La fine di Israele

 

La cultura ebraica può essere considerata come il fondamento dell’universalismo razionalista e dello stesso internazionalismo operaio. Il sionismo è il tradimento di quella vocazione universalista. Amos Oz, più di altri, aiuta a capire il paradosso mostruoso di Israele. Scrive Bifo: “Credo che ben presto ci renderemo conto del fatto che Israele non ha niente a che fare con la storia del mondo ebraico… Lo stato di Israele, strumento del dominio euro-americano sul Medio Oriente e sul petrolio è destinato a esplodere presto…”

Più passano i giorni, più Israele procede nella sua campagna di sterminio, più si isola dal resto del mondo, più comprendo che il pogrom del 7 ottobre, pur essendo, come non può che essere un pogrom, un’azione atroce moralmente inaccettabile, è stato un atto politico capace di cambiare la direzione del processo storico. La conseguenza immediata di quell’azione è stata lo scatenamento di un vero e proprio genocidio contro la popolazione di Gaza, ma il genocidio era in corso in modo strisciante da settantacinque anni, nei territori occupati, in Libano, in Siria.

Nel medio periodo, però, credo che lo stato colonialista di Israele, sempre più apertamente nazista nel suo modo di operare, non sopravviverà a lungo.

Quando il contesto è profondamente immorale, l’azione non può essere eticamente accettabile se vuol essere efficace. E’ l’orrore della storia, alla quale non siamo capaci di sfuggire se non disertando la storia. L’occupazione della terra palestinese da parte di un avamposto dell’imperialismo occidentale denominato Israele è una condizione di immoralità assoluta. Entro questo contesto non è possibile dunque alcuna azione efficace se non immorale.

Credo che ben presto ci renderemo conto del fatto che Israele non ha niente a che fare con la storia del mondo ebraico, anzi ne è la negazione. Per questo lo spettacolo genocidario provocato dal pogrom del 7 ottobre ha messo in moto una dinamica destinata a sgretolare lo stato colonialista.