Negli ultimi anni, lo sviluppo impressionante dei computer digitali, delle reti di apprendimento automatico e dei sistemi di intelligenza artificiale hanno spinto al limite le prestazioni delle macchine informatiche odierne, perché i loro processori non hanno la potenza di calcolo necessaria per stare al passo con i nuovi sviluppi tecnologici.

Ecco perché i ricercatori nel campo dell’informatica esplorano, da tre decenni, soluzioni tecnologiche alternative al problema irrisolvibile di una potenza di calcolo sempre maggiore. Cioè, stanno cercando un nuovo tipo di processori che non solo dovrebbero avere una maggiore affidabilità, ma allo stesso tempo un fabbisogno energetico relativamente limitato durante l’elaborazione di una quantità sempre crescente di informazioni.

Pertanto, le unità dei nuovi computer devono essere differenziate sia in termini di substrato materiale, cioè il loro “hardware”, sia in termini di programmi immateriali che elaborano più informazioni, più velocemente e con maggiore efficienza energetica.

Dal silicio al DNA

Un progresso significativo in questo campo di ricerca è stato fatto quest’anno a Shanghai da un team di esperti cinesi, che hanno annunciato i loro risultati sulla prestigiosa rivista internazionale “Nature”. Questo ampio ed interdisciplinare team di ricercatori, che da anni opera presso la principale Università cinese Jiao Tong sotto la direzione del professor Hui Lv, è riuscito a creare un nuovo sistema di elaborazione bioinformatica costituito da 100 miliardi di microcircuiti che, per ora, sono in grado di risolvere, con velocità impressionante, alcune equazioni ed eseguire alcune operazioni matematiche. Ma i ricercatori cinesi sostengono che potrebbe essere applicato a molte altre attività complesse, ad es. nella diagnostica medica.

È il sistema bioinformatico più complesso, flessibile e potente mai costruito: il suo processore è costituito da 100 miliardi di microcircuiti, la cui struttura e il cui funzionamento non si basano sui familiari chip di silicio, ma su molecole di DNA. Ciò che hanno ottenuto è creare un “gate array programmabile basato sul DNA”, in inglese DPGA (DNA-based programmable gate array), come gli stessi ricercatori descrivono nel loro articolo questa nuova tecnica per creare computer a DNA.

Quanto alla strategia seguita dai ricercatori di Shanghai, è stata quella di tagliare brevi sequenze o pezzi di molecole di DNA, che hanno unito in laboratorio per creare molecole più grandi che hanno poi integrato in diverse combinazioni per formare, infine, i microcircuiti informatici del nuovo processore dal DNA e non dai soliti chip di silicio.

Rispetto ai processori al silicio esistenti, la scelta del processore DNA è stata logica e ovvia, perché mentre i chip di silicio sono piuttosto piccoli, un processore costituito da molecole di DNA è incomparabilmente più piccolo e quindi molto più veloce ed efficiente dal punto di vista energetico. Inoltre, le molecole di DNA hanno dimostrato di essere molto stabili e malleabili sia per la memorizzazione che per l’elaborazione delle informazioni, motivo per cui sono la componente principale di memorizzazione delle informazioni genetiche presenti nei geni della maggior parte degli organismi viventi!

Naturalmente, come ammettono anche i ricercatori cinesi, nonostante siamo ancora agli inizi delle applicazioni del DNA Computing, negli ultimi trent’anni sono stati fatti passi importanti in questa direzione. Tuttavia, la recente possibilità di creare, attraverso il DNA Computing, nuovi sistemi informatici ampiamente utilizzati, rappresenta un punto di svolta decisivo che influenzerà in modo decisivo questo nuovo e promettente campo tecnologico.


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