Il sionismo, un’ideologia per chi soffre di autolesionismo

 

Quando dissi a mia nonna che avrei visitato l’Europa per la prima volta, lei esplose: “Ohi, ohi!”. Alzando la voce, esclamò: “Lì non c’è niente! NULLA! Solo povertà e sporcizia”. Dopo essersi ripresa aggiunse: “Ti piace il cibo straniero? A New York c’è di meglio”.

Tuttavia, un numero crescente di noi continua ad abbracciare la nostra identità ancestrale e, soprattutto alla luce degli eventi attuali, rinuncia completamente alla sua antitesi autolesionista, il sionismo. Ciò che i nazisti non sono riusciti a ottenere – la cancellazione della cultura ebraica europea – i sionisti lo stanno portando avanti. Abbiamo una parola in yiddish per questo. È una shanda, uno scandaloso imbarazzo e una vergogna.

La sua generazione di ebrei aveva poca nostalgia del vecchio Paese… e per una buona ragione. Aveva partecipato involontariamente ai pogrom, violente rivolte in cui venivano massacrati gli ebrei. Oggi, i responsabili vengono riabilitati. Volodymyr Zelensky, incurante del suo retaggio religioso (nato in una famiglia ebrea, N.d.R.), onora l’assassino Stepan Bandera come uno dei suoi “indiscutibili eroi” (Bandera cooperò attivamente con le forze naziste, partecipando all’Olocausto ucraino, N.d.R.).

La mia cara nonna, come tanti altri immigrati dall’Europa orientale, aveva sopportato l’oppressione dello shtetl (insediamenti in Europa orientale con un’elevata percentuale di popolazione ebraica, N.d.R.). Poi è arrivata su queste coste ed è diventata un’elegante signora americana. I suoi amici la chiamavano Fanny, un nome sofisticato, piuttosto che con il suo nome di battesimo Felicia. Per quelli della sua generazione non c’era modo di tornare indietro.

Tra i diversi gruppi etnici che compongono il cosiddetto melting pot americano, gli ebrei – nella misura in cui si può generalizzare su chiunque – sono gli unici a non avere alcun affetto per la loro provenienza. I vecchi direbbero, nei loro momenti più cinici, che sono “venuti dalla fame” piuttosto che da un Paese in particolare.

Nel caso della mia famiglia, non so nemmeno da dove provenivano nello specifico. Da bambino, ho imparato intuitivamente che alcuni argomenti non erano ammessi. Il passato della nostra famiglia era un argomento implicitamente vietato. Ora sono morti e vorrei aver chiesto informazioni sui loro primi anni di vita.

Anche se i miei parenti non avevano intenzione di tornare in Europa, hanno comunque mantenuto la cultura che si erano portati dietro.

I vecchi non avevano un particolare interesse per il sionismo. Tuttavia, per molti dei miei correligionari di oggi, la tradizione della cultura ebraica europea è stata sostituita dalla sintesi disneyana del sionismo politico. La vergogna e il dolore del passato sono sepolti dall’orgoglio sionista.

L’ideale dell’ebreo studioso è stato abbandonato per la venerazione del guerriero. Non identificandosi più come il “popolo del libro”, il sionista è orgoglioso di essere il portatore di armi. La grazia e la misericordia hanno lasciato il posto a una vendetta di proporzioni bibliche. Lo Stato sionista è inequivocabilmente armato di armi nucleari ed è uno dei principali fornitori mondiali di bombe a grappolo, apparecchiature di sorveglianza e tecnologia di polizia.

La nostra calda lingua yiddish, con la sua ricca letteratura, il teatro e la canzone, è stata abbandonata. Sono scomparsi del tutto anche il suo umorismo e la sua umanità, la sua umiltà a volte autoironica. Al suo posto c’è un’antica lingua liturgica, l’ebraico. Ripescata dalle fredde catacombe, la nuova lingua è una parte deliberata di una rottura con la tradizione, in un progetto di costruzione di una nuova identità nazionale che sfugge al suo passato.

Il sionismo si basa sul mito di un essere supremo che ha scelto un popolo particolare per fondare una nazione sulla costa orientale del Mediterraneo. Più politico che religioso, il sionismo pone un antagonismo di fondo tra gli ebrei e gli altri, che richiede uno Stato esclusivo per difendere i primi dal resto.

Il sionismo è stato per lungo tempo una delle tante correnti della diaspora ebraica, anche prima della Seconda guerra mondiale, ma ha preso piede all’indomani dell’Olocausto. Sebbene sia ancora contestato in alcuni ambienti, oggi è l’ideologia dominante della diaspora e dello Stato israeliano.

“Fare l’aliyah” significa tornare in quella che i sionisti definiscono la nostra madrepatria, la terra delle nostre origini. L’aliyah è uno dei principi fondamentali del sionismo.

Per chi mi hai preso, per uno schlemiel? Le prove genetiche dimostrano che gli ebrei europei non hanno mai abitato i territori occupati. Non possiamo “tornare” in un luogo che non è mai stato nostro. I coloni europei, che immigrarono come parte del progetto sionista nel territorio ora rivendicato da Israele, non discendevano dal popolo ebraico raffigurato nella Bibbia. Piuttosto, erano con ogni probabilità i discendenti di convertiti al giudaismo.

Chaim Weizmann, presidente del Congresso Sionista Mondiale, lo spiegava già nel 1914: “Esiste un Paese che può chiamarsi Palestina, un Paese senza popolo e, d’altra parte, esiste il popolo ebraico, che non ha un Paese. Cos’altro è necessario allora, se non incastrare la gemma nell’anello, unire questo popolo con questo Paese?”.

Naturalmente c’era la scomoda esistenza delle popolazioni indigene che vivevano lì e lo avevano fatto per millenni. Ma per i colonialisti che ora dirigono lo Stato sionista, questi indigeni sono letteralmente “animali”. Mentre scrivo, quegli Untermenschen vengono epurati (sub-umani, è un termine dell’ideologia razzista nazista utilizzato per descrivere specialmente gli ebrei, N.d.R.).

Il tribalismo gretto, nazionalista e xenofobo del sionismo contrasta con l’umanesimo universale di “accogliere lo straniero” alla tavola della Pasqua. Nella cultura ebraica tradizionale, nel giorno della festa religiosa si aggiungeva un posto per un estraneo alla tavola della famiglia. Questo bellissimo rituale era esplicitamente pensato per suscitare l’empatia verso gli altri.

La Torah ricorda a coloro che non hanno rinunciato al loro passato: “Non opprimerete lo straniero, perché conoscete i sentimenti dello straniero, essendo stati voi stessi stranieri nel paese d’Egitto (Esodo 23:9)”. Ecco perché molti ebrei antisionisti nel contesto politico odierno risuonano con lo slogan “siamo TUTTI palestinesi”.

Nel corso del tempo, i sionisti hanno realizzato l’orribile conversione di un popolo oppresso in oppressore. Ma non avrebbero potuto compiere questa trasformazione da soli. L’ideologia politica del sionismo doveva essere unita in modo indissolubile all’imperialismo statunitense. Come ha sottolineato il Presidente degli Stati Uniti Biden, “assicurarsi che Israele e l’Ucraina vincano è vitale per la sicurezza nazionale dell’America”.

La guerra infinita è la ricetta del progetto imperiale comune degli Stati Uniti e del sionismo. Un cessate il fuoco, per non parlare di una pace con giustizia, è fuori discussione. Perversamente, il sionismo politico ha strumentalizzato l’identità ebraica come strumento dell’impero.

Paradossalmente, i più grandi fan del sionismo moderno al di fuori della comunità ebraica sono autocrati antisemiti. Amano l’autoproclamato Stato dell’Apartheid proprio a causa del suo razzismo istituzionalizzato, non nonostante esso. Nominate un bullo internazionale e potete scommettere che saranno entusiasti della cosiddetta Terra Promessa.

Tuttavia, un numero crescente di noi continua ad abbracciare la nostra identità ancestrale e, soprattutto alla luce degli eventi attuali, rinuncia completamente alla sua antitesi autolesionista, il sionismo. Ciò che i nazisti non sono riusciti a ottenere – la cancellazione della cultura ebraica europea – i sionisti lo stanno portando avanti. Abbiamo una parola in yiddish per questo. È una shanda, uno scandaloso imbarazzo e una vergogna.

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Roger D. Harris è membro del consiglio di amministrazione dell’organizzazione antimperialista per i diritti umani Task Force on the Americas, fondata nel  1985.

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Fonte: Pressenza. Traduzione dall’inglese di Silvia Nocera. Revisione di Thomas Schmid.


https://www.asterios.it/catalogo/lo-straniero

I due saggi che compongono questo libro, “Lo straniero” e “Il reduce”, vennero scritti da Schütz nel 1944 e nel 1945 e rappresentano due esempi di “studi di teoria sociale applicata”. Le teorie di Schütz vengono qui utilizzate per analizzare la situazione concreta in cui si trovi un individuo che lasci il proprio gruppo natio per inserirsi in un nuovo gruppo sociale o che vi faccia ritorno dopo lungo tempo e dopo esperienze che hanno modificato lui e lo stesso mondo da cui proveniva.