Danni collaterali

La guerra al virus ha moltiplicato le depressioni e i disturbi d’ansia, è stata fonte di enormi discriminazioni, ha ricordato che in emergenza e in guerra non si dibatte, si obbedisce. Con l’invasione russa all’Ucraina il clima di isteria e la caccia alla streghe si sono sovrapposti e trasferiti dalla pandemia alla guerra. Malgrado tutto c’è chi si ostina a cercare di rendere le crisi un terreno fertile di trasformazione sociale. L’introduzione al libro Semi di pace! La nonviolenza per curare un mondo minacciato da crisi ecologica, pandemia e guerra (Quaderni Satyagraha Centro Gandhi Edizioni).

“Lo scopo della shockterapia è aprire una finestra.
per enormi profitti in brevissimo tempo”
(N. Klein, Shock economy. L’ascesa del capitalismo dei disastri, Rizzoli)

 

 

Da una crisi all’altra. Dalla crisi ecologica e climatica, che continua a pendere come una spada di Damocle sulle nostre teste (e su quelle delle future generazioni), alla crisi sanitaria, sociale e democratica di questi anni pandemici, fino alla crisi bellica ed energetica scatenata dall’invasione russa in Ucraina, che rischia di innescare un devastante conflitto mondiale nucleare. Non fa in tempo a concludersi lo stato di emergenza per pandemia che già viene proclamato lo stato di emergenza per guerra. Un’emergenza permanente in quello che ormai è a tutti gli effetti il “capitalismo dei disastri” come lo definì Naomi Klein.

Un capitalismo dei disastri che avvantaggia i grandi gruppi industriali e finanziari, facendo al contempo aumentare la forbice del divario sociale: secondo un report di Oxfam, in questi due anni di pandemia in Italia (così come nel resto del mondo) è cresciuta la quota di ricchezza nelle mani di pochi super-ricchi mentre oltre un milione di individui e 400mila famiglie sono precipitati nella povertà.

Anche a livello culturale e psicologico abbiamo assistito a un tracollo. I familiari delle vittime del Covid, riuniti nell’associazione #sereniesempreuniti, hanno scritto il 23 febbraio 2022 un’appassionata lettera al Presidente della Repubblica Mattarella in occasione del secondo anniversario della scoperta del Covid negli ospedali di Alzano Lombardo e di Bergamo: “La pandemia ha cambiato le persone, i provvedimenti che sono stati adottati dalle istituzioni hanno esacerbato insofferenza, intolleranza, cattiveria tra la popolazione, innegabile allo stato dei fatti. Stiamo assistendo ad un dilagare di crisi sociale, di odio e discriminazione tra le persone, […] a una coesione sociale che si è sgretolata, una crisi cui deve essere posta fine se non si vuole arrivare a uno sfacelo del nostro Paese, già in limine1.

I “danni collaterali” causati dalla “guerra al virus” sono stati enormi. “Con un aumento del 26% della depressione e con un +28% dei disturbi d’ansia, la quinta ondata della pandemia in Italia è già in atto: è quella che affligge la mente. Non dei pazienti Covid, ma della popolazione generale, a partire dalle categorie più fragili, come le donne, gli anziani e i giovani, colpite dai principali fattori di rischio che sono l’impoverimento, la disoccupazione e l’isolamento. Ridotte ore di sonno, aumento dell’aggressività, abuso di Internet anche nelle ore notturne, eccesso di videogiochi, sono comportamenti indotti dal confinamento ma anche sintomi della depressione. Per noi psichiatri il lavoro è letteralmente esploso: un flusso continuo di persone in stato di iperal­lerta, ipocondria, depressione, perdita del desiderio di contatto con il mondo esterno, individui che si sono isolati e che magari hanno perso capacità cognitive perché lo stimolo del ‘cervello sociale’ non si è più attivato. Paradossalmente chi già era sofferente è più ‘addestrato’ alle anomalie dell’isolamento: soffre maggiormente la popolazione generale. Ma è un fiume carsico di cui vediamo oggi solo gli effetti più eclatanti e ci interroghiamo, ad esempio, su quali saranno gli esiti a lungo termine per i giovani, drammaticamente intaccati da questa situazione1. Così relazionava Claudio Mencacci, co-presidente della SINPF (Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia), durante un congresso del febbraio 2022.

Gli studi a riguardo sono numerosi: un’ampia metanalisi di 29 studi condotti su oltre 80.000 giovani, pubblicata su JAMA Pediatrics (Journal of the American Medical Association), dimostra che un adolescente su 4, in Italia e nel mondo, ha i sintomi clinici di depressione e uno su 5 segni di un disturbo d’ansia2. Anche per gli anziani c’è stato un rapido declino: per salvarli fisicamente dal virus (con l’assurdo obiettivo di rischio zero), li abbiamo condannati a una morte sociale e mentale, deprivandoli da stimoli ed affetti, rinchiusi nelle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) che sono diventate le nuove “istituzioni totali”, inaccessibili e separate dal mondo.

La guerra al virus ha colpito e (quasi) affondato anche la cultura della pace. Immersi per due anni in una retorica militaresca senza precedenti, con la campagna vaccinale affidata a un generale e condotta alla stregua di una campagna di arruolamento militare, con tanto di linguaggio bellico, esaltazione eroica degli “arruolati”, umiliazione dei “disertori”, disumanizzazione del nemico e messa alla berlina del capro espiatorio, non ci siamo accorti che si stava spianando il terreno per l’accettazione delle guerra vera.

Come sottolinea ATTAC (Associazione per la Tassazione delle Transazioni finanziarie per l’Aiuto dei Cittadini): “I non vaccinati sono l’ennesimo strumentale nemico-bersaglio su cui distogliere l’attenzione pubblica, che svela l’uso politico della crisi sanitaria per consolidare il paradigma economico neo-liberale, alimentando le consuete logiche di divisione del corpo sociale: l’immigrato, il povero, il non vaccinato, fino al dissenziente per qualsivoglia tematica”.

In questi due anni si è calcata la mano, tramite la narrazione mediatica, sul panico e sull’emergenza per legittimare la limitazione dei diritti (già iniziata con l’emergenza terrorismo). È stato fatto un utilizzo abnorme dei decreti e annullato il dibattito sociale e parlamentare. In fondo, da che mondo è mondo, in emergenza e in guerra non si dibatte, si obbedisce.

Dalla sinistra alla destra, dalla Confindustria ai sindacati, dai giornali comunisti (ahimè) ai giornali neoliberisti, tutti o quasi assumevano la stessa posizione filo-governativa. Una sensazione straniante, nauseante, inconcepibile mi pervadeva. Così il 15 ottobre 2021 io e altri amici ecopacifisti ci trovammo (online) e scrivemmo una prima lettera aperta che raccolse oltre 400 consensi tra attivisti per la pace, la cultura e l’ambiente.

Seguirono lettere, appelli all’umanità, alla nonviolenza e alla ragionevolezza che però non fecero cambiare rotta al Governo. Ciò che davvero sconvolge, è come in pochi mesi la stragrande maggioranza della gente abbia accettato qualcosa che sembrava incredibile fino a qualche anno fa. Discriminare un essere umano, che magari era tuo amico, cacciarlo da un bar o dall’università o da un bus, dalla propria casa, accettare il fatto di dover presentare una tessera per lavorare o studiare, respingere un parente perché ha fatto una scelta diversa dalla tua. Come è potuto accadere, come è stato accettato?

La psicologia sociale e la storia ci insegnano che è capitato purtroppo molto spesso e, in genere, la maggior parte della gente scivola senza troppa fatica nella “banalità del male”, se adeguatamente terrorizzata e fomentata.

Dalla pandemia alla guerra, è stato poi un attimo.

Dopo due anni di proroghe, lo stato di emergenza che doveva finire il 31 marzo 2022, è stato per l’ennesima volta rinnovato (questa volta per “emergenza umanitaria” = guerra) fino a fine dicembre 2022.

Con l’invasione russa all’Ucraina il clima di isteria e la caccia alla streghe si sono sovrapposti e trasferiti direttamente dalla pandemia alla guerra. Come ha osservato Michele Ainis, ordinario di Diritto costituzionale a Roma Tre: “La militarizzazione del dibattito pubblico è un frutto avvelenato dell’emergenza, qualunque posizione intermedia o dubitativa diventa immediatamente collusione con il nemico”.

E così, dopo due anni in cui la dilagante retorica bellica aveva colonizzato l’immaginario e sdoganato la guerra come qualcosa di positivo e nobile, eccoci di nuovo a scagliarci contro altri nemici, dissidenti e spie, con una virulenza inimmaginabile solo qualche anno fa. Siamo, insomma, passati dalla “guerra al virus al virus della guerra”.(3)

Sembra di essere tornati al “maggio radioso” di oltre un secolo fa, quando una travolgente campagna politica e mediatica spinse il riluttante popolo italiano nella Grande Guerra. Oggi, come allora, la logica di schieramento ha preso il sopravvento sul bisogno di riflessione.4

Di nuovo la stampa mainstream ha fatto da cassa di risonanza al governo, idolatrando la linea interventista e sbeffeggiando le voci critiche. Non viene ammesso nessun dubbio sull’alleanza Nato e sulle sue responsabilità, nessuna critica sulla donazione di armi all’Ucraina, sulle guerre imperialiste passate, sulla detenzione di bombe atomiche, nessuna riflessione sul rischio di una devastante espansione del conflitto, sulla resistenza civile da preferire a quella armata.

Il collettivo WuMing Foundation ha scritto:

Le poche persone che si sono espresse contro la militarizzazione della vita quotidiana e dell’emergenza pandemica hanno subito fuochi di fila di ingiurie e intense campagne denigratorie. Oggi in molte dichiarazioni, in molti titoli di giornale, basterebbe rimpiazzare «Putin» con «il Covid» per vedere che tra le due retoriche belliche c’è piena continuità. Dopo questo biennio schiacciasassi, non ci stupisce vedere applaudire la guerra – i paesi UE che procurano armi all’Ucraina, la Germania che si riarma, governanti e media che chiamano alla mobilitazione totale delle coscienze…5

Se la discriminazione era stata “sdoganata” e legittimata nei confronti di chi aveva scelto di non vaccinarsi, ora veniva utilizzata anche verso russi e russofoni: scrittori russi, artisti russi, musicisti russi, sportivi russi, giornalisti russi, cacciati dalle competizioni internazionali, dai concerti, dalle fiere del libro, dalle esposizioni d’arte, perfino gli atleti disabili russi esclusi dalle Paralimpiadi. Si cominciò con la Scala di Milano dove il direttore d’orchestra Valery Gergiev non cedette alla richiesta del sovrintendente Dominique Meyer e del sindaco Beppe Sala di condannare pubblicamente l’intervento militare russo in Ucraina e fu perciò sostituito sul podio. Poi è stato il turno della soprano Anna Netrebko, che da parte sua aveva condannato la guerra, ma rinunciò a salire sul palco il 4 marzo con l’opera lirica di Francesco Cilea, Adriana Lecouvreur, a causa del clima ostile che avvertiva intorno alla sua presenza. Niente Russia, paese ospite dell’edizione 2022 al Festival di Fotografia Europea di Reggio Emilia. Fu annullata la mostra “Sentieri di Ghiaccio” che prevedeva la partecipazione degli artisti russi: Alexander Gronsky, Anaïs Cha­beur, Olya Ivanova, Evgeny Khenkin, Anselm Kiefer, John Pepper e Dimitry Sirotrin. Clamoroso il caso di Alexander Gronsky, fotografo di fama internazionale, arrestato pochi giorni prima a Mosca per aver protestato per la pace.

Il 4 aprile un convoglio in transito in Finlandia, che trasportava i quadri prestati all’Italia per scopi espositivi dai musei di San Pietroburgo (l’Hermitage, il Pavlovsk, il Gatchina e il Tsarskoye Selo) è stato bloccato e rimandato indietro.

Cacciato dalle competizioni sportive Daniil Medvedev, un campione russo di tennis, pur essendosi dichiarato contrario alla guerra. Tutte le squadre russe sono state escluse dalle competizioni. Furono sospese dalle gare indette dalla Federazione di scacchi di Leopoli anche due sorelle ucraine, campionesse di scacchi, Maria e Anna Muzychuk, perché si erano rifiutate di firmare una lettera aperta che chiedeva alla Federazione internazionale di scacchi di bandire gli atleti russi e bielorussi. Avevano dichiarato, ben sapendo di andare incontro alla squalifica: “Bisogna evitare che gli effetti collaterali della guerra arrivino anche nello sport”. Il corso che Paolo Nori, importante accademico, avrebbe dovuto tenere su Dostoevskij all’Università Bicocca di Milano fu prima sospeso e poi riammesso dopo le numerose proteste. Alla fine il corso su Dostoevskij alla Bicocca non si è tenuto perché, nonostante la ritrattazione e le scuse del Rettore, il prof Paolo Nori ha rinunciato per le persistenti ambiguità dell’amministrazione universitaria milanese.

Come in una barzelletta furono esclusi anche i gatti russi dalle competizioni feline e la quercia russa piantata dal grande scrittore russo Turgenev, 198 anni fa, fu squalificata dalla manifestazione europea “L’albero dell’anno” (chissà cosa avrà pensato la saggia quercia, di tanta stupidità umana).

La pandemia aveva fatto scuola nell’uccisione del pensiero divergente, nelle regole assurde e demenziali, nella “damnatio memoriae” di tutti quelli che erano “scomodi”, per una qualsivoglia sgradita caratteristica.

Noi, con quattro bambini, abbiamo vissuto questi anni altalenando tra incredulità, sgomento, resistenza, resilienza e disperazione. Ogni giorno ci chiedevamo cosa ci sarebbe stato vietato l’indomani, quanto sarebbe durato, e ancora oggi ci chiediamo se tutto ricomincerà in autunno. Nonostante l’incertezza assoluta, abbiamo cercato di proteggere i nostri figli dagli effetti più nefasti di questo periodo, mantenendo laddove possibile lucidità, empatia e contatti umani, e laddove necessario, con saggezza e buon senso, contravvenendo agli ordini ingiusti e ai divieti sproporzionati. I nostri figli hanno tirato fuori una enorme energia e gioia di vivere, l’ironia e l’amicizia tra ragazzini hanno travolto l’ottusità degli adulti. Hanno giocato nonostante tutto, riso e saltato steccati, hanno stretto amicizie e pedalato, hanno corso a perdifiato oltre ogni divieto, lockdown e lasciapassare. Hanno riflettuto e vissuto cosa vuol dire essere minoranza oppressa. Qualcosa che ricorderanno a lungo, e che li aiuterà a solidarizzare con gli oppressi e i discriminati che incontreranno nel loro cammino.

Un giorno di novembre 2021 eravamo alla stazione di Firenze. Si potevano ancora prendere i treni regionali senza lasciapassare (dopo poche settimane ci furono vietati anche quelli). Nell’attesa della coincidenza, abbiamo pensato di guardare qualche libro nella libreria della stazione. Davanti alla porta aperta della libreria, mio figlio tredicenne, sapendo che in biblioteca non potevamo più metter piede per via del Green Pass, ha avuto un sussulto, si è voltato e mi ha chiesto: “Mamma, ma noi possiamo entrare?” “Sì, possiamo ancora entrare”. Dopo qualche settimana ci furono vietati i treni e dopo un mese anche le librerie.

Da novembre 2021, con alcuni amici, abbiamo organizzato assemblee popolari in piazza a Faenza. Quasi ogni sabato, invitando esperti e artisti, tenendo vivo il dibattito e la cultura, stimolando il confronto nonviolento. Abbiamo cercato di far tornare fruibile l’arte per tutti, libera, senza discriminazioni tra meritevoli e non. Abbiamo organizzato concerti di violoncello in piazza, di musica classica e popolare, spettacoli di teatro, di burattini, presentazioni di libri, abbiamo realizzato con la nostra cargo-bike una biblioteca a pedali arricchendo gli incontri con prestiti e baratti di libri. Abbiamo continuato a coltivare il nostro piccolo orto, a vivere “a basso impatto”, piantando semi di pace con i profughi delle guerre.

E così ecco questo libro, un invito a vivere, pensare e resistere, accoglierci e rinascere. Un invito a dire “però” come l’omino di Trilussa. Un invito a non omologarsi, a lottare pacificamente per rendere le crisi un terreno fertile di cambiamento. Un invito ad ascoltare la scienza (quella indipendente) ma anche il grido della natura, senza pretesa di possederla e manipolarla a nostro piacimento. Un invito ad essere quell’ingranaggio imperfetto, di ribellione e di umanità, che blocca il sistema di morte e ingiustizia. Un invito a non dimenticare.


Note

 

1. In limine, espressione latina usata da Eugenio Montale in Ossi di seppia, indica la soglia di ingresso. Familiari delle Vittime Covid 19, “Lettera a Mattarella”, 23 febbraio 2022, https:// www.valseriananews.it/2022/02/23/mattarella-perche-non-ci-incontra-i-familiari-delle-vit­time-del-covid-scrivono-al-presidente-della-repubblica/.

2. B. Gobbi, La quinta ondata? È quella dei disturbi psichiatrici, “Il Sole 24 Ore”, 27 gennaio 2022. https://www.healthdesk.it/medicina/sinpf-adolescenti-uno-quattro-sintomi-depressione-covid .

3. P. Pugliese, Dalla guerra al virus al virus della guerra: critica della ragione bellica pasqualepugliese. wordpress.com, 6 marzo 2021, dello stesso autore si consiglia il libro Disarmare il virus della vio­lenza. Annotazioni per una fuoriuscita nonviolenta dall’epoca delle pandemie, Firenze, GoWare, 2021.

4. L. Guadagnucci, Quel giornalismo di guerra che non aiuta a comprendere il conflitto, Altreconomia, aprile 2022. .

5. Wu Ming, Una dichiarazione – politica e di poetica – sul virus del militarismo nel corpo sociale, https://www.wumingfoundation.com, 1 marzo 2022.

Fonte: comune-info

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