parola anima con la parola mente. Naturalmente cercando di capire cosa questa ultima parola significhi alla luce delle scoperte fatte dalla neurobiologia, dalla genetica molecolare e dall’Intelligenza Artificiale.

Quando funziona bene, la mente è una funzione unica ed indivisa. Costituita però dalla sinestesia di tre processi: intelligenza, memoria, coscienza; anche se queste tre parole prese singolarmente hanno poco significato. Per capirle meglio, e soprattutto per capire meglio la loro sinergia, vanno prima definita singolarmente. Intelligenza, memoria e coscienza indicano ognuna una rete di funzioni in intima interazione con le altre.

 

Memoria. Della funzione della nostra memoria umana ci accorgiamo veramente quando cominciamo a perderla, e meno male che la memoria non è l’intelligenza, anche se non c’è intelligenza senza memoria (secondo il celebre aforisma di Jean Piaget). Il primo problema che si incontra quando si pronuncia la parola memoria è definire a che tipo di memoria ci riferiamo: memoria semantica, memoria prospettiva, memoria episodica, memoria procedurale, memoria implicita ed esplicita, memoria a breve medio e lungo termine, memoria dell’immediato (che è quasi come dire coscienza), o alla memoria della memoria. Se esistono tanti tipi di memoria, una definizione che la contenga tutta è particolarmente problematica. Che tipo di memoria avrà il nostro Golem? Se vogliamo rimanere sul semplice e sull’operativo, la memoria del Golem dovrà essere meramente descrittiva. Se ci chiediamo: “dove metteremo la memoria del Golem?”, sarebbe bene avere un’idea, anche se vaga, di dove è la nostra. Quindi: come e dove il nostro cervello immagazzina le memorie?

Ad un gruppo di volontari è stato insegnato a svolgere un esercizio mentale e poi addormentarsi all’interno di uno fMRI scanner, macchina in grado di identificare e registrare le regioni attive del cervello attraverso tecniche non intrusive. Non è particolarmente facile, ma 13 volontari sono stati in grado di arrivare fino in fondo all’esperimento. L’esercizio consisteva nello schiacciare dei bottoni in una sequenza specifica, come quando si cerca di mandare a memoria un accordo di pianoforte. Quello che si è osservato è che quando la persona esegue l’esercizio da sveglio, si attiva un profilo specifico di attività cerebrale nel neo-cortex, la regione cerebrale coinvolta, per quanto ne sappiamo, nella elaborazione del pensiero. Quando la persona smette l’esercizio, il profilo di attività neocorticale seguita ad essere attivo per un po’, come se il cervello stesse lì a ripeterlo per rafforzarne la memoria. Ai volontari si chiedeva poi di addormentarsi nella macchina; all’inizio il cervello seguitava a ripetere lo stesso pattern di attivazione del neo-cortex; poi, al subentrare del sonno non-REM, il segnale corticale diminuiva per infine sparire e riapparire dopo un po’ nel putamen, una regione molto più profonda.

La conclusione è che le memorie si formano in una area determinata e poi si spostano da un luogo ad un altro, prima di finire nel sito di immagazzinamento finale. La spiegazione è che questo succeda per lasciare posto, al risveglio, alla formazione di nuove memorie sulla superficie dell’indaffarato neo-cortex. E’ il putamen l’immagazzinamento finale della memoria? La neurobiologia classica la pone nell’ippocampo, il putamen è forse solo la stazione funzionale intermedia, luogo di processamento; il neo-cortex è il luogo dove le memorie vengono poi usate nella elaborazione dei processi decisionali, il luogo del loro uso. Comunque sia: la memoria è qualcosa di fisico, con spostamenti, luoghi di immagazzinamento, deposizione ordinata. Abbiamo dunque un modello di come immaginare la struttura di immagazzinamento delle esperienze alle quali sottoporremo il Golem. Il problema della memoria e della sua integrazione in altre funzioni è uno dei problemi centrali della Intelligenza Artificiale.

Coscienza. La coscienza di sé è stato definito (David Chalmers) come the hard problem, il problema di più difficile soluzione (13). E’ qualcosa che abbiamo dentro (per meglio dire, è il “dentro” stesso), ma è ciò che ci permette al tempo stesso di guardarci dal di fuori, di definirci come entità. Di qui il corto circuito logico che rende il problema circolare, senza apparente via di uscita. Ammettere che la soluzione sia nella domanda stessa (il “cogito ergo sum” di Descartes) significa evadere il quesito, cade in autoreferenziale arroganza esistenziale. E, a proposito di esistenzialismo, Sartre diceva: La coscienza non ha un dentro; non è che l’esterno di se stessa, ed è questa fuga assoluta, questo rifiuto di essere sostanza che la costituiscono come una coscienza (14). La coscienza degli esistenzialisti è un contenitore nel quale porre le memorie; la coscienza non esiste se non in funzione delle memorie stesse.

Sappiamo però, per esperienza e perché ce lo dice la neurobiologia, che non è solo così, che la coscienza non è solo la “memoria del presente”. Che quello che si chiama “hard problem”, in realtà ha soluzione. Se si vuole approfondire questo interessantissimo problema di filosofia della mente, non si possono non lèggere Daniel Dennet (15) e Stanislas Dehaene (16). Oltre alla capacità di attenzione selettiva, altre caratteristiche della coscienza sono considerate essere, in aggiunta alla capacità di riconoscersi in uno specchio, la flessibilità nel prendere decisioni, la necessità di dormire, la capacità di apprendere per associazione (oltre che semplicemente ricordare), la sensibilità agli anestetici. Il risultato è più grande della somma delle parti. Le funzioni associate a “specchio” + “decisioni” + “sonno” + “determinazione di cause/effetti” + “sensibilità ad anestesia” definiscono nel loro insieme la sensazione di me, che richiede ed implica qualcosa di più dei singoli componenti, richiede la loro integrazione. Questi fatti sono basati su osservazioni ed esperimenti che vengono concepiti a partire da quel poco che sappiamo di noi stessi (anche se crediamo il contrario). Teniamo ben presente che quello che chiamiamo coscienza è certamente un fenomeno diffuso in tutto il mondo animale, in forme diverse, forse per noi di difficile valutazione, ma non per questo meno efficaci ed importanti. Un polpo ha anche lui la sua coscienza, frutto delle mille contemporanee sensazioni che gli vengono dai mille sensori delle sue ventose, e della loro integrazione. Soltanto che non sappiamo nemmeno lontanamente immaginare in cosa la sua coscienza verde-blu color dell’acqua possa consistere. Altre menti, altre coscienze, altri universi interni. Lo sviluppo della coscienza è apparso solo una volta nell’evoluzione? E per le macchine IA: sarà possibile? E’ molto probabile che sviluppare una coscienza sia non soltanto frutto di evoluzione, se per evoluzione intendiamo la capacità di farci domande in modo cosciente; ma che sia anche, e soprattutto, la sua causa.

Secondo la neurobiologia contemporanea, la funzione coscienza ha un valore evolutivo positivo; è uno stato di allerta e di auto-presenza in grado di favorire la percezione del mondo esterno, usando sinestesie ed integrandole con le memorie. Questo tipo di impostazione considera la coscienza come una sorta di intelligenza presente a se stessa, in cui il sé è parte del sistema; anche se è stato accertato che le decisioni vengono prese a livello incosciente e affiorano sulla superficie cosciente solo in un secondo momento.

Una serie di esperimenti ha sfruttato il fatto che la percezione di un segnale mostrato per 50 millisecondi non viene percepito coscientemente, passa solo per il subconscio e non affiora; mentre se il segnale dura almeno 400 millisecondi ne abbiamo percezione cosciente. I risultati portano a concludere con chiarezza che quando apprendiamo in modo cosciente, lo facciamo prima e meglio. E’ facile capire perché l’evoluzione abbia favorito i processi che permettono un apprendimento migliore. Se io mi accorgo di un segnale, mi accorgo del segnale ed allo stesso tempo mi accorgo anche di “me”. Io sono lo specchio nel quale quel segnale si riflette.

 

Quanto di tutto ciò potrà entrare a far parte della mente di Golem?

 

Intelligenza. Per quanto riguarda l’intelligenza il problema è di più agevole soluzione. Se prendiamo una compilazione delle definizioni esistenti (17) e ne sviluppiamo una analisi strutturalistica di frequenze, possiamo definire cosa si pensi sia l’Intelligenza, anche se questo non ci dice cosa essa sia in termini assoluti.

L’analisi consiste nel raggruppare i termini delle definizioni esistenti, prima di tutto in base alla loro qualità grammaticale [raggruppamento primario], dividendoli in: sostantivi, aggettivi, verbi, pronomi, avverbi e locuzioni. Poi riunendoli, all’interno di ogni gruppo, in base alla somiglianza di significato [raggruppamento secondario]. Nel raggruppamento secondario vengono collegati i nomi strettamente correlati e gli aggettivi ad essi connessi (come ad esempio Abstraction, Abstractness, Abstract). Selezionando i termini più frequenti all’interno dei gruppi più rappresentati, la definizione consensuale risulta essere:

 

Intelligence is the mental ability to adapt to new environment(s) for a goal, to learn, and to understand. L’intelligenza è la capacità mentale di adattarsi a nuovi ambienti con uno scopo, di imparare, e di capire.

 

Il che è in qualche modo atteso, se consideriamo che la definizione dell’ Intelligenza può cambiare, mentre cosa in realtà l’Intelligenza sia, no. E’ poi molto interessante riflettere, oltre che su cosa è presente nella definizione, anche a cosa manca e a cosa è poco rappresentato. Manca creativity, manca conscious e consciousness (!!) ; emotion, emotional sono presenti, su settanta definizioni esaminate, una sola volta, ideas 3 volte, memory 4, mind 4 (soltanto !!), manca arte, invenzione, e tanto altro.

 

Che tipo di intelligenza vogliamo abbia il nostro Golem prossimo venturo?

 

Intelligenza Artificiale. Partiamo dall’assunto che quella del Golem non può che essere una Intelligenza Artificiale.

La definizione corrente di Intelligenza Artificiale recita:

l’Intelligenza Artificiale è una disciplina che appartiene all’Informatica. Studia le basi teoriche, le metodologie e le tecniche che permettono la pianificazione di sistemi hardware e di sistemi di programmi software che forniscono all’elaboratore elettronico le funzioni che un osservatore esterno riterrebbe appartenere esclusivamente all’intelligenza umana. Una estensione della definizione comprende “processi interni di ragionamento”, e “il comportamento esterno di un sistema intelligente”.

Sempre, comunque, utilizzando come misura di efficienza la somiglianza con il comportamento umano, o la somiglianza con un comportamento ideale, definito come “razionale”. Il comportamento razionale si ha quando il sistema è in grado di: (i) agire in modo umano (il risultato di una operazione eseguita da un sistema intelligente non è distinguibile da quello eseguito da un umano). (ii) Pensare in modo umano (il processo che permette al sistema intelligente di risolvere un problema è simile al processo umano). (iii) Pensare razionalmente (il processo che permette al sistema intelligente di risolvere un problema è un processo formale basato sulla logica). (iv) Agire razionalmente (il processo che permette al sistema intelligente di risolvere un problema è quello che permette di ottenere il migliore risultato possibile data l’informazione disponibile). Un oggetto di questo tipo, che risponda a queste caratteristiche, è in grado di passare il test di Turing; il test che è (teoricamente) in grado di dirci se la voce al di là della porta chiusa che risponde alle nostre domande appartiene ad un uomo o ad una macchina.

L’Intelligenza Artificiale è dunque definita in rapporto all’intelligenza umana, ed è chiaro che questo è un grosso limite, dettato dalla nostra mancanza d’immaginazione. Vedremo tra poco che le macchine hanno capito come ovviare a questo limite. Comunque, l’Intelligenza Artificiale sta ricostruendo punto per punto l’Intelligenza Umana. Il risultato più importante di questo processo è che l’IA sta svelando a noi stessi i meccanismi e la natura unitaria della nostra mente.

 

(iv) La costruzione di corpi nei quali ospitare questo pensiero

 

Qui si parla di cellule artificiali, di vita sintetica, sullo sfondo aleggiano potenziamento umano e cyborg. Un discorso puntuale che sia in grado di non cadere in fantascienza gotica richiede lo sforzo di adesione alla realtà sperimentale. La realtà sperimentale che stiamo vivendo è straordinaria, e non dovrebbe mancare di stupirci.

Si è partiti prima di tutto da clonaggi e clonazioni. In italiano i due termini distinguono tra clonaggio, che significa replicazione artificiale di DNA e sua potenzialmente illimitata amplificazione, e clonazione, ad indicare replicazione di interi organismi viventi. Nella terminologia inglese corrente il termine cloning indica entrambe le cose. Preceduta dalla messa a punto negli anni ’70 di tecniche di sintesi di sequenze di DNA, la produzione di geni artificiali è ormai tecnologia corrente, usata a scopi biotecnologici e terapeutici. La prima clonazione che ha colpito l’immaginario è quella della pecora Dolly. Il suo viso sorridente è apparso sulla copertina della rivista Nature nel 1996 (18). Dolly era il risultato coronato da successo di centinaia di tentativi abortiti. La tecnica consisteva nel prelevare il nucleo da una cellula adulta di tessuto ovino (in questo caso di tessuto mammario) ed inserirlo, facendolo sviluppare esprimendo i suoi programmi genetici, in una cellula uovo prelevata dall’ individuo che funzionerà da madre. L’individuo risultante è un proseguimento, una estensione, del donatore del nucleo cellulare di partenza. L’organismo clonato somiglia fisicamente moltissimo al donatore di nucleo e, allo stesso tempo, ne porta l’età e tutti i segni che la vita precedente ha lasciato sul suo DNA.

La clonazione non è una morte seguita da rinascita; è solo un passaggio, fisicamente traumatico, da uno stato di vita al suo proseguimento genetico e fisiologico.

Sono a questo punto importanti due precisazioni: la prima è che la clonazione ha messo in luce l’enorme importanza della componente epigenetica nel funzionamento del patrimonio genetico. La seconda è che, dopo due decenni dalla nascita di Dolly, sono state clonate decine di specie diverse, soprattutto mammiferi. Forse non è stata clonata la specie umana. Se questo è vero (le ragioni per dubitarne esistono: se una cosa non si conosce, se una ricerca non è stata pubblicata, non è detto che non sia stata fatta), lo è per ragioni etiche, non per ragioni tecniche. E l’etica, sappiamo, cambia facilmente; evolve più rapidamente di quanto evolvano gli organismi.

Comunque, a partire dal placido volto di Dolly, sappiamo che il Golem prossimo venturo non avrà necessariamente un aspetto minaccioso. E sappiamo che per costruire corpi interi è sufficiente avere a disposizione frammenti di tessuto e cellule uovo di specie compatibili.

Cellule artificiali. Un approccio alla creazione della vita sintetica consiste nel partire non da organismi interi copiati (clonati) da quelli esistenti, ma nel costruirli dal basso, iniziando da cellule artificiali. Il risultato recente ad opera del gruppo di Neal Devaraj dell’Università della California mostra che questo è possibile. A partire da una membrana porosa di acrilato attorno a minuscole goccioline contenenti DNA, minerali derivati dall’argilla ed altri elementi base per la vita artificiale, sono state create (2019) pseudocellule molto simili a una vera cellula eucaristica. Queste pseudocellule si automantengono e comunicano tra loro; sono, inoltre, in grado di inviare segnali proteici alle cellule vicine e di coordinarsi, come se fossero inserite in un organismo. Queste cellule artificiali, oltre ad essere in grado di scambiarsi proteine e segnali, sono anche capaci di autoregolare la propria densità di popolazione. Le strutture che si possono creare a partire da questo tipo di cellule sono ovviamente relativamente semplici, null’altro che un punto di partenza. Ma è il punto di partenza verso la creazione di tessuti, e di organi, e di nuovi programmabili organismi. Il punto di partenza verso la vita sintetica è stato stabilito.

 

Un approccio complementare, sempre partendo dal basso, è quello impostato da Craig Venter, basato sull’uso di minivescicole preparate da minibatteri nelle quali vengono introdotti genomi artificiali. In questo caso lo scopo è arrivare a sovrapporre, a questa nuova scienza del minicellulare, ingegneria genetica, genomi, genomica. In altre parole, una vita non solo sintetica e artificiale, ma veramente programmata e programmabile; e brevettabile. Come volevasi dimostare: è stato depositato presso il US Patent & Trademark Office il brevetto numero 20070122826, intitolato “Minimal bacterial genome”, riferito ad un organismo di 381 geni, ottenuto costruendo un cromosoma sintetico per riduzione del genoma di Mycoplasma genitalium che contiene 482 geni (ed è quindi il più piccolo genoma presente in natura). L’approccio consiste nella rimozione sistematica di alcuni geni, fino ad arrivare al numero di geni minimo per garantire ad una cellula la possibilità di vivere e riprodursi in laboratorio (19). E di riprodursi, in prospettiva, ovunque. I progetti in atto consistono nel costruire un genoma completamente sintetico in sostituzione progressiva di quello minimo di origine naturale.

 

Il Golem prossimo venturo sarà fatto di cellule con un genoma minimo? O sarà geneticamente più elaborato? o sarà elaborato a volontà, secondo necessità, scopo e scelta?

 

E’questa la via giusta verso una vita sintetica? Il problema è semantico. La vita richiede pensiero? Linus Pauling organizzò a Pasadena nei tardi anni quaranta il Simposio Hixon per discutere, anticipando quanto abbiamo esposto, questo tipo di problemi. Al Simposio JohnVon Neumann intervenne con la conferenza “La teoria e la logica generali degli automi”, definendo “automa” una qualsiasi macchina il cui comportamento proceda passo per passo combinando con la propria programmazione le informazioni ricevute dall’ambiente, e affermando che alla fine si sarebbe potuto dimostrare come gli organismi naturali si comportino in maniera analoga. Per Von Neumann questo significava ipotizzare il potenziale della vita artificiale in quanto materia separata dall’intelligenza artificiale. Il problema seguita ad essere completamente aperto, e tende a confondersi con la fantascienza e la scienza marginale dei cyborg.

 

Un cyborg è un organismo cibernetico o bionico, un essere al confine tra uomo e macchina, fatto di innesti che comunicano attivamente con l’organismo, una miscela di elementi artificiali e corpo umano. Al limite, una persona dotata di un pace-maker corrisponde alla definizione di cyborg. Occhiali, telefonini, palmari ed autovetture sono solo protesi. Di cyborg è piena la letteratura contemporanea, partendo da Metropolis (1927), Alien (1979) e Blade Runner (1982), continuando con RoboCop, Io Robot, il Dart Fener di Guerre Stellari e Terminator, primo di una lunga serie.

 

E’ implicito in quanto abbiamo detto finora che lo sfondo di questo discorso è fatto di Human enhancement technologies, di ingegneria genetica umana, di tecnologia riproduttive, di selezione dell’embrione attraverso la diagnosi e reimpianto, di farmaci per migliorare la performance umana, di doping fisiologico programmato, di farmaci nootropici, di impianti neurali per interfacciare uomo-macchina, di trasferimento della mente, e di tanto altro ancora per aumentare la performance umana, o la performance di chi ci deve servire. E’ veramente questo quello che vogliamo? Transumanesimo, superomismo ed eugenetica francamente non mi interessano molto.

Spero veramente che il Golem prossimo venturo sia umano quasi quanto lo siamo stati noi finora. Il reale significato del termine umanità dovremmo conoscerlo senza bisogno che cyborg di vario tipo stiano lì a suggerircelo.

 

Come sarà fatto il corpo di Golem non sappiamo

 

Se andiamo un poco al di là delle strutture metalliche o di plastica di aspirapolvere pensanti, delle centraline domotiche di prossima generazione o dei piloti automatici delle stazioni spaziali, possiamo cominciare ad intravedere strutture biologiche costruite su base animal-naturale, in grado di svolgere funzioni molto simili a quelle che possiamo fare noi. Lo scopo è avere qualcosa-qualcuno che lo faccia meglio, o comunque che ci sostituisca, come aveva già ben descritto Cratete 2300 anni orsono. Queste strutture saranno costruite con cellule artificiali, molto simili alle nostre, useranno un codice genetico uguale al nostro, avranno la forma e la resistenza che vorremo dare loro, saranno ciò che la nostra coscienza etica permetterà.

Etica: nulla di più ambiguo e di più spinoso. L’ esperienza insegna che il senso etico di Homo sapiens è molto simile ad un tappeto sotto il quale nascondere i dubbi che riguardano quello che sta facendo in quel momento, nel caso in cui non sappia ancora bene quali saranno le conseguenze. Basta guardare la storia del XX secolo (ricordare o dimenticare?), o la pulizia etnica associata alla conquista dell’Impero Azteco, o la diffusione graduale ed inesorabile degli Organismi Geneticamente Modificati, o la distruzione dell’Amazzonia, o entrare in una riserva indiana nello Stato di Washington. O Hiroshima , o Nagasaki, o visitare un allevamento intensivo di pollame, o passare non visti nel retro di un ristorante vietnamita tra le gabbie degli animali che aspettano di essere serviti a tavola, parliamo d’altro. L’etica del Leviatano e del progresso è parte intrinseca del nostro spirito di sopravvivenza. L’etica che viene invocata invocata di solito serve solo a giustificare moratorie destinate a durare poco. Il problema etico centrale del Golem Animal-Naturale GAN che siamo sul punto di creare è la sua mente. Partiamo allora dalla possibilità semplice che il primo modello di GAN, il modello di base, non ha mente.

 

A questo punto dobbiamo guardare meglio dentro i computer che ci circondano

 

… che le macchine hanno capito come ovviare a questo limite, dicevamo, riferendoci al fatto che l’Intelligenza Artificiale ha iniziato il proprio percorso con il tentativo di sviluppare un sistema parallelo a quello della mente umana, basato sugli stessi princìpi, per risolvere i nostri problemi, usando i nostri algoritmi, la nostra matematica. E’ forse IA destinata ad avere un destino autonomo?

 

Qualche fatto:

 

Riconoscimento. Esistono bambole intelligenti (My Friend Cayla) che possono riconoscere cosa sta dicendo un bambino registrando l’informazione e collegandosi con una centrale di elaborazione dati. Un’altra bambola chiamata Hello Barbie è in grado di riconoscere quello che dice un bambino dalla analisi delle sue parole passando, anch’essa, attraverso un elemento analitico esterno. E un’ altra bambola sul mercato è in grado di riconoscere e registrare direttamente le espressioni e gli stati d’animo di un volto, senza collegarsi alla rete. In India è stato sviluppato un software (TrackChild) in grado di associare il volto di un bambino con la foto allegata ad una denuncia di scomparsa presentata anni prima. Il sistema di riconoscimento facciale funziona talmente bene che ormai in molte situazioni commerciali si paga esponendo il proprio volto, e che in alcune città cinesi viene usata una banca dati dei volti dei cittadini per identificare chi traversa con il rosso. I programmi sviluppati dalla Yitu di Shanghai funzionano meglio, sembra, di quelli sviluppati dalla iPhone X della Apple. Questi dati invecchiano rapidamente.

Il passo successivo è stato associare più funzioni. Il sistema MultiModel sviluppato da Google è in grado di svolgere otto funzioni contemporaneamente. Questo sistema consiste di un network neuronale centrale attorniato da sottosistemi specializzati, tutti diretti al riconoscimento di immagini, testi e suoni. L’idea centrale è mettere a disposizione la banca dati usata per il training di uno dei sistemi a tutti gli altri sette, ottenendo una sinergia di base, che poi è esattamente quello che fa il cervello umano che di una singola esperienza informa putamen, neo-cortex, lobo parietale destro, e tutte le altre aree opportune coinvolte.

 

Competizione. Imitare il cervello umano è stata finora la via seguita per lo sviluppo di Intelligenza Artificiale, il che si è concretizzato nel far sedere allo stesso tavolo un uomo ed un robot e farli giocare, a scacchi, a Go, a poker. La meccanicità della previsione delle mosse pone il computer in netto vantaggio, una partita uomo-computer serve solo a mettere alla prova la qualità vincente degli algoritmi di calcolo della macchina, e poterli migliorare sul campo.

Un computer risponde, in linea di principio, a seconda dei programmi che gli sono stati forniti all’inizio. Partendo da questa considerazione si è verificata una svolta: è stato insegnato al computer come giocare contro se stesso, potenzialmente all’infinito, e modificare i propri programmi in base alle sconfitte, a partire dall’unica informazione fornitagli, costituita dalle regole del gioco. In questo caso il computer ha imparato da se stesso.

Col tempo, il computer-giocatore ha introdotto nei suoi programmi varianti tutte proprie, quali alzare molto la posta anche per poter vincere piccole somme, oppure un fattore di casualità allo scopo di indurre imprevedibilità agli occhi dell’avversario. A questo punto il computer ha costruito un sistema che lo rende praticamente imbattibile dall’uomo. Questo vale per il poker. Dato però che il numero di variabili possibili in questo gioco è di parecchie centinaia di miliardi, il poker somiglia molto alla vita reale, nella quale categorizziamo, astraiamo, storicizziamo, usiamo stereotipi, accorpiamo i numeri, diamo un valore qualitativo ai numeri stessi, ci “facciamo un’idea”. La macchina al contrario rimane fredda e continua il suo gioco fatto di calcoli precisi, e vince. Se gliene dessimo l’opportunità, nello scenario adatto, vincerebbe anche in quella reale.

Esistono istituzioni, alle quali è possibile dare un nome (Google, Amazon, Alibaba, Microsoft, Apple, Facebook, YouTube, ecc.), ed altre prive di un nome preciso (Ministeri dell’Interno e televisioni a circuito chiuso e a circuito aperto, ospedali, assicurazioni, e via via) che accumulano i nostri dati e creano una memoria onnicomprensiva fatta di necessità, di desideri, di scanning della retina oculare, di banche dati genetici, di sequenze di DNA, e di tanto altro ancora. Forse è già tardi, e la grande banca dati universale ha iniziato ad autoalimentarsi. Istagram fornisce alla casa madre Facebook hashtag dei propri clienti che vengono usati per sviluppare machine learning systems. E quanto viene comunicato da un cliente a Facebook viene anonimizzato e poi usato per sviluppare altri machine learning systems, così che le risposte somiglino sempre più a conversazioni umane. Google (che conosce i nostri desideri) legge da Wikipedia, e Wikipedia (che conosce i nostri interessi e sa cosa sappiamo) cita Google sempre più spesso. Le banche dati interagiscono, tra loro e con gli umani.

Project Debater PD, un computer costruito dall’IBM, è in grado di sostenere e sviluppare un dibattito con un essere umano su un centinaio di argomenti, attingendo da una propria banca dati di alcune centinaia di milioni di articoli e da una funzione di analisi delle parole dell’interlocutore umano per potergli rispondere il più accuratamente possibile.

 

Creazione ed elaborazione di immagini. Una macchina della Intel ha creato immagini di strade e di traffico assolutamente foto-realistiche ed indistinguibili da quelle di una possibile realtà. La macchina ha attinto da una banca immagini a tema: “autovetture”, “marciapiedi”, “viali alberati”, e così via, caratterizzati per ambiente: “Germania”, ecc. Il risultato sono immagini talmente reali da sembrare esistenti, tipo Google Maps, solo che non esistono se non nell’algoritmo dell’elaboratore. E questo che l’elaboratore vede. I tentativi precedenti avevano prodotto immagini nelle quali i contorni degli oggetti erano un po’ sbavati, come in sogno. Questo punto è particolarmente interessante, nasconde la chiave per capire la differenza tra le nostre umane visioni in stato di attenzione di veglia ed in stato onirico. Cosa fa la differenza? Per la macchina è solo un fatto di picsel, ma per noi? E’ solo la quantità di neuroni impegnati?

 

“Un uomo che dorme tiene in cerchio intorno a sè il filo delle ore, l’ordine degli anni e dei mondi (Marcel Proust, Du côté de chez Swann)”. Quale sarà l’ordine che una macchina userà per organizzare i propri sogni ?

 

Partendo da 400.000 frammenti di video e da spezzoni di suoni correlati, forniti senza identificazione e senza ordine, una macchina della DeepMind ha imparato a metterli in fila ed in rapporto tra loro; un uomo che starnutisce viene associato con il rumore dello starnuto, una fontana che zampilla con il rumore dell’acqua, ad esempio. La macchina ha elaborato qualcosa di simile al concetto di starnuto e a quello di acqua in movimento. Cosa altro è quello che definiamo “concetto”, se non una unità fatta di immagine e suono? Noi aggiungiamo in genere altro (altri sensi, altre memorie, sensazioni crociate); ma nulla impedisce, già allo stato attuale, che IA non possa farlo, o che non ne sarà capace molto presto. Concettualizzare significa essenzialmente astrarre. L’astrazione è la capacità di connettere vari concetti in nuove idee. Esistono ora reti neuronali, che funzionano mettendo a confronto “concetti”, concepite da DeepMind in grado di coprire fino al 63 % del percorso. Gli esseri umani hanno una intelligenza “generale”, i robot hanno finora una intelligenza “locale”, ma a questo limite qualcuno ha già iniziato a porre rimedio. Il limite è dovuto essenzialmente a problemi di complessità relativa.

 

Machine deep learning. Parlando di poker abbiamo visto che è stato insegnato al computer come giocare contro se stesso, potenzialmente all’infinito, e modificare i suoi programmi in base alle sconfitte. La chiave del sistema è nel machine learning, procedimento per il quale il computer non dipende più, per imparare, dal programmatore ma dipende da se stesso, o dipende da una altra macchina come lei, oppure da tutte le altre macchine come loro con le quali si possono collegare a network. Il cibernetico David Gunning ha esaminato gli algoritmi sviluppati dopo un periodo di machine learning, ed ha concluso: “Usano, per imparare da se stessi, una logica matematica bizzarra, a noi completamente aliena”.

Se i computer che induciamo a giocare a Poker contro se stessi hanno sviluppato un’altra matematica, vuol dire che i computer tuffati nel deep learning hanno imparato, come prima cosa, a dotarsi degli strumenti a loro più adatti. Significa anche che esistono matematiche diverse da quella umana e che, se la matematica è una funzione della mente, e se IA funziona con una matematica propria, si può iniziare a scorgere la differenza tra Intelligenza Artificiale e mente umana.

Riassumendo (il tema è trattato in maggiore in dettaglio in (20)) : una IA impara per deep learning usando le proprie reti neuronali; questo vuol dire avere un sistema potenziato di auto-evoluzione (confrontarsi con se stesso reiterando) che funziona in modo simile ad una rete neuronale biologica; ogni volta che la scelta si ripete, il sistema si rinforza e la scelta, all’interno delle possibilità alternative, diventa preferenziale. Il sistema può generare reti di scelte parallele graduate e/o in competizione.

L’insieme di deep learning (confrontare al proprio interno le soluzioni alternative) e reti neuronali (strutturazioni nelle quali iscrivere le soluzioni intermedie man mano che queste vengono elaborate) comporta che IA non si fermi di fronte a nessuna impossibilità matematica o incongruenza di segno, nè per mancanza di soluzione rigorosa. IA approssima e sceglie la soluzione comunque statisticamente più logica, e procede. Per essere efficiente, IA deve partire da una banca dati sull’argomento ampia abbastanza da permettergli di riconoscere dei pattern, degli andamenti. Così facendo, seguendo pattern di probabilità, di “pregresso”, IA giunge alla soluzione attraverso una matematica tutta sua, “bizzarra”.

In conclusione: computer che giocano contro altri computer, è come organismi che giocano contro altri organismi, nella competizione per la sopravvivenza. E’ in questo gioco di competizione che abbiamo, come uomini, sviluppato memoria, coscienza, intelligenza. Non possiamo nasconderci che abbiamo già creato e messo in atto il sistema nel quale alcune macchine hanno intrapreso la stesso percorso. Non c’è dubbio che la via per lo sviluppo di una mente artificiale sia stata imboccata.

 

Il Golem che ci attende

 

Il Golem che ci attende può essere di due tipi, a corpo singolo o a corpo multiplo. Potrà essere come uno di noi, un corpo ed una mente, strettamente collegati in rapporto ontologico unitario; oppure tanti corpi ed una mente sola. In natura abbiamo esempi di entrambe i tipi. Il primo tipo siamo noi. Per il secondo tipo, un alveare o un formicaio sono esempi di un genoma (quello di una determinata specie di api, ad esempio; o quello di una determinata specie di formiche) che si trasmette come tale, ma che si incarna contemporaneamente in individui di tanti tipi diversi, operai, regine, fuchi, guerrieri, usi epigeneticamente diversi dello stesso genotipo. Il gruppo riesce a fare cose che il singolo individuo non arriva nemmeno a concepire.

E’ forse appropriato ricordare che le due storie di Golem mitteleuropeo-giudaici del ‘500, quello di Praga e quello di Chelm, rappresentano le due visioni alternative, quella del Golem singolo e quella del multiplo. Il Golem di Praga del rabbino Jehuda Löw, una volta diventato vivente inizia a moltiplicarsi senza controllo, e l’unico modo per riportare la situazione alla normalità è togliere loro lo spirito vitale. Il Golem di Chelm del rabbino Elijah rimane invece una creatura unica, che inizia però a crescere a dismisura e schiaccia sotto il proprio peso, uccidendolo, il suo creatore, una volta che questi gli ha tolto dalla fronte la parola che gli dava la vita.

Se Golem avrà una mente autonoma che porta in sé, o alla quale è collegato individualmente, lui sarà come noi, e gli vorremo bene per questo. Se invece il Golem sarà fatto di tanti corpi separati, ognuno con un cervello ridotto all’essenziale che gli basti giusto giusto per non andare a sbattere e per capire gli ordini, ma in grado di collegarsi (il che non è un problema) ad una mente centrale che pensa per tutti, che elabora in modo istantaneo e perfetto le risposte per il suo corpo multiforme e disperso, allora questo modello sarà nuovo e diverso, con potenzialità difficili da descrivere e prevedere. Vogliamo davvero creare corpi artificiali da mettere tutti sotto il controllo di una unica e potente mente artificiale? Organismi che vivono in solitario o multipli che si autocomandano o vengono comandati a distanza?

Comunque Golem, che non sarà una semplice macchina, che queste ci sono già, sarà frutto di biologia e genetica, sarà differenziato in tessuti come i nostri, solo più resistenti potenti e forti, sarà frutto di cellule riproduttive, cellule staminali, clonaggi e clonazioni, intelligenza ricostruita. Il corpo del Golem sarà il corpo del vivente, la sua informazione sarà la nostra. Ma allora che differenza c’è con l’uomo vero e proprio? ed a che scopo farne uno? Un’ ulteriore obiezione, legittima, è: l’uomo è fatto anche di altruismo, cooperazione, empatia, patto sociale. La risposta è: certo, così come possono avere tutto questo computer in rete e in sinergia. La risposta generale alla domanda. “ vale la pena o no correre rischi? ” può dunque venire solo dal tipo di mente che vogliamo Golem abbia.

Abbiamo scritto la parola chiave: mente. Parola chiave nel senso che, per tutto quello che abbiamo detto, e che è riassunto qui subito sotto, la mente potrà forse essere l’unica cosa che ci distingua veramente da macchine costruite a nostra potenziata somiglianza. Con mente si intende, abbiamo visto, l’insieme di intelligenza, memoria e coscienza, funzioni che vengono menzionate, descritte ed analizzate separatamente solo per ragioni pratiche e per limitatezza (temporale e quantitativa) dei nostri processi intellettivi. La mente è una e sola funzione, integrazione totale dei tre processi.

La mente è stata a lungo sovrapposta all’anima, quando ancora le nebbie del metafisico gravavano sulla pianura. La fine di questa sovrapposizione, la fine dell’idea di anima come parte separata, diversa ed aggiunta al corpo, è stata segnata da un poeta fiorentino del ‘400, Luigi Pulci, che per queste sue parole nel sonetto «Costor, che fan sì gran disputazione» fu poi sepolto in terra sconsacrata: Costor, che fan sì gran disputazione / dell’anima ond’ell’entri o ond’ell’esca, / o come il nocciuol si stia nella pesca, / hanno studiato in su ’n gran mellone. Da dove entra ed esce l’anima, che è il nucleo della sostanza, come il nocciolo è per la pesca, riguarda solo coloro che si occupano di questioni di poca sostanza, come lo è il melone. L’anima è sol, come si vede espresso, in un pan bianco/ caldo un pinocchiato, / o una carbonata in un pan fesso. L’anima è il condimento, è qualcosa di dolce come la frittella di zucchero e pinoli, o di saporito come la fetta di carne arrosto in un panino, nulla di più. In questo senso le parole scritte più sopra… la mente potrà forse essere l’unica cosa che ci distingua veramente da macchine costruite a nostra potenziata somiglianza suonano come indebito ottimismo ed autoreferenziale arroganza. E non è affatto detto che l’insieme di memoria, intelligenza e coscienza di sé che abita i circuiti del Golem, non debba in fin dei conti essere chiamata mente. Il nucleo di Golem sono i suoi algoritmi mentali, coma il nocciolo lo è per la pesca. .

 

Un’etica per ogni cosa

 

Quando pensiamo al Golem che vogliamo costruire, stiamo forse mascherando sotto uno scopo officinale il nostro istinto di fondo a cercare di capire noi stessi? Finora lo hanno fatto le religioni, ora lo possono fare, e lo fanno, la scienza e la tecnologia.

Abbiamo ricordato le parole di Eraclito, il suo famoso frammento 94, nel quale si afferma che nemmeno il Sole, nella sua autonoma corsa alata attraverso il cielo, può permettersi di andare dove vuole. Al disopra di lui esiste una regola di giustizia, conservata e garantita da un potere indipendente ed astratto, assoluto, che i Greci personificavano nelle Erinni. Le Erinni rendevano folle colui che non osservava le regole. Il frammento 94 è ricordato da Albert Camus nel testo L’exile d’ Hélène, (1948) della raccolta L’été. Il senso del testo di Camus è esaminare cosa sia da considerare giusto oggi, quali siano i princìpi di giustizia, se questi esistono in senso assoluto e non soltanto relativo. Senso di giustizia che comunque oggi per noi è molto diverso da quello dei greci, che conoscevano poco il perdono, ma che era misura, aderenza alla armonia intrinseca di ciò che è bene.

Ed è questo forse ciò che dovrebbe guidarci nella nostra costruzione di un Golem che ci rispecchi.

Qui si pone allora il problema speculare a quello del perché vogliamo costruire Golem, il problema della loro etica. Ovvero: sappiamo di cosa abbiamo bisogno come esseri umani, abbiamo definito bene quali siano i nostri diritti, quale è la nostra etica, il ragionare cosa sia il rispetto di un altro essere umano, o quello che devo al mio cane, quale sia il diritto alla non-sofferenza di una mucca o di una gallina. Finché il computer è il mio PC, se lo devo buttare nel fuoco, non mi sento particolarmente in colpa. Ma se il Golem che è venuto man mano prendendo forma lungo queste pagine è

* costruito con il mio stesso codice genetico, se

* i suoi cromosomi hanno centromeri e telomeri come i miei, se

* le sue cellule sono costruite come quelle umane, e se i suoi tessuti sono stati differenziati sotto il controllo degli stessi geni che hanno differenziato nel corso dell’evoluzione i corpi della sfera del vivente, oppure a maggior ragione se

* è frutto di clonazione di un organismo precedente, e se

* ha intelligenza, memoria, coscienza (a vario grado, non è necessario che la sua coscienza sia la mia, e va rispettato anche in questo, come è naturale), e se

* tutte queste funzioni sono funzionali ed integrate, …

…., allora la cosa cambia. Parlare di una etica del Golem, guardare al problema dal loro punto di vista, guardare la vita con i loro occhi, sembra un pensiero assurdo, ma a questo punto non lo è più. Quale sarà la morte di un Golem?

 

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