Il lama rosso e altri racconti 1/2

INTRODUZIONE

Che cos’è un koan? Nel buddhismo cinese indica una frase, ma più spesso una domanda, apparentemente (o realmente) senza senso o, quanto meno, senza possibilità di una risposta immediata e logica, che richiede una lunga meditazione, nonché una mente molto flessibile e capace di sottili astrazioni. La maggior parte di quelli racchiusi in questo libretto potrebbero, con qualche ragione, essere definiti racconti-koan. Alla semplicità dello stile narrativo si aggiunge infatti, quasi inavvertitamente, un che di surreale, di non spiegato, di sottinteso, a volte quasi di incomprensibile. I racconti, brevi o brevissimi salvo un’unica eccezione, finiscono per la maggior parte con una considerazione morale o moralistica, espressa nell’ambito della concezione buddhista più popolare, quella che parla con convinzione e naturalezza di spiriti, magie e improbabili metamorfosi.

Due i leitmotiv più ricorrenti: la presenza reale degli spiriti dei defunti nella vita dei protagonisti e quella di anime trasmigrate – metamorfosate – in corpi di volpi.

La contaminazione col buddhismo tibetano è rappresentato dal primo racconto: il lama è infatti una tipica figura di monaco del Tibet. È l’unico accenno a un “altro” buddismo, così come alla cultura giapponese alludono forse le più o meno lunghe poesie che si incontrano in alcuni racconti: si direbbero dei “grandi” haiku, o meglio, raccolte di due o più haiku (si pensi al racconto “Poesie d’altri tempi”) racchiusi in una cornice narrativa.

Lo stile e il pensiero dell’autore sono spesso presenti, soprattutto nella narrazione in prima persona –Ki-Yun fa più volte cenno alla sua vita di esiliato nella remota provincia di Ulomuzy – anche se solo di rado esprime apertamente il suo giudizio morale sui fatti che racconta.

A chi fosse poco esperto della simbologia buddhista segnaliamo che la volpe è di volta in volta simbolo della vita dopo la morte, dell’infinito e della spiritualità. Non a caso in Cina si dice che l’arcobaleno nasce e muore nella tana delle volpi.

Sakyamuni (cioè della famiglia dei Sakya) è uno dei nomi del Buddha. “Luna” è l’equivalente occidentale di “mese”.

Il sampan (o, come scriveva Salgari, sampang) è una barca larga e piatta a remi e a vela, più piccola della giunca, usata lungo le coste dell’Estremo Oriente e della Malesia.

Ricordiamo che, per bere, gli orientali usano oggetti più simili alle tazze rispetto ai nostri bicchieri.

Marilì Cammarata

Nell’estate del cinquantaquattresimo anno di Chien-Lun un editto imperiale mi mandò a Luin-Yang in qualità di direttore della biblioteca imperiale del castello. In campagna le giornate sono lunghe, e approfittai del tempo libero per scrivere i miei ricordi, così come mi si presentavano alla memoria, alla rinfusa.

 

IL LAMA ROSSO

 

Ci sono due tipi di lama: il lama giallo e il lama rosso. Si distinguono dai vestiti: il lama giallo è un buon lama che studia il pensiero buddhista e spiega le cause e gli effetti. La religione del lama rosso non è altro che un insieme di superstizioni e i suoi monaci si dedicano soltanto alle stregonerie.

Quando si trovava in Tibet, il ministro delle colonie, il signor Liu, offese un lama rosso e questi gli mandò a dire che si sarebbe vendicato.

Il ministro si affrettò a travestirsi; usciva soltanto a cavallo, con la scorta e preceduto dalla sua portantina. Un giorno che si trovava a metà della strada che fiancheggiava una montagna una pietra enorme si staccò dalla roccia e cadde sulla portantina, che fu ridotta in briciole.

A Ulomuzy (nello Xiinjiang), dove ero stato esiliato, un mercante perse il suo cavallo e andò a consultare un lama rosso; costui lo fece salire su una mensola di legno davanti alla quale recitò alcuni incantesimi. Dopo qualche tempo la mensola si mosse e fece sì che il mercante ritrovasse il cavallo. Sono sicuro di questo, perché l’ho visto con i miei occhi.

Le magie di cui parlano i libri antichi sono davvero moltissime: quelle che consistono nel mangiare fuoco o un coltello esistevano già nel III secolo.

Queste pratiche sono contrarie all’insegnamento buddhista: per questo motivo il lama rosso sarà sempre nemico del lama giallo, che lo tratta da ciarlatano.

 

IL RIFLESSO NELLO SPECCHIO

 

Mio nonno Chengsuefeng era un uomo dispotico e meticoloso. Amava l’ordine sopra ogni altra cosa e nessuno aveva diritto di entrare nel suo studio, che chiudeva sempre a chiave. Senza il suo permesso nessuno osava entrare nel giardino che voleva coltivare da solo, perché aveva la passione dei fiori.

Un giorno il fratello di mia madre, allora dodicenne, approfittò della sua assenza per entrare furtivamente nel giardino dove, in quel periodo dell’anno, i crisantemi erano in fiore. Mentre ammirava le loro delicate sfumature udì un rumore che proveniva dalla casa. Avvicinatosi a una finestra vide, seduta davanti a un alto specchio, una bella ragazza. Cosa curiosa, lo specchio rifletteva una volpe. La ragazza parve indovinare lo stupore che questo strano fatto ispirava. Si alzò e soffiò sullo specchio, che diventò scuro e riflesse non la volpe ma la bella figura vista da mio zio.

In seguito a questo avvenimento il nonno mi disse: “Niente è più sincero di uno specchio, ma una volta appannato non mostra più le vere cose. Niente è più puro di un cuore, ma quando si hanno cattivi pensieri è capace di qualsiasi delitto”.

 

GLI SPIRITI BUONI E GLI SPIRITI CATTIVI

 

Si diceva che Laoliangfen di Yangzhou possedesse il privilegio di vedere gli spiriti a ogni ora del giorno. Meravigliato di una capacità così rara, gli feci mille domande.

– Ovunque s’innalzano abitazioni – mi spiegò – gli spiriti fanno evoluzioni. Sono di due specie. L’anima degli esseri morti di dolore o per un incidente è terribile e nuoce a tutti coloro che le si avvicinano. L’anima degli esseri morti in modo naturale è assennata e non nuoce a nessuno. Al mattino, quando splende il sole, gli spiriti si nascondono in posto oscuro, sotto un albero o all’ombra di un muro. Nel pomeriggio passeggiano come noi, ma cercano di evitarci e si tengono sempre a una certa distanza. Alcuni entrano, non si sa perché, in cucina e nelle stanze vuote. Il più delle volte distinguo solo la metà superiore del loro corpo, che è visibile solo fino alla vita.

Le cronache del Principato di Lu (trecento anni prima di Gesù Cristo) ci dicono che gli spiriti nuovi sono grandi e gli antichi sono piccoli. È proprio vero. Lo spirito è ciò che rimane dopo la combustione dei corpi umani e, come il vapore nell’aria, col tempo si dissolve e scompare.

 

IL BUDDHA PROTEGGE L’AMORE

 

Nel villaggio di Tonsen, a 18 chilometri da casa nostra, viveva un contadino molto avido. Un giorno progettò di vendere la fidanzata del figlio a una ricca famiglia facendola passare per la propria figlia. Questa ragazza viveva a casa sua fin da bambina. Il matrimonio non era ancora stato consumato perché i fidanzati erano molto giovani, ma il loro affetto era fortissimo. Disperati, fuggirono nella notte attraverso la campagna. Non lontano dalla loro casa s’innalzava un tempio del Buddha e vi entrarono per riposarsi. Ed ecco che una voce si levò dal fondo del tempio e disse loro:

– Vi stanno cercando. Presto, nascondetevi sotto l’altare.

I giovani obbedirono. Subito tornò il bonzo – talmente ubriaco da non riuscire a trovare l’ingresso del tempio – che si accasciò, privo di conoscenza, sulla soglia. Alcuni minuti più tardi il padre gli si avvicinò e gli chiese se avesse visto passare i due ragazzi. Incapace di rispondere, il monaco abbozzò un gesto verso oriente. Il padre si lanciò in quella direzione.

Così i fidanzati vennero salvati. Si recarono dai genitori della ragazza e vi restarono fin quando il malvagio padre acconsentì a celebrare la loro unione.

In seguito il monaco giurò che nel tempio non c’era nessuno, ma il Buddha è sempre presente e senza di lui niente accade.

 

L’AVVERTIMENTO

 

Al calar della notte un contadino entrò in un tempio disabitato. Fu grandemente sorpreso di incontrare lì suo zio, che era morto da moltissimi anni. Prese paura e fece per fuggire, ma lo zio gli disse: – Ti aspettavo per darti da compiere una missione. Da quando ho lasciato il mondo dei vivi mia moglie non ama più mia madre. Infatti, se all’apparenza le è sottomessa, in realtà la detesta, la maledice e dietro le spalle la insolentisce. Lei è molto infelice, e ancora di più mia madre. Un mio amico, che interpreta le opere del Buddha, mi ha appena raccontato che la sua condotta sarà severamente punita se non cambierà. Vai ad avvisare la disgraziata affinché si ravveda al più presto.

E lo zio sparì.

Il contadino tornò al villaggio ed eseguì la sua missione.

La colpevole protestò la propria innocenza, ma poi si pentì, il che prova che lo spirito aveva detto la verità.

 

LA BONTÀ RICOMPENSATA

 

La balia di mia madre mi raccontò un giorno la storia di una povera donna che vendeva dolciumi per mantenere la suocera. Era così povera che, non avendo di che nutrire un animale, doveva girare lei stessa la ruota del mulino fino a tarda notte.

Un giorno incontrò al cimitero due ragazze che le dissero: – Tu non ci conosci, ma noi lavoriamo con te da vent’anni. Siamo due volpi e ti abbiamo aiutato ogni giorno a spingere la ruota del mulino. Dio ha ricompensato il nostro buon cuore facendoci diventare dei buddha. Oggi siamo venute a dirti addio e a ringraziarti.

Da quel giorno la povera donna non può più girare la ruota del suo mulino.

 

IL SOGNO E IL PENSIERO

 

Wang, soprannominato il bodhisattva, era amico di una vecchissima volpe. Un giorno l’amica volpe gli domandò a bruciapelo: – Ti sei divertito, ieri, dalla tua amante?

– Ieri? Ero a casa mia – rispose Wang. – Non sono uscito di notte.

– Lo so, lo so. Ma sto parlando del tuo sogno. Era bello?

– Come hai fatto a indovinare che ho sognato?

– Il sogno è lo specchio del pensiero – disse la volpe. – Durante il sonno l’anima scappa via dal cervello e ci fa vedere quello che abbiamo pensato durante il giorno. In questo modo si formano e si succedono brevi immagini delle nostre passioni, che solo i buddha e le volpi possono distinguere. Ti ho visto felice vicino alla tua amante. So dunque che hai fatto un bel sogno.

Wang s’inchinò davanti alla competenza della vecchia volpe. Tuttavia obiettò: – Non riesco a credere che tutti i nostri pensieri si manifestino nel sogno.

– Non sempre, in effetti. Se non emana dall’anima, il pensiero è soltanto passeggero. E poi non sempre ci ricordiamo dei sogni quando ci svegliamo: il nuovo pensiero scaccia quello precedente come l’ombra che passa, così rapida che non possiamo afferrarla.

Dopo aver un po’ riflettuto Wang si disse: – Facciamo attenzione ai nostri pensieri, perché non sono soltanto nostri. Il Buddha ci sorveglia fin nei sogni, che in ogni istante ci tradiscono.

 

L’INTENZIONE E IL DESTINO

 

Singtonfo, quando era viceprefetto a Yyang, ricevette un giorno questa lettera da un vecchio sconosciuto:

 

“Signor Viceprefetto, ho l’onore di informarla che un gruppo di spiriti è appena entrata in città attraverso il muro settentrionale. Si tratta degli spiriti di coloro che sono morti per essersi strangolati. Vengo a lei per pregarla di emettere al più presto un proclama con il quale si esiga che:

– i padroni trattino umanamente i propri domestici;

– i creditori non esigano il pagamento dei debiti;

– gli abitanti siano gentili l’uno con l’altro e tutti facciano in modo di evitare malintesi e discussioni.

Se lei vorrà accordarmi questa grazia gli spriti tremendi non faranno del male agli abitanti”.

 

Infuriato per questa ironica richiesta, il Viceprefetto rispedì la lettera al mittente.

Il vecchio sospirò sconsolato: – È una disgrazia il fatto che un uomo resti insensibile alla sofferenza umana.

Alcuni giorni dopo si venne a sapere di altri quattro suicidi per strangolamento. Questa notizia turbò il Viceprefetto. Fece chiamare il vecchio, che dichiarò: – Ahimè, è troppo tardi. Ma, sebbene tutto sia già determinato a priori, la buona volontà è sempre efficace. Il Dio supremo è buono e misericordioso e a volte si serve di noi per soccorrerci nel pericolo. Così, non dobbiamo abbandonarci ciecamente al destino. Sarebbe meglio lasciarci morire di fame e di freddo. Dio non può impedire che l’inverno sia freddo, ma non ci proibisce di scaldarci.

 

IL CUORE FEDELE

 

Una delle serve di mia nonna aveva il dono di vedere gli spiriti, ed ecco cosa raccontò un giorno a mia madre: – Ieri ho visto uno spirito innamorato. Era commovente quanto mai. Era lo spirito di uno dei nostri vicini, morto a 27-28 anni. Lasciava una giovane moglie e un figlio di pochi mesi. Alcuni giorni dopo la sua morte la moglie mi pregò di andare ad abitare con lei per avere compagnia. Ogni giorno vedevo lo spirito sedersi sotto una macchia di lillà, con gli occhi fissi alle finestre della camera e, appena sentiva il più piccolo rumore o quando suo figlio piangeva, si precipitava verso casa nonostante l’ardente calore del sole.

Un giorno pianse calde lacrime vedendo un giovane che chiedeva la mano di sua moglie e gli mostrò perfino i denti come un cane rabbioso. Pochissimo tempo fa l’ho visto felice perché la moglie stava litigando con il fidanzato. Arrivò il giorno del matrimonio. Il suo atteggiamento si fece minaccioso.

– A cosa ti serve tormentarti così? – gli chiesi.

Non sembrava che mi avesse sentito.

Seguì a piedi la carrozza degli sposi. Quel giorno la sposa mi aveva pregato di occuparmi del bambino. Lo spirito mi accompagnò a casa sua e non mi lasciò finché non mi vide seduta vicino alla culla.

Lo spettacolo di tale disperazione mi aveva profondamente addolorata. Allo stesso tempo ammiravo quel nobile cuore, fedele oltre la morte.

 

UNA REINCARNAZIONE

 

La cognata di Hu, il governatore, resuscitò ventiquattr’ore dopo la morte, ma non riconobbe nessun membro della sua famiglia, nemmeno il marito. Disse il proprio nome e l’indirizzo e chiese perché si trovasse lì e chi ce l’avesse portata. Le venne messo davanti uno specchio: vi si contemplò ma non riconobbe il proprio viso.

Su sua richiesta il marito mandò a chiedere informazioni. In effetti una ragazza era appena morta nella famiglia da lei indicata. Vennero portati lì i genitori, che la signora Hu riconobbe come suoi. Rammentò loro perfino certi fatti tenuti nascosti ed essi finirono per capire che l’anima della figlia morta la sera prima si era appena reincarnata.

Essendo riuscita a identificarsi, la signora Hu rifiutò di restare ancora in una casa che non era la sua, perché infatti non era la signora Hu, ma il marito fece valere i suoi diritti, troppo felice di non essere più vedovo. Le due famiglie dovettero portare il caso in tribunale.

Una fatto simile era già successo a Symuten, durante la dinastia Ming.

Il Mandarino dichiarò: – Un’anima non può distinguersi da un’altra anima: siamo dunque obbligati a fidarci dell’apparenza e a riconoscere la signora Hu.

Così la signora Hu resuscitò, ma in lei abita un’anima straniera.

La storia non dice se nel cambio il marito ci guadagnò.

 

LO SPIRITO DI UNA MADRE

 

Mia madre morì. In capo a qualche anno mio padre sposò sua cognata.

Un giorno, nell’anniversario di mia madre, mio padre rese omaggio ai morti.

Dopo la cerimonia, che aveva avuto luogo verso mezzogiorno, la mia matrigna si addormentò stanca sul suo letto. Sognò che mia madre la scuoteva urlando: – Insomma, non lasciar giocare questo bambino con una spada!

Si svegliò e mi trovò occupato a tirare fuori dal fodero la grande spada di mio padre.

Come possiamo dubitare che gli spiriti non siano in mezzo a noi?

 

LA PROFEZIA

 

Un giorno il vicepresidente della Giustizia Suyton credette di morire. Sentì che bruscamente la sua anima lo lasciava e saliva su una portantina.Percorse così alcuni chilometri e durante il cammino incrociò un’altra portantina, nella quale c’era lo spirito di suo padre.

– Ritorna sui tuoi passi – gli ordinò lo spirito, – perché presto avrai dei figli che non hanno ancora visto la luce.

I portatori ricondussero Suyton a casa sua. Riprese conoscenza e pensò di aver sognato. Aveva allora 74 anni.

Nel giro di un anno nacque un bambino, e poi ancora un altro.

Quando lo vidi a Pechino aveva 78 anni e non pensava affatto a morire.

 

LA GIUSTIZIA DOPO LA MORTE

 

Anche se non credessimo alla metempsicosi, dobbiamo riconoscere che l’intero mondo è popolato di spiriti. Anche se non credessimo alla trasmigrazione delle anime in un altro corpo, gli spiriti, in perenne movimento e sempre occupati a reincarnarsi, ricomparirebbero sulla terra nella condizione di spiriti e rischieremmo di incontrarli, come succede spesso. Mio cugino Antiensy era ammalato ed ebbe l’occasione di discutere con un buddha la cui anima aveva soggiornato per qualche tempo nell’altro mondo.

La trasmigrazione dell’anima, gli spiegò il buddha, avviene in questi tre casi:

1° – Coloro che hanno fatto del bene ne saranno ricompensati per mezzo della felicità che conosceranno in un’ulteriore esistenza.

2° – Coloro che si sono comportati male nei confronti dei loro simili saranno puniti.

3° – Coloro che hanno compiuto un’azione buona o cattiva ne subiranno gli effetti.

La trasmigrazione non si produce quando si tratta di santi, di genii, di buddha e di tutte le divinità, oppure dei maledetti destinati all’inferno, o infine di quelli che, non essendo colpevoli di alcun crimine, possono andare errando dove sembri loro meglio, aspettando la fine dei tempi.

– È vero – chiese mio cugino – che al di fuori del paradiso c’è solo l’inferno?

– Il paradiso e l’inferno sono nella coscienza degli esseri umani: uno rappresenta il bene, l’altro il male.

 

L’IMPLACABILE CREDITORE

 

I bambini morti prima di aver raggiunto la maggiore età sono, si dice, i creditori dei loro genitori. Sono venuti al mondo per permettere loro di estinguere i loro debiti. È una cosa risaputa.

Il figlio del mio amico Teh cadde gravemente ammalato. Dovette restare a letto per molte settimane. Il padre spese molti soldi per curarlo. Un giorno il malato si rese conto che il padre gli doveva ancora 19 dollari. Decise di bere una droga che costava esattamente quella somma, poi, con la coscienza tranquilla, morì quella sera stessa. Non è una favola, il fatto è appena accaduto e io prendo la penna per raccontarvelo.

Si trova ancora, nella provincia di Zekiang, un tempio nel quale si venera un idolo dal volto di vecchia che viene chiamata “la madre dei sogni”. Coloro che desiderano conoscere il loro futuro vanno al tempio e pregano l’idolo di mandar loro un sogno profetico. Molto spesso il sogno si realizza.

Un vecchio, preoccupato per la salute del figlio, volle sapere se il bambino sarebbe guarito. Una voce gli disse in sogno: – Ti sei arricchito disonestamente. Tuo figlio è venuto al mondo solo per rovinarti.

Il bambino guarì ma fin dall’infanzia manifestò una grande prodigaliltà. Quando diventò grande sperperò le ricchezze paterne.

La stessa domanda fu posta all’idolo da un uomo che invece non aveva figli. La madre dei sogni rispose: – Sai bene che tu non devi niente a nessuno. Dunque per te tutto è già estinto. Perché dovresti avere figli?

La dottrina di Laozu afferma che il mondo intero è mosso dall’interesse. Se tutti i desideri venissero soddisfatti il mondo vivrebbe in pace.

Ora, i benefici sono in numero limitato. La parte di uno è quella che un altro si è lasciato prendere. Si deve dunque lottare senza misericordia e sarà sempre così finché esisterà il mondo. Poiché ognuno pensa solo a se stesso, ci sono molte rimostranze. Quelli che non sono favoriti in questa vita lo saranno un’altra esistenza. È consolante avere questa certezza.

 

IL SACRIFICIO FUNEBRE

 

Un’antica abitudine consiste nel bruciare, durante le esequie, alcuni oggetti di carta. Molte persone non hanno fiducia nell’efficacia di tale usanza.

Le parole di questa canzone, di epoca remota, testimoniano che neanche i nostri antenati ci credevano:

 

Chissà di cosa avrai bisogno ormai.

Quello che abbiamo appena fatto per te

è solo una pia testimonianza d’affetto,

un pensiero che ti mandano i vivi.

 

In effetti manifestazioni di questo tipo si fanno solo per addolcire la pena dei cuori addolorati.

Quando morì il mio figliolo maggiore, sua figlia fece bruciare, come d’uso, un cavallo di carta. Ed ecco che mio figlio riprese conoscenza per lamentarsi che il cavallo zoppicava. Un domestico confessò subito che nel bruciarlo aveva spezzato una zampa dell’animale.

Una cugina di mia madre stava agonizzando. Ebbe tuttavia la forza di avvisarci che aveva appena notato, visitando la sua nuova dimora, una fessura in uno dei pannelli. Il figlio andò immediatamente a esaminare la bara che gli era appena stata consegnata e constatò appunto il difetto segnalatogli. Il costruttore negligente non se n’era accorto.

 

LA TOMBA OLTRAGGIATA

 

Nel trentaduesimo anno di Chienlun (1767), abitavo con due miei amici, Li e Hao, nella villa chiamata “Nuvola fluttuante”. Una sera, dopo cena, la conversazione si spostò sugli spiriti. Li ci credeva e Hao era scettico. Discutevamo animatamente allorché il domestico di Li dichiarò: – Se avessi meno esperienza anch’io non ci crederei, ma ecco cosa mi è capitato qualche anno fa. Attraversando, nei dintorni della città, il cimitero comunale, mi accadde di camminare su una tomba recente e di rompere il coperchio di una bara. La sera stessa ho sognato di essere convocato dal giudice: un pover’uomo mi accusava di avergli rovinata la dimora. Protestai la mia innocenza, adducendo che quella bara non doveva trovarsi sotto una strada che tutti avevano il diritto di calpestare. “In effetti, disse il giudice, è una strada molto frequentata, ma soltanto tu hai causato l’incidente, e dunque sei tu che devi porvi rimedio, dal momento che non può farlo il morto. Sarai assolto solo a questa condizione.” L’indomani feci riparare la bara.

 

LA VOCE MISTERIOSA

 

C’era una volta, nei dintorni di Pechino, oltrepassata la porta di Fony, un bel parco di abeti del quale oggi non resta alcuna traccia. Quando il tempo era bello i pechinesi andavano a passeggiare in quel giardino. A volte sentivano una musica soave e non sapevano da dove provenisse.

Una sera d’inverno un vecchio studioso scorse nel parco una giovane donna sola che cantava:

 

Si dice che la notte d’inverno sia fredda,

ma io affermo che una coperta di seta ricamata

ci riscalda come in primavera

e non ci preoccupiamo di sapere

se il giorno si leverà presto o tardi.

 

La voce tacque, ma poi riprese:

 

Il fiore del prugno appassisce,

ma l’abete resta verde tutto l’inverno.

 

Il vecchio studioso avanzò per sentire meglio la cantante, ma costei sparì nella notte.

 

 

IL MANGIATORE DI ANATRE

 

È già tutto previsto, anche la durata dei nostri piaceri.

Un giovane aveva un debole per le anatre e ne mangiava ad ogni pasto.

Una notte vide in sogno un lago nel quale nuotavano centinaia di anatre. Un guardiano gli spiegò che quegli uccelli erano di sua proprietà.

Dieci anni dopo rifece lo stesso sogno, ma questa volta c’erano solo due anatre nel lago e il guardiano sonnecchiava sotto un albero.

Quando si svegliò, il giovane si sentì male e non osò più toccare il suo cibo preferito. La figlia, avendo saputo in che stato si trovava, gli portò due anatre arrostite. A quella vista il malato si agitò molto e le sue condizioni peggiorarono. Morì quella sera stessa.

 

LA MISTIFICAZIONE

 

Un viaggiatore ormeggiò la sua giunca sulla riva di Paoyang e, approfittando della bella serata, si mise a passeggiare lungo la riva. Ed ecco che incontrò, per caso, alcuni giovani del suo paese. Felicissimo, ordinò vino e frutta e si misero sotto un grande albero per trascorrere insieme la serata al chiaro di luna. La conversazione cadde ben presto sugli spiriti. Ciascuno disse ciò che sapeva di loro.

– Tutto questo è molto curioso – disse il giovane Li – ma posso raccontarvi una cosa che per me resterà il più meraviglioso dei ricordi. Era una sera simile a questa. Incontrai un amico che non vedevo da molto tempo. Mi raccontò che, essendo abbastanza fortunato da non dover lavorare, si era dato alla poesia. Il suo ultimo poema iniziava così:

 

Il sole risplende tardi sulle creste delle montagne.

L’autunno rimane sempre nel tempio deserto.

 

Mi congratulai con lui.

– Ma – gli dissi – la tua poesia riflette troppo i tuoi tristi pensieri.

– Il fatto è che vivo in un’atmosfera penosa – rispose il mio amico. –Il giardino, piacevole nella bella stagione, si trova troppo vicino al cimitero e la sera, dopo il tramonto, si aggirano alcuni spiriti.

– Questa sera non ci faranno paura – dissi ridendo.

– E se ti lasciassi solo?

In quell’istante il mio amico sparì.

Soltanto allora mi ricordai che il caro ragazzo era morto qualche anno prima. Non è curioso che uno spirito parli così degli altri spiriti?

– Vi confesso che sarei felice di incontrare lo spirito di un poeta – disse il viaggiatore. – Lo tratterrei qui per passare piacevolmente la serata.

In quel momento il guardiano notturno batté il gong per la terza volta e Li e i suoi compagni svanirono nella foresta, lasciando interdetto il viaggiatore.

 

UN CASO DIFFICILE

 

Una sera un amico di mio cugino Yusen, Limenhei, dopo una lunga camminata attraverso la campagna si stava riposando in un tempio. Ebbe la fortuna di assistere a un’interessante discussione. I bodhisattva riuniti studiavano un caso delicato. Si trattava di condannare una donna che si era comportata male. D’altra parte, questa donna praticava in sommo grado la pietà filiale.

– Secondo la legge – disse un bodhisattva – il peccato di adulterio è punito con qualche colpo di bastone, mentre il venir meno ai doveri filiali è severamente rimproverato. La grande pietà filiale di questa donna cancella la sua condotta. Faremo dunque bene a dimenticare la sua colpa e la ricompenseremo per le sue nobili virtù.

Un altro bodhisattva protestò.

– Non sono del tuo parere. I sentimenti di rispetto nei confronti dei genitori sono insopprimibili. Questa donna disonora la sua famiglia con la sua condotta vergognosa. Non è possibile perdonarla. La mia opinione è che dobbiamo condannarla.

Un terzo bodhisattva dichiarò: – La pietà filiale è certamente una grande virtù, ma nessuna virtù riscatta il cattivo comportamento. Propongo quindi un duplice giudizio che prima la ricompenserà e poi le infliggerà la pena che si merita.

– Non si potrebbero cancellare il castigo e la ricompensa? – propose un altro bodhisattva.

– Impossibile. È bene incoraggiare la pietà filiale, ma lasciare impunita la colpa farebbe pensare che assolviamo l’adultera.

Uno dei bodhisattva teneva molto alla sua idea.

– Se per riguardo alla pietà filiale non puniamo l’adulterio, incoraggiamo la pietà filiale e proviamo così che la teniamo in maggior conto. Propongo dunque una completa assoluzione.

– Poiché non riusciamo a metterci d’accordo, – disse il primo bodhisattva – non ci resta che sottoporre il caso al nostro superiore. Sicuramente egli troverà una soluzione saggia.

Ignoriamo quale giudizio emise il Mandarino.

 

IL SACRIFICIO INUTILE

 

La signora Wang, sorella di mia madre, mi raccontò la tragica storia di una giovane vedova che lavorava coraggiosamente per sostentare la suocera e il suo bambino di 8 anni.

Digrazia volle che il bambino si ammalasse. Si fece chiamare il più importante medico della città. Quest’uomo non ignorava che la vedova era bellissima. La desiderava da molto tempo. L’occasione era propizia. Osò far sapere alla giovane che avrebbe risposto al suo appello se avesse acconsentito a concedergli i suoi favori.

L’incredibile risposta turbò le due donne. Per tutta la notte si consultarono senza sapere cosa decidere.

Il mattino seguente il bambino stava peggiorando. La suocera decise che la nuora dovesse sottostare al capriccio del medico.

La malattia aveva però fatto rapidi progressi. Il sacrificio della madre fu inutile: il bambino morì e la povera madre si strangolò per la vergogna e il dolore.

La suocera conservò il suo miserabile segreto.

Alcuni giorni più tardi scoppiò un incendio in casa del medico, che fu bruciato vivo insieme al figlioletto. Solo la moglie venne salvata. Ridotta in miseria, diventò una cortigiana ed è da uno dei suoi amanti che abbiamo appreso questi strani fatti.

 

IL SOGNO D’AMORE

 

Panki era stato deportato a Ulomuzy e condannato ai lavori forzati a vita. La moglie e la figlia lo seguirono, ma in quel clima rigido le due donne diventarono tisiche. La madre morì. La ragazza aveva allora appena 17 anni. Sola e sofferente, viveva miseramente, perché Panki lavorava dalla mattina alla sera.

Un altro esiliato, che si chiamava Yanghi, impietositosi per questa giovane sfortunata, propose al padre di prendere la figlia con sé. L’avrebbe curata e l’avrebbe sposata quando fosse guarita. Avrebbe sopperito ai suoi bisogni. Se fosse morta si sarebbe fatto carico di tutte le spese della sepoltura. Queste condizioni furono accettate e si firmò il contratto di matrimonio.

Malgrado le cure di cui Yanghi la circondava, la giovane non si ristabilì. Quando sentì di essere prossima alla fine prese con gesto riconoscente la mano del fidanzato.

– Poiché sei stato così buono con me, Yanghi, – disse – desideravo davvero renderti felice. Devo rinunciare a questa speranza. Ma se la morte non mi porta via interamente, se lo spirito sopravvive, come credo, non ti dimenticherò e forse sarai ricompensato del bene che mi hai fatto.

Da allora Yanghi ogni notte vede in sogno la sua fidanzata risplendente di santità e l’illusione del sogno permette a Yanghi di amarla come se fosse ancora viva.

 

L’AMANTE DIMENTICATA

 

Una sera dopo cena il giovane Mien riposava nel suo letto. Le finestre della camera erano aperte sul giardino, allagato sotto una pioggia a dirotto.

Improvvisamente entrò una bella ragazza.

– Sono venuta a trovarti, nonostante la pioggia – disse.

I sandali della visitatrice erano asciutti e il giovane glielo fece notare.

– Sono una volpe. Ti amo da molto tempo – gli spiegò lei.

Lui si stupì: – Altri giovani abitano in queste contrade. Perché preferisci me?

Rispose: – Bisogna cercarne il motivo nella nostra precedente esistenza.

– Chi eri tu? Chi ero io, allora? – domandò il giovane, diffidente.

– Ti ho scelto tra migliaia di uomini, non è la prova che ci siamo amati?

– No, perché la tua presenza non mi fa provare nessuna emozione.

Questa risposta sincera fece arrossire di dispetto la ragazza.

Prima di andare via scrisse queste righe:

 

Molti bei fiori appassiscono durante la terza luna,

il vento e la pioggia danno il colpo di grazia alla primavera.

Dieci anni fa hai pensato a me,

e ora non mi riconosci.

Se non posso avvicinarmi al tuo cuore

è meglio che non ti contempli mai.

L’acqua del fiume è ancora verde.

Addio, addio per sempre, amore mio.

 

IL MARCHIO ROSSO

 

Il vicepresidente Shenyunsin stava scrivendo la storia di sua madre, quando lo vidi arrivare e leggermi la pagina che aveva appena scritto. Ecco che cosa mi ricordo.

La signora Lu perse il suo sposo dopo un anno di matrimonio. Aveva avuto da lui un bambino che morì a 3 anni.

Disperata, essa tracciò un marchio rosso sul braccio del bambino morto sospirando: – Per me tutto è finito, vivrò solo per rimpiangerti. Se l’Altissimo non vuole che la mia famiglia si estingua, un giorno ti ritroverò grazie a questo marchio sul braccio.

– Il mese seguente – mi disse Shenyunsin – in casa di parenti nacque un neonato con il marchio in questione. Mia madre adottò il bambino, nato la dodicesima luna dell’anno 7 di Yinzang (1729): quel bambino sono io.

Certamente non possiamo prestare fede a tutto quello che insegna la dottrina buddhista, ma come non credere alla trasmigrazione delle anime? La religione è sempre di conforto per gli infelici e la storia della signora Lu ci prova che esiste una giustizia, almeno in cielo, anche se ciò non impedirà ai sapienti di affermare che l’anima non esiste.

 

UNA STORIA MORALE

 

Il mio professore, il signor Chau, quando era studente aveva preso in affitto una stanza in un tempio situato vicino al lago dell’Ovest. Una notte fu svegliato da un rumore di passi pesanti che andavano e venivano per la camera.

– Chi è là? – domandò. – È uno spirito o una volpe?

– Sono sia lo spirito che la volpe – rispose una voce.

– È mai possibile che tu sia l’uno e l’altra?

– Sono tutt’e due– gli venne risposto. – Per molti secoli ho praticato il Dharma per diventare un asceta. Le volpi, gelose, mi hanno assassinato e la mia anima resta indecisa. Adesso sono lo spirito della volpe.

– Perché non denunci i tuoi assassini?

– Ahimè! Gli asceti che praticano onestamente il Dharma sono destinati a diventare dei genii e il Buddha li protegge, ma io non sono stato un buon asceta: ho corrotto delle donne per appropriarmi della loro salute e ho ucciso uomini per rubare loro il cervello. Se mi presentassi oggi davanti al Giudice, egli mi condannerebbe più severamente del mio assassino.

L’indomani il professore ci disse: – Soltanto una strada conduce alla virtù. Se derubiamo gli altri dei loro beni non li conserveremo a lungo.

 

UN PRESAGIO IN VERSI

 

Mio nipote Jupei morì giovane. Una notte sognò che davanti a lui si recitava una poesia della quale ricordò solo queste ultime parole:

 

La fuggitiva felicità dei fiori e degli uccelli

non è che un sogno primaverile.

La triste pioggia rende la notte monotona

lunga quanto l’anno.

 

Questo sogno gli portò sfortuna. Morì durante la settima luna di quello stesso anno. La vedova visse penosamente con un bambino che aveva adottato. Ci viene assicurato che essa dormì vestita per più di trent’anni.

Questi versi furono per lei una specie di presagio.

 

LE TIGRI

 

Mia madre ebbe per qualche tempo al suo servizio una contadina di nome Chang. Questa donna mi raccontò la storia di un giovane che fu costretto dalla miseria a lasciare il suo paese per andare a cercare fortuna altrove.

Poiché non era mai uscito dal villaggio, si smarrì e si rifugiò sulla montagna.

Sopraggiunse la notte, ed ecco che dalla foresta uscì un uomo scortato da quattro feroci individui. Spaventato, il giovane si buttò in ginocchio.

– Non aver paura, buonuomo – disse uno di questi. – Io sono il nume tutelare delle tigri e mi incarico di procurare loro il cibo. Resta qui per un po’ e quando le tigri divoreranno un uomo o una donna avrai la tua parte.

Il vento spirava tra i rami, le foglie volteggiavano e si posavano a terra, e alcune tigri gironzolavano sotto gli alberi secolari. Sul sentiero coperto di foglie morte s’intravide la sagoma di un uomo. Le tigri tacquero. Poco dopo si vide avanzare una donna e due grandi tigri si gettarono su di lei. Il genio derubò la vittima e offrì al giovane spaventato tutto il denaro che aveva trovato addosso alla disgraziata.

– Signore, – chiese il giovane, interdetto – le tigri attaccano solo le donne?

– Le tigri – rispose il genio – mangiano soltanto gli animali, e preferibilmente i quadrupedi. Le tigri distinguono quelli che, qualunque sia la loro forma esteriore, hanno il cuore di una bestia. Gli esseri nobili sono circondati da un’aureola che fa indietreggiare le tigri. Gli esseri cattivi e senza cuore non hanno questa luce e le tigri hanno il diritto di mangiarli. L’uomo che hai visto passare è tutt’altro che buono, ma sulla sua testa brilla un debole chiarore, perché ha riguardo per la suocera e il nipote. La donna, invece, è molto cattiva: ha abbandonato il marito per andare a vivere con l’amante e ha maltrattato orribilmente il figlio di primo letto del marito. Ha derubato il secondo marito per vestire elegantemente sua figlia, che fa prostituire. Agli occhi delle tigri non è un essere umano.

– Sforzati di restare onesto, buonuomo – raccomandò il genio. – Non fare del male al tuo prossimo e conserva sempre sulla tua fronte una luce, così non verrai divorato dalle tigri.

 

LA MODERAZIONE NELLA FELICITÀ

 

Un cugino del mio amico Ling viveva con una bella ragazza, una volpe che si era trasformata in essere umano. I genitori, preoccupati per questa strana unione, fecero venire un monaco, nella speranza che riuscisse magicamente a liberare il loro figlio da questo amore.

Il monaco si informò e dichiarò che quell’unione era la conseguenza di una vita precedente.

– Questa ragazza – disse – non ha alcuna cattiva intenzione nei riguardi di vostro figlio; piuttosto, è lui che, a causa del suo troppo amore, approfitta di lei e ne distrugge la salute. Comunque, il ragazzo è perduto se non lo liberiamo. Vado a persuadere la volpe con la dolcezza, perché in questo caso la brutalità non serve a niente.

Così una sera il monaco pregò il Buddha e convocò davanti a lui la volpe. Apparve una bella ragazza. Le disse in tono molto gentile: – Cerca di non vuotare del tutto la coppa della felicità, affinché tu possa conservare una parte del piacere per una prossima vita.

La bella ragazza s’inchinò alla volontà del monaco e scomparve.

Non la videro mai più.

 

IL PORCELLINO                               

 

Un giorno la sorella di mia madre era seduta davanti alla finestra della sua camera che dà sul fiume e vide, in una giunca, una giovane donna che piangeva a dirotto. La riva formicolava di curiosi.

Quella volta mia zia non era sposata e mandò la sua vecchia balia a prendere notizie. La buona donna tornò e le raccontò che la giovane disperata aveva appena visto in sogno la figlia morta: costei aveva le mani legate con la corda e i piedi erano legati con nastri rossi. Era stata uccisa da un macellaio.

La giovane madre, svegliatasi di soprassalto, credeva di sentire ancora le sue grida.

Ora, in un’altra giunca, avevano appena sgozzato un porcellino, le cui zampe erano legate con corde e nastri rossi. Questa penosa circostanza accrebbe il dolore della povera madre, che comprò il porcellino, pagandolo il doppio del suo prezzo, e lo fece seppellire.

La figlia era morta nella sua sedicesima primavera.

 

DOV’È IL DOVERE

 

Un medico molto onesto ricevette una notte la visita di una vecchia che lo pregò di darle cortesemente un rimedio per far abortire una ragazza. In cambio gli offriva alcuni braccialetti d’oro. Egli rifiutò energicamente. La vecchia tornò il giorno seguente e questa volta gli offrì, oltre ai braccialetti, un grande pettine adorno di perle. Il medico la mise alla porta.

In capo a qualche mese egli sognò che veniva convocato davanti al giudice per rispondere di un’accusa formulata contro di lui. Una giovane donna si era strangolata con un laccio rosso, accusandolo di averle rifiutato una droga che l’avrebbe liberata dalla vergogna.

– In effetti – disse il medico – mi sono rifiutato di dare l’aiuto che mi era stato chiesto, perché le medicine sono fatte per guarire, non per uccidere. La vostra suicida è la conseguenza del vostro vergognoso comportamento, io non c’entro nulla.

– Troppo comodo, – protestò la giovane. – Sai molto bene che quando mi sono rivolta a te il feto era appena formato. Sbarazzandomene, mi avresti salvato la vita. Hai risparmiato un pezzetto di carne senz’anima e così hai ucciso un essere umano.

Il medico obiettò: – Non è stato il parto a privarti della vita, ma il tuo suicidio.

– Ma se tu mi avessi dato un rimedio non avrei partorito – disse la giovane. – Il mio segreto non sarebbe stato scoperto e non sarei stata costretta a strangolarmi. Tu sei il responsabile della mia morte.

Il giudice fece un grande sospiro e disse:

– L’accusatrice si preoccupa solo degli effetti. L’accusato ragiona giustamente, ma dimentica le conseguenze. Dopo la dinastia di Sun non ci si preoccupa più degli effetti: a volte ragionando troppo bene si agisce male. Accusatrice, tu non hai niente da reclamare. L’accusato è assolto.

 

Avvertenza

I racconti presentati in questo libro, scritti nel XVIII secolo da un celebre intellettuale cinese, Ki-yun, furono tradotti in francese solo nella prima metà del Novecento dall’ambasciatore cinese a Parigi Chang-loh, ed è a questa traduzione che si fa qui riferimento. A sua volta Chang-loh era scrittore, poeta e ricercatore, autore di una storia della Mongolia e della traduzione in cinese del Codice Civile francese.